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L’ECONOMIA, LA FINANZA E LA DEMOCRAZIA

La contraddizione in cui cade chi denuncia la pericolosità per la democrazia della finanza internazionale e al tempo stesso predica un aumento ulteriore del nostro debito pubblico

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Una lettera al quotidiano Alto Adige sul mio editoriale telegrafico pubblicato il 23 ottobre, Il sovranismo e il deficit di bilancio [1], pubblicata a sua volta il 27 ottobre con la mia risposta – Segue una seconda lettera sullo stesso argomento, pubblicata il 29 ottobre, anche questa con la mia risposta

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[2]Gentile Direttore, nell’editoriale del 23 ottobre scorso del professor Ichino tematiche importanti in tempi di diffusa sofferenza per i lavoratori e i ceti popolari vengono a nostro parere banalizzate. Non sono solo, come dice il professore, i più accesi militanti di sinistra e destra a ritenere che “l’economia mondiale sia minata dalla finanza”: è l’esatta realtà. È ampiamente dimostrato che se il tasso di rendimento delle attività finanziarie, al netto dei rischi, supera quello della produzione di beni e servizi aumentano le diseguaglianze, crollano merito e ascensore sociale e la ricchezza si concentra in sempre meno mani, come si osserva negli ultimi decenni. […] Questo tipo di finanza è inoltre azionista di riferimento di buona parte dell’industria del mondo occidentale compresa quella degli armamenti, delle multinazionali del cibo, farmaceutiche, dell’energia, ha vitali partecipazioni nel sistema bancario, nelle famose agenzie di rating che danno le pagelle agli Stati e, non ultimo, nell’informazione. Esiste dunque un enorme conflitto di interessi se la finanza che presta soldi agli Stati stabilisce lei stessa la misura degli interessi che la arricchiscono, partecipando inoltre direttamente o indirettamente al controllo dei principali media. Sostanzialmente si limita la democrazia se chi viene eletto non ha autonomia e deve sottostare al giudizio interessato dei “mercati” che insegneranno addirittura ai cittadini a votare. […] Non a caso il ventennio dell’euro dal 2002 ad oggi, che suggella la grande vittoria della finanza sulla Sovranità dello Stato e l’avvento di un modello economico che noi contestiamo radicalmente, è quello che segna il minor sviluppo del paese dal 1861. […]

Italia sovrana e popolare Alto Adige – Südtirol

[3]Nell’editoriale di domenica mi sono limitato a denunciare la contraddizione in cui cade chi, a sinistra come a destra, un giorno denuncia i pericoli di un sovradimensionamento della finanza internazionale rispetto all’economia reale, il giorno dopo predica l’aumento dell’indebitamento pubblico del nostro Paese; dimenticando che l’indebitamento stesso è possibile soltanto mediante il ricorso alla finanza internazionale. Dimenticando pure che ogni miliardo ulteriore di indebitamento indebolisce il Paese nei confronti della finanza internazionale, legittimando di fatto ancora di più la finanza medesima, cioè i nostri creditori, a interferire nelle scelte di politica economica compiute dal Governo e dal Parlamento: perché indebitarci significa chiedere a loro il denaro e dunque dover rendere conto a loro della nostra capacità di restituirlo. Per non dire del fatto che – stante l’attuale entità abnorme del nostro debito pubblico – indebitarci di più, ammesso che la finanza internazionale continui a farci credito, significa spendere del denaro che saranno i nostri figli a dover restituire. L’altra contraddizione che ho denunciato è quella in cui cade chi – come i miei odierni contraddittori – predica l’aumento del nostro indebitamento e nello stesso tempo l’uscita dell’Italia dal sistema monetario europeo, cioè il ritorno alla lira; senza chiedersi chi al mondo, e a che prezzo, sarebbe disposto oggi a sottoscrivere un prestito all’Italia denominato in lire.   p.i.

ANCORA SU ECONOMIA, FINANZA E DEMOCRAZIA

Gentile direttore, vorrei rispondere alla risposta che il prof. Ichino ha dato alla lettera “L’economia, la finanza, la democrazia” firmata da “Italia Sovrana e Popolare” pubblicata il 27 ottobre.
Il professor Ichino dà per scontato ciò che scontato non è, cioè che “l’indebitamento è possibile solo mediante il ricorso alla finanza internazionale”. Questo fatto non è un comandamento divino, ma una scelta politica. Infatti, fino al 1981, quando ci fu il “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, il debito sovrano, che non era acquistato da risparmiatori e operatori italiani, veniva acquistato dalla Banca d’Italia. In pratica ci indebitavamo con noi stessi e non con il cosiddetto mercato, che da allora in poi ha potuto liberamente speculare contro l’Italia, imponendoci anche determinate scelte politiche in cambio dell’acquisto dei nostri titoli. Ciò succede anche oggi con la Bce, che è indipendente dai governi e quindi dalla democrazia. Ricordo solamente la famosa lettera inviata dalla Bce il 5 agosto del 2011 al governo Berlusconi, in cui era scritta l’agenda economica che avrebbe dovuto seguire il nostro Paese (in pratica le riforme “lacrime e sangue” poi imposte agli italiani da Monti, Fornero, ecc.) in cambio del fatto che la Bce stessa riprendesse l’acquisto del nostro debito. Inoltre, a quei tempi anche i tassi di interesse erano stabiliti dal Governo.
Da quel momento il rapporto debito/pil, che fino a prima del divorzio era sotto il 50%, è schizzato fino ad arrivare all’attuale 135%. Ciò proprio grazie alla speculazione operata dalla finanza internazionale.
È chiaro quindi, che l’eventuale uscita dall’eurozona, dovrà essere accompagnato dal recupero della sovranità monetaria, con una banca di emissione dipendente dal Tesoro, che acquisterà i titoli di debito invenduti agli investitori italiani e addirittura con la possibilità dell’emissione di una moneta di stato (come le famose 500 lire cartacee).

Eriprando della Torre di Valsassina

Se il nostro debito pubblico è aumentato fino al 135% del nostro prodotto annuo non è certo perché la Banca d’Italia è indipendente dal ministro del Tesoro: è perché nei trent’anni successivi a quello che il nostro lettore chiama “il divorzio” tra i due enti lo Stato italiano ha fatto sistematicamente ricorso al deficit di bilancio per coprire aumenti di spesa corrente che non avremmo potuto permetterci. Quanto al “recupero della sovranità monetaria” che egli auspica, cioè l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira italiana, con una Banca centrale italiana che torna ad acquistare i titoli del debito pubblico senza limiti, questo scenario ricorda molto da vicino quello del Paese dei Balocchi; ma come Pinocchio si risveglia da quell’illusione con le orecchie d’Asino, così il nostro Paese si ritroverebbe in condizioni per molti aspetti analoghe a quelle dell’Albania di Enver Hoxha.   p.i.

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