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VENT’ANNI DI LEGGE BIAGI: UN LIBRO DA LEGGERE

La ricorrenza del ventennio dell’entrata in vigore della legge 14 febbraio 23 n. 30, nonché del decreto legislativo che le ha dato attuazione è l’occasione per la riflessione di alcuni giuslavoristi in contraddittorio fra loro, di straordinario interesse anche per i non addetti ai lavori

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Recensione del libro a cura di Michele Tiraboschi,
Venti anni di Legge Biagi, Adapt University Press, 2023 – È online su questo sito anche la mia intervista [1] contenuta nello stesso libro – In argomento, tra i miei interventi più recenti, v. anche l’articolo pubblicato il 18 marzo scorso sul dorso bolognese del Corriere della Sera, La campagna di fake news sulla legge Biagi [2]: ivi il link attraverso il quale si può risalire a miei interventi precedenti sullo stesso tema

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[3]Il San Valentino di vent’anni fa coincise con la pubblicazione della legge-delega voluta, progettata e scritta per la maggior parte di suo pugno da Marco Biagi, entrata in vigore a meno di un anno dal suo assassinio. Il suo primo allievo coglie l’occasione della ricorrenza per pubblicare un libro, da lui stesso curato, straordinariamente interessante per diversi motivi. È una raccolta di diciotto interviste ad altrettanti giuslavoristi – Tiziano Treu, Franco Carinci, Roberto Pessi, Mariella Magnani, Stefano Liebman, Mario Rusciano, Arturo Maresca, Edoardo Ghera, Pietro Ichino [1], Pier Antonio Varesi, Raffaele De Luca Tamajo, Alessandro Garilli, Roberta Bortone, Stefania Scarponi, Mattia Persiani, Giuseppe Santoro Passarelli, Antonio Vallebona -, più una a Pierluigi Rausei, dirigente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Ciascuna intervista è dedicata a un aspetto della riforma del 2003, ma tutte sono aperte a un bilancio complessivo del suo impatto sul diritto del lavoro italiano e a una valutazione del dibattito che su di essa si è svolto nella comunità dei giuslavoristi nell’arco del ventennio. E nessuna di esse indulge ad atteggiamenti agiografici o “di circostanza”: alla ben nota varietà delle opinioni degli intervistati corrisponde – per così dire senza peli sulla lingua – altrettanta varietà di notazioni e valutazioni critiche circa il significato e gli effetti di quella legge, in un intreccio di voci a tratti fra loro contrapposte in modo netto.

Così, da un lato, Tiziano Treu mette in guardia contro l’identificazione delle politiche ispirate alla flexicurity con l’ideologia liberista;  nelle interviste dello stesso Treu, di Raffaele De Luca Tamajo e di Domenico Garofalo si sottolinea la continuità di ispirazione e di contenuti tra il “pacchetto” di interventi legislativi del 1997 e la riforma di cinque anni successiva, nonostante i colori opposti delle maggioranze che sostenevano i Governi  in carica nelle due occasioni; Franco Carinci e Mariella Magnani sottolineano, sotto due punti di vista parzialmente diversi, la perdurante attualità del Libro Bianco che precedette la riforma del 2003 individuandone i principi ispiratori e definendone le linee portanti; Arturo Maresca individua un filo conduttore comune che parte dal ruolo attribuito dalla Legge Biagi alla contrattazione collettiva per l’adattamento della regolazione dei rapporti alle esigenze mutevoli del tessuto produttivo, passa dall’articolo 8 del d.-l. n. 138 del 2011, per arrivare in sostanziale continuità all’articolo 51 del d.lgsl n. 81 del 2015. In un’ottica assai diversa, Giuseppe Santoro Passarelli sottolinea invece come “il tentativo della legge Biagi di affidare alle parti sociali la regolazione di questo rapporto non [sia] stato raccolto dalle stesse, che hanno imputato a questa legge di avere fatto lievitare il contenzioso sotto il profilo qualificatorio”; denuncia inoltre i rischi della “tesi del bilanciamento tra i diritti della persona e la libertà di impresa”, nel quale i primi sono a suo avviso destinati a rimanere soccombenti; Stefano Liebman, vede un nesso tra il Libro Bianco e “la generale ubriacatura per la flexicurity”, conseguenza di una indebita trasposizione sul continente europeo di dell’approccio di law & economics importato dalle università americane; e Mario Rusciano gli fa eco chiedendosi, a conclusine della sua intervista, “che fine ha fatto la c.d. flexicurity, tanto caldeggiata dal nostro amico Pietro Ichino”.

Come si vede, il libro curato da Michele Tiraboschi non soltanto è lontanissimo nello stile e nel contenuto dal modello assai diffuso delle pubblicazioni di celebrazione acritica della figura di uno studioso e dell’eredità che essa lascia, ma non concede nulla neppure alla tentazione di smussare gli spigoli. E in questo fa benissimo, perché la contrapposizione assai netta che si manifestò vent’anni or sono all’indomani della pubblicazione del Libro Bianco (qualificato come “limaccioso” da Sergio Cofferati) e del varo della Legge Biagi non è affatto superata. Proprio l’assenza di qualsiasi filtro o belletto, oltre allo stile piano e a una scrittura scevra da ogni tecnicismo, fa di questa raccolta di opinioni un testo interessantissimo anche per i non addetti ai lavori e al tempo stesso un contributo di notevole valore al progresso delle idee nel nostro campo.

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