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DOVE CARLO DEBENEDETTI SBAGLIA SULLE RETRIBUZIONI ITALIANE

Sulla base di dati letti male, l’imprenditore indica la via antica della lotta “salario vs. profitto”, per aumentare il reddito dei lavoratori, ignorando totalmente gli ostacoli che in Italia si frappongono all’aumento della creazione di ricchezza e al miglioramento dell’incontro fra domanda e offerta nel mercato del lavoro

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Articolo di Claudio Negro,  della Fondazione Kuliscioff [1], pubblicato su
StartMagazine l’8 marzo 2023 – In argomento v. anche Ancora sul livello basso delle retribuzioni italiane [2]

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Carlo De Benedetti

Sorprendente l’affermazione dell’Ingegner De Benedetti (Carlo, per capirci) nel corso della trasmissione condotta da Lilli Gruber su La7, per cui i salari dei lavoratori italiani sarebbero gravemente inferiori a quelli delle maggiori economie UE per colpa della sinistra e dei sindacati, che avrebbero rinunciato ad una sana conflittualità tra lavoro e capitale. Non staremo a rivangare l’operato di De Benedetti in questo epocale scontro che secondo lui storicamente ci accompagna, ma vorremmo mettere a fuoco le sue affermazioni per verificarne la credibilità.

Utilizziamo i dati Eurostat, aggiornati al 2021.

I DATI DI EUROSTAT

Eurostat ci dice che la paga oraria media lorda italiana nel 2021 è stata di 15,55 € contro € 16,9 dell’Area euro, i 19,66 della Germania e i 18,01 della Francia. La paga mensile lorda lo stesso anno è stata 2.520 € in Italia, nell’area Euro 2.825, in Germania 3.349, in Francia 2.895. Quella annua 34.792 €, nell’Area euro 38.559, in Germania 52.556, in Francia 37.956.

Come si vede, il rapporto in termini di retribuzione annua tra Germania e Italia è di circa il 1,5 e quello con la Francia quasi uno a uno. Fanno gioco qui quisquilie con le quali un De Benedetti non si balocca, tipo il fatto che in Italia esiste la 13° mensilità, che ovviamente risulta nella retribuzione annua ma non in quella mensile od oraria (per non parlare del TFR, che le tabelle Eurostat non prendono in considerazione ma statisticamente potrebbe essere considerata grosso modo come un’ulteriore mensilità, con la quale raggiungeremmo la Francia).

LA DIFFERENZA (BASSA) TRA SALARI ALTI E BASSI

Ma la “media” dei salari dice poco: proviamo a vederli nella loro concretezza: innanzitutto, nonostante i luoghi comuni pauperisti, la differenza tra salari alti e bassi non è affatto alta, anzi è tra le più basse in Europa: i salari “bassi” ossia inferiori a 2/3 del salario mediano sono soltanto il 3,7% del totale, il più basso nell’UE, e quelli “alti” ossia superiori alla mediana di una volta e mezzo sono il 19%, i più bassi dopo la Germania (18,7%); il grosso dei salari si distribuisce abbastanza uniformemente in una fascia centrale.

Molto istruttiva la comparazione con i dati europei: il delta tra la retribuzione nell’industria di processo (normalmente la più alta, esclusi i servizi finanziari) e i servizi esclusa la P.A. è del 23,5% in Germania, del 13% in Francia, del 7% in Italia; e del 14,5% nell’area Euro (dati Eurostat). Questo schiacciamento del dato italiano è dovuto essenzialmente ad un livello relativamente abbastanza alto della retribuzione nei servizi (soltanto -8,7% rispetto ad Area euro, -7,5% rispetto alla Francia, -24% rispetto alla Germania). Si tratta di un segmento di occupati generalmente con bassi profili professionali, e di un comparto nel quale la produttività è stagnante come dato strutturale: se le retribuzioni non sono disperatamente inferiori a quelle europee corrispondenti è grazie alla capacità negoziale del Sindacato (purtroppo, direbbe qualcuno in questo caso).

L’AZIONE DEI SINDACATI

Ma in questo caso il sindacato conduce una battaglia difensiva in un settore povero: come si comporta in un settore ad alto valore aggiunto? Possiamo fare riferimento al Cruscotto del Lavoro nella Metalmeccanica, prodotto dalla FIM CISL, che mostra come nel comparto metalmeccanico, ossia quello di punta all’interno del manifatturiero che ha trainato il “miracolo economico” del dopo Covid, i salari contrattati, a livello nazionale e aziendale, superino ormai i 40.000 euro annui e la produttività, a fronte di una media generale che fatica a superare lo zero, sia cresciuta di 15 punti in un decennio. E tutto questo in una realtà a forte e tradizionale insediamento sindacale.

DE BENEDETTI ATTACCA LANDINI DA SINISTRA?

Tutto ciò detto non per assolvere il Sindacato, che merita molte critiche ma non quelle che gli muove il De Benedetti: anzi, soprattutto nella vulgata landiniana [4], gli orientamenti di buona parte del sindacato paiono coincidere. Forzando un po’, potremmo dire che De Benedetti attacca Landini da sinistra…

È curiosa questa torsione culturale in un rappresentante dell’imprenditoria illuminata: insistere sul conflitto circa divisione del plusvalore mettendo in secondo piano come lo si crea è più da marxista classico o da sindacalista massimalista. Indicare al Sindacato la via maestra della lotta salariale quando il problema centrale è la difficoltà che incontra il sistema produttivo a creare ricchezza è incomprensibile. Ci si poteva aspettare che De Benedetti mettesse a fuoco l’esigenza di far crescere i fattori di produttività, parlasse nel PNRR e di politica industriale. Si vede che invece ha avuto la meglio una sua certa propensione ad un modello predatorio del fare impresa, già manifestato in passato.

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