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GLI INTERVENTI DEI SENATORI PD NEL DIBATTITO SUL COLLEGATO-LAVORO ALLA FINANZIARIA 2010

GLI INTERVENTI DI PIETRO ICHINO, ENRICO MORANDO E TIZIANO TREU E IL DIBATTITO CON IL MINISTRO DEL LAVORO, MAURIZIO SACCONI, E CON IL RELATORE DEL D.D.L. N. 1167-B, MAURIZIO CASTRO: LE NUOVE NORME SULL’ARBITRATO PER EQUITA’ NELLE CONTROVERSIE DI LAVORO SONO INCOSTITUZIONALI E LESIVE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI

Testi tratti dal resoconto stenografico della seduta pomeridiana del Senato del 3 marzo 2010 [1], nella quale si è svolta la discussione del d.d.l. n. 1167-B  in quarta lettura. V. anche, in proposito il dibattito al Senato sulla parte dello stesso d.d.l. relativa alla riduzione dell’età minima per l’apprendistato [2] e la dichiarazione finale di voto di Pietro Ichino [3] per il Gruppo PD, nella stessa seduta. Inoltre gli interventi di Pietro Ichino in Aula e in Commissione del 21 e 22 dicembre 2009 [4] sui gravi difetti di tecnica normativa di questo disegno di legge e della Finanziaria 2010. Per la discussione al Senato dello stesso provvedimento legislativo in seconda lettura, v. gli interventi di Pietro Ichino e Tiziano Treu nelle sedute del 24, 25 e 26 novembre 2009. Seguono gli interventi in aula tratti dal resoconto stenografico della seduta pomeridiana del Senato del 28 settembre 2010 [5]

345a SEDUTA PUBBLICA, mercoledì 3 marzo 2010 (pomeridiana)

Presidenza del vice presidente CHITI

Discussione e approvazione del disegno di legge 1167-B, Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dallo stralcio, deliberato il 5 agosto 2008, degli articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge d’iniziativa governativa n. 1441, modificato dal Senato e nuovamente modificato dalla Camera dei deputati) (Collegato alla manovra finanziaria) (Votazione finale qualificata ai sensi dell’articolo 120, comma 3, del Regolamento)

PRESIDENTE. Comunico che è stata presentata una questione pregiudiziale. Ha facoltà di parlare il senatore Ichino per illustrarla.

ICHINO (PD). Signor Presidente, colleghi, vi chiedo un momento di attenzione perché la questione pregiudiziale che rapidamente illustrerò è di rilevantissima gravità. Essa nasce probabilmente da un equivoco in cui è caduta la Camera nell’introdurre nel testo della legge, tra le norme che si applicano anche in materia di controversie di pubblico impiego, l’articolo 412 del codice di procedura civile. Probabilmente chi ha inserito l’articolo 412 pensava ancora al vecchio articolo 412, che tratta di conciliazione; i lavori della Camera sembrano proprio indicare questo. E lo stesso Presidente della Commissione lavoro del Senato sembrava essere caduto in questo equivoco, del tutto comprensibile, perché il riferimento all’articolo 412 oggi porta nel codice di procedura civile alla materia della conciliazione. Senonché lo stesso articolo 31 del disegno di legge, ora, cambia la numerazione e adesso al 412 sta l’articolo che regola l’arbitrato.
Quindi, se la norma venisse approvata così com’è, potrebbero essere devolute all’arbitro, da qualsiasi responsabile di ufficio con qualsiasi suo dipendente, le controversie – leggo testualmente dall’articolo 63 del testo unico richiamato – che riguardino l’assunzione al lavoro, il conferimento e revoca di incarichi dirigenziali, la responsabilità dirigenziale, l’indennità di fine rapporto, anche quando vengano in questione atti amministrativi presupposti.
In questo caso – dice l’articolo 63 del decreto legislativo n. 165 del 2001 – il giudice disapplica l’atto amministrativo. Quindi, l’arbitro potrà disapplicare l’atto amministrativo. Questo contrasta in modo plateale innanzitutto con l’articolo 97 della Costituzione che stabilisce, tra gli altri, il principio dell’accesso agli uffici pubblici per concorso. Qui l’arbitrato consentirà di eludere ed aggirare la norma sul concorso; ma consentirà l’arbitrato anche su altre cose che sono vistosamente non suscettibili di essere devolute a un arbitro.
A me sembra che la gravità di questo equivoco che si è determinato sull’articolo 412 sia tale, che la legge meriterebbe davvero un ulteriore brevissimo passaggio alla Camera dei deputati, anche solo per correggere questo strafalcione – ripeto – involontario, perché se guardate i lavori della Camera sembra proprio che anche i deputati siano caduti in questo equivoco. Altrimenti, mi sembra evidente la fondatezza della censura di incostituzionalità, che impone di non procedere all’esame del provvedimento. (Applausi dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Ricordo che sulla questione pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento, si svolge un’unica discussione, durante la quale può intervenire un rappresentante per Gruppo, per non più di dieci minuti.

MORANDO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MORANDO (PD). Signor Presidente, intervengo per sostenere la questione pregiudiziale che è stata appena illustrata dal senatore Ichino. Chiedo ai colleghi, soprattutto al Governo e alla maggioranza, di prestare qualche minuto di attenzione sul tema che il professor Ichino ha appena sollevato in Aula. Mi riferisco, signor Presidente, all’innovazione apportata dalla Camera al testo licenziato dal Senato, per quanto riguarda l’articolo 31, comma 8.
La sostanza del problema è stata già stata illustrata dal senatore Ichino, ma vorrei leggere all’Aula il testo del parere della Commissione bilancio, approvato dalla maggioranza della Commissione bilancio stessa con il nostro voto contrario, perché abbiamo chiesto di esprimere parere contrario sull’articolo 31, comma 8, ai sensi dell’articolo 81 della Costituzione, quarto comma. La maggioranza non ha accolto tale proposta, signor Presidente, ma se lei esamina il testo del parere della Commissione bilancio troverà questa frase: «parere non ostativo sul testo, osservando che dalla modifica contenuta nell’articolo 31, comma 8, volta a recepire nella pubblica amministrazione la risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro, potrebbero determinarsi effetti finanziari negativi».
La maggioranza della Commissione bilancio del Senato, dunque, non ha accolto la nostra proposta di parere contrario, ex articolo 81, sull’articolo 31, comma 8, della disposizione, ma quella stessa maggioranza ha riconosciuto come la questione da noi posta, cioè di possibili effetti finanziari negativi sul bilancio determinati da questa innovazione legislativa, sia assolutamente fondata. Vorrei, non avendo la stessa precisione e la stessa padronanza delle tecnicalità che ha il professor Ichino sull’argomento, andare all’essenziale.
Signor Presidente, di cosa si tratta? In buona sostanza, l’innovazione introdotta dalla Camera consente di utilizzare soluzioni arbitrali delle controversie di lavoro nella pubblica amministrazione. Non ricorrerò alla cronaca di questi giorni per sostenere la tesi che nella pubblica amministrazione italiana e soprattutto nel comportamento di certa componente della sua dirigenza sono presenti – chiamiamole così – vistose anomalie, fonte di particolari preoccupazioni. Ma vorrei andare all’essenziale. Se questa norma rimane così com’è, cosa può accadere? Ad esempio, io sono un dipendente pubblico e ho intenzione di tentare la scalata ad un ruolo dirigente nell’amministrazione nella quale lavoro: che cosa faccio? Promuovo una controversia. So benissimo che è completamente infondata, so benissimo, in buona sostanza, che non ho alcuna possibilità di risultare prevalente nella controversia che sto promuovendo, ma ho un grande vantaggio: sono amico del dirigente della pubblica amministrazione dell’ufficio nel quale lavoro.
Cosa può a quel punto accadere, signor Presidente (e non sto esagerando, sto descrivendo quello che secondo me può accadere e accadrà se lasciamo la norma così com’è)? Può accadere che per la soluzione della controversia sia nominato un collegio arbitrale (oggi non si potrebbe fare sulla base della legislazione vigente; domani, con l’articolo 31, comma 8, sarà invece possibile). Ora, è del tutto evidente che se mi metto d’accordo, visto che sono amico, con il dirigente della pubblica amministrazione possiamo far nominare un collegio arbitrale che in partenza dà ragione al sottoscritto, anche se la “ragione” non la ho. Risultato: chi paga? Il bilancio pubblico, la pubblica amministrazione. Ma vi immaginate cosa accadrebbe se ogni ufficio pubblico d’Italia fosse interessato da un evento di questo tipo? La finanza pubblica italiana è esposta da questa norma ad un rischio veramente molto serio.
Capisco che tornare alla Camera per un quinto esame del testo è difficile; ma siamo davvero sicuri, lo dico al rappresentante del Governo, che per non tornare alla Camera ed eliminare dal testo questo riferimento all’articolo 412 non stiamo facendo entrare in vigore una norma di cui la maggioranza della Commissione bilancio, pur orientata, per ragioni procedurali – cioè non tornare alla Camera – a non dare un parere contrario ex articolo 81 della Costituzione, ha tuttavia dovuto scrivere nel parere che comporta possibili effetti finanziari negativi? Aggiungo, signor Presidente, conoscendo la pubblica amministrazione italiana, che questi effetti negativi ci saranno sicuramente. Badate, si tratta di poter nominare collegi arbitrali per risolvere controversie che riguardano l’assunzione nel posto di lavoro. Già abbiamo una pubblica amministrazione alla quale non si accede più per concorso; ci rendiamo conto di quello che può accadere domani mattina all’interno di una pubblica amministrazione se si dà la possibilità ai lavoratori con qualche giorno di lavoro di mettersi d’accordo con i dirigenti per promuovere collegi arbitrali che risolvano a loro vantaggio le controversie?

Guardate che si tratta di una norma potenzialmente devastante dell’intero impianto della finanza pubblica italiana, dal lato, ancora una volta, dell’aumento della spesa corrente primaria. È qualcosa che merita attenzione, colleghi, al di là della pregiudiziale di costituzionalità. Discutiamo una volta senza il velo del preconcetto: sapete che abbiamo ragione, che l’argomento portato dal professor Ichino è giusto. Non volete votare la pregiudiziale? Benissimo, non votatela ma impegnatevi a cambiare il testo ed a riportarlo alla Camera.
Questo testo così com’è determina degli effetti che dovrebbero preoccupare, in primo luogo, chi sta esercitando l’azione di governo e intende esercitarla fino al 2013 con risultati positivi. Ma dove va a finire la riforma della pubblica amministrazione, che io chiamo legge Brunetta-Ichino, se si applica questo principio? Vi rendete conto di quali sono i possibili effetti di annichilimento di quella innovazione, che pure è di grande portata?
Vi prego, al di là di maggioranza e opposizione, di tener conto di questi argomenti e di accettare di modificare il testo sul punto che riguarda l’espunzione da questa legge del riferimento all’articolo 412 del codice di procedura civile. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Pardi).

[…]

GIULIANO (PdL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO (PdL). Signor Presidente, mi ricollego immediatamente alle affermazioni del senatore Pardi relative al furioso liberismo che intriderebbe questa norma facendo presente che la clausola arbitrale è prevista negli accordi confederali dei contratti collettivi ed è uno strumento agevole per risolvere in tempi brevi e accettabili controversie che, se seguissero la strada giurisdizionale ordinaria, prenderebbero un tempo sicuramente maggiore.
Tornando alle osservazioni di ordine tecnico svolte dal senatore Ichino e dal senatore Morando, voglio far presente che nel proporre la pregiudiziale di costituzionalità si fa riferimento ad una tecnica di legislazione che attiene alla patologia del fenomeno e non alla sua fisiologia. Quando si legifera si pensa all’ordinario non a ciò che potrebbe accadere addirittura in violazione di norme penali sanzionate severamente. Ciò non riguarda, ovviamente, questa tecnica e non riguarda questo ordine.
Perché dividere il pubblico dal privato? Ci lamentiamo sempre che i due settori costituiscono una sorta di sistema duale, spesso confliggente e che spesso non produce quella normale armonia che ci dovrebbe essere. Nel momento in cui si estende l’istituto dell’arbitrato anche al settore pubblico, si amplia l’applicazione di uno strumento assai duttile, veloce, economico e affidabile. Circa il fatto che, in astratto, potrebbe anche accadere qualcosa che violi addirittura la norma penale, ciò può accadere per qualsiasi norma; quindi, non vedo perché questa in particolare debba essere dichiarata incostituzionale. Anzi, è una norma che rispetta assolutamente i canoni fondamentali della Costituzione, essendo in essa previsto che la giurisdizione, in alcuni casi, possa essere affidata ai cosiddetti privati. Perché non allargare questo strumento, che per controversie di genere diverso è tuttora vigente, anche al settore pubblico?
Io penso che le argomentazioni dei senatori Ichino e Morando in ordine alle conseguenze che potrebbero derivare da questo sistema non siano assolutamente fondate e mi chiedo, in particolare, perché temere che questo possa comportare un onere maggiore e non fare, invece, lo stesso ragionamento nel caso in cui permanesse la competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria. (Applausi dal Gruppo PdL).

PRESIDENTE. Metto ai voti la questione pregiudiziale, avanzata dal senatore Ichino.

Non è approvata.

[…]

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento 31.2.

ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signor Presidente, colleghi, siamo sul punto del disegno di legge di cui abbiamo discusso in apertura di questa seduta: la questione dell’arbitrabilità delle controversie in materia di impiego pubblico.
Vorrei solo ricordare, proprio a proposito dell’ordine del giorno menzionato adesso dal collega Castro, che ieri in Commissione… (Brusìo). Chiedo l’attenzione dei colleghi, dato che stiamo parlando di una cosa di notevole rilievo.

PRESIDENTE. Senatore Ichino, ha ragione e non è di conforto che ci sia una confusione bipartisan.

ICHINO (PD). Vorrei ricordare a tutti i colleghi che ieri, in Commissione, il Governo ha accolto un ordine del giorno che impegna il Governo stesso a emanare disposizioni affinché l’arbitrato che con la norma al nostro esame stiamo per autorizzare nelle controversie di impiego pubblico non venga attivato dalle amministrazioni. Ne consegue che stiamo per votare una norma che il Governo ieri, in questo Senato, si è impegnato a non applicare: si è impegnato a dare disposizioni perché non sia applicata. Ditemi voi secondo quale logica ci può essere chiesto che venga respinto l’emendamento soppressivo di questa norma. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’articolo 31.

TREU (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREU (PD). Signor Presidente, non sono voluto intervenire prima di adesso, ma vorrei fare un breve ragionamento per ripercorrere questa vicenda che è da più di un anno che si trascina, anche per altri versi, ma su questo punto in particolare.
Noi abbiamo sempre denunciato che questa norma è pericolosa e addirittura sovversiva in senso tecnico di tutto il diritto del lavoro. Adesso è scoppiata la faccenda dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma non è in ballo soltanto l’articolo 18; certamente è quello che colpisce di più, ma un arbitro libero com’è l’arbitro in equità, cioè svincolato da norme inderogabili di legge, potrebbe decidere che per lui le ferie non contino, oppure che possano essere violati i limiti massimi di orario di lavoro o che le norme sulla sicurezza siano un optional. Evidentemente questi sono casi estremi, ma se un arbitro è libero, cioè non ha il vincolo del rispetto delle norme inderogabili di legge, può succedere anche questo, senza possibilità che si ricorra al giudice.
Bene, un tipo di arbitrato del genere non esiste da nessuna parte, neanche negli ordinamenti più liberisti. Io ho frequentato a lungo gli Stati Uniti e l’Inghilterra ed anche gli arbitri di quei Paesi (che, tra l’altro, sono anche professori universitari, quindi è un mestiere che potrebbe essere interessante) e siamo favorevoli all’arbitrato, lo abbiamo detto più volte, ed anche a rendere tale istituto più resistente. Noi, per esempio, avevamo detto che la parte in cui si afferma che l’arbitrato può essere fatto secondo le indicazioni dei contratti collettivi può essere assolutamente utile, anzi, avevamo anche detto che le parti dei contratti collettivi, siccome hanno creato dei diritti propri, possono disporre degli stessi e ritenere che l’arbitro possa decidere anche, come dire, interpretando liberamente le proprie clausole contrattuali. Questo sì, e questo è quello che si fa negli ordinamenti più avanti nell’uso dell’arbitrato. Tale norma avrebbe avuto il vantaggio di dare all’arbitro un largo spazio di manovra, che adesso non c’è e a me dispiace perché sono anni che diciamo che vorremmo che tale istituto venisse utilizzato di più. Ma una cosa è dire questo, altro è affermare che l’arbitro può decidere anche senza rispettare le norme inderogabili del diritto del lavoro.
Il richiamo presente nel testo ai principi generali del diritto è comunque utile ma è una norma generica. Infatti, avevamo detto di precisarlo: cosa vuol dire? Ci sono due argomenti che sono stati avanzati anche qui nel dibattito convulso di questi ultimi giorni che vorrei smontare. Mi si dice che il nostro diritto del lavoro è troppo rigido; se è troppo rigido e se il lavoratore odierno ritiene di non essere più un minus habens e di essere in grado di disporre liberamente di se stesso senza la protezione storica del diritto di lavoro, bene, si affrontino – come si è già fatto, del resto – le singole norme e si dica, ad esempio: «Questa norma è troppo rigida, la rendiamo più morbida, la deregoliamo». È successo negli ultimi anni, noi stessi qualche volta lo abbiamo fatto. Ma altro è dire questo, altro è affermare che mediante un arbitrato sregolato il singolo può dare mandato – perché c’è anche il singolo nella norma, non solo le parti collettive – all’arbitro di fare sostanzialmente strame – come si dice – delle norme del diritto del lavoro. Questo è assolutamente inaccettabile.
L’altro argomento che si avanza è: il lavoratore, in fondo, non è così un poveretto. Beh, no, non è un poveretto, però tutto il diritto del lavoro, almeno nei suoi aspetti fondamentali, è nato sul presupposto che il lavoratore vada protetto in alcuni ambiti fondamentali e lui non può rinunciare a tale tutela. Se io lavoratore scrivessi che rinuncio alle ferie, all’orario di lavoro o alla sicurezza, sarebbe un atto nullo contra legem. È la stessa cosa in questo caso, perché invece di farlo direttamente si dà all’arbitro la possibilità di stracciare le norme.
Questo è un aspetto che abbiamo richiamato da più di un anno ed è incredibile che in un sistema che non ha mai usato l’arbitrato, perché c’è un eccessiva diffidenza, a mio avviso, nei suoi confronti, adesso si passi da un uso nullo dell’arbitrato (sbagliato) a un uso selvaggio di tale istituto, che, ripeto, non vedo neanche negli Stati Uniti e nell’Inghilterra, Paesi notoriamente liberisti. Non è accettabile un modo di ragionare così: forse è inconsapevole (ma non credo perché è passato un anno e mezzo), ma è assolutamente devastante per il diritto del lavoro.
Notate che i colleghi Ichino e Morando hanno detto che, per quanto riguarda il pubblico impiego, ciò è sicuramente incostituzionale, perché, al di là del fatto che i direttori generali o i dirigenti del pubblico impiego siano più o meno collusi, se anche in buona fede un arbitro dicesse che una persona può essere promossa o assunta senza concorso passando da lavoratore co.co.co a lavoratore a tempo indeterminato ciò sarebbe chiaramente contrario all’articolo 97 della Costituzione, non ci piove.
Credo che una norma del genere – abbiamo fatto un ordine del giorno, con scarsa coerenza, come ha detto il senatore Ichino – non resisterebbe cinque minuti dinanzi alla Corte costituzionale. Ma anche la norma relativa all’arbitrato libero nel diritto privato, cioè nel rapporto di lavoro privato, nella quale si prevede che un singolo, da solo e senza l’assistenza dei sindacati, magari sotto assunzione o sotto rinnovo del contratto, può firmare un pezzo di carta in cui c’è scritto che l’arbitro può fare quello che vuole, credo che difficilmente potrebbe resistere alla Corte costituzionale, perché mi sembra contraria ai principi della Costituzione che dicono che la Repubblica è fondata sul lavoro, che tutela il diritto al lavoro e, all’articolo 35, che tutela il lavoro in tutte le sue forme. Sinceramente credo che anche questo aspetto sia molto opinabile. Per questo motivo abbiamo rivolto appelli reiterati a riconsiderare questa norma e ci sembra un dovere civico fondamentale denunciarla e votare contro l’approvazione dell’articolo. (Applausi dai Gruppi PD e IdV).

SACCONI (Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SACCONI (Ministro del Lavoro). Signor Presidente, colleghi senatori, intervengo molto brevemente soltanto per richiamare le origini di questo provvedimento. Il testo al nostro esame non soltanto è il frutto di un intenso lavoro parlamentare durato due anni – siamo alla quarta e mi auguro ultima lettura – ma soprattutto ha un’origine che voglio ricordare all’Aula per capire quanto ponderate siano state le considerazioni che hanno condotto a quell’equilibrio. L’autore fu Marco Biagi, tanto che una prima versione di questo testo faceva parte del cosiddetto disegno di legge Biagi che poi, proprio al Senato, fu stralciato su richiesta delle organizzazioni sindacali di una più attenta considerazione; quella stessa considerazione che poi ha portato alla novità, introdotta nell’ambito del percorso parlamentare, del rinvio alla contrattazione collettiva, o comunque ad una fase di intensa contrattazione collettiva della quale poi anche il Governo avrebbe dovuto tener conto in caso di conclusione non positiva.
Dico questo perché, ancora una volta, sento adoperare un linguaggio che per chi come me ha vissuto una certa stagione non può non indurmi a chiedere di contenere le pur legittime critiche che possono essere rivolte a questo testo entro quella moderazione che si consiglia in presenza di terzi che non hanno mai accompagnato civilmente il nostro dibattito, quei terzi che si sono purtroppo occupati di Marco Biagi.

MORANDO (PD). Questo cosa c’entra?

SACCONI (Ministro del Lavoro). Un linguaggio che non deve mai portare a far intendere che crollino le difese elementari del lavoro, che l’arbitrato per equità possa significare deroga a norme che, in quanto inderogabili (lo dice la legge stessa), non potrebbero essere certo non tenute in considerazione dall’arbitro ed ipotizzare uno scenario che onestamente non sarebbe nell’ordine delle cose possibili se un domani questo testo venisse approvato.
Solo queste riflessioni volevo rimettere all’Aula perché, ripeto, le pur legittime considerazioni e comprensibili critiche da parte dell’opposizione tengano conto di un percorso e tengano conto di approfondimenti che, in dottrina e in giurisprudenza, sono stati dati proprio a proposito dell’arbitrato per equità. (Applausi dal Gruppo PdL).

TREU (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TREU (PD). Aggiungo due sole notazioni. In primo luogo, noi abbiamo tutti un grande rispetto per Marco Biagi, ma non credo sia pertinente richiamarlo in questo momento. (Applausi dal Gruppo PD).

SACCONI (Ministro del Lavoro). Tu conosci quel testo, lo conosci meglio di me.

TREU (PD). Non c’entra niente! Per favore, lasciamo state in pace quelli che purtroppo sono morti!

Vengo al merito: è vero che durante la lunga discussione di questa normativa sono state coinvolte anche le parti sindacali, e infatti per un percorso si è cercato di ammettere un arbitrato gestito, controllato delle parti sociali, però, non dimentichiamo – e il Ministro lo sa – che c’è un altro pezzo della norma in cui l’arbitrato può essere fatto anche dal singolo, fuori da qualsiasi contratto e percorso contrattuale.
Un’ultima considerazione. Sono notoriamente una persona moderata, non ho mai enfatizzato le critiche e credo che persino in questa legislatura, che non è proprio tra le più felici, non ho mai fatto critiche dure. In questo caso mi sento in dovere di rivolgere critiche dure, ma rispettose, a tutti voi della maggioranza, e mi rivolgo sia ai presenti, che non sono certo degli estranei, sia a quelli che stanno fuori da quest’Aula, perché ne va di mezzo il principio fondamentale della nostra Costituzione e del diritto del lavoro. È chiaro che l’arbitro potrebbe anche comportarsi bene, ma bisogna pure che l’arbitro abbia delle guide. Noi avevamo proposto che l’arbitrato si potesse fare liberamente rispetto alle norme contrattuali, ma non rispetto alle norme di legge: è il modo normale per controllare e prevenire anche abusi in buona fede. (Applausi dai Gruppi PD, IdV e del senatore Astore).

MARCENARO (PD). Chi accusa Treu e Ichino di queste cose è un uomo che non ha il senso del limite.

[…]

PRESIDENTE. Passiamo all’esame dell’articolo 32, corrispondente all’articolo 34 del testo approvato dal Senato, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.

ICHINO (PD). Signor Presidente, in relazione all’emendamento 32.3 vorrei soltanto sottolineare che non ha alcun senso introdurre un termine in materia di impugnazione della somministrazione irregolare, dal momento che nella norma manca il dies a quo, cioè il momento dal quale il termine dovrebbe decorrere. Tale norma, così com’è, genererà soltanto un contenzioso infinito e facilmente evitabile.
Mi permetto di approfittare dell’occasione dell’illustrazione dell’emendamento 32.3 per far presente al ministro Sacconi che nelle carte e nei documenti che Marco Biagi ci ha lasciato prima di essere ucciso non c’è neanche una riga…

SACCONI (Ministro del lavoro). Il disegno di legge, l’arbitrato per equità. (Commenti dal Gruppo PD).

ICHINO (PD). Il disegno di legge di Marco Biagi non conteneva le norme che voi avete inserito in questo testo! (Applausi dai Gruppi PD e IdV). Non avete diritto di dare il nome di Biagi a queste norme. La legge Biagi è giusto che si chiami così, ma questo testo non ha nulla a che fare con il lascito intellettuale e tecnico di Marco Biagi.
Aggiungo un’altra cosa, ministro Sacconi. Lo stravolgimento dell’essenza del diritto del lavoro di cui ci ha parlato, in termini ineccepibili, Tiziano Treu, non porterà ad una liberalizzazione selvaggia, perché la stragrande maggioranza degli imprenditori italiani non utilizzerà queste norme per danneggiare i propri dipendenti.
Queste sono norme che servono per dare lavoro ai faccendieri, per erodere “al margine” i diritti dei lavoratori. (Applausi dal Gruppo PD). È lì che queste norme faranno danno. Quindi non ci uniamo al coro di chi dice che qui viene smantellato il diritto al lavoro, ma lamentiamo che questo Governo continua ad intervenire sistematicamente sui lavoratori di serie B e C e magari anche di serie D. È a loro che voi togliete i diritti, certo non al dipendente della grande impresa o comunque dall’imprenditore serio; e lì nell’area debole che queste norme mordono.
Su questo mi permetta di dire, Ministro: Marco Biagi non era dalla sua. (Prolungati applausi dai Gruppi PD e IdV. Congratulazioni).

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.

CASTRO (relatore). Signor Presidente, chiedo scusa per non essere stato pronto nella risposta, ma un grande turbamento personale mi ha colto e soltanto il rispetto che porto a quest’Aula mi ingiunge a non dare corso ad un’operazione, che trovo assolutamente impropria, di disappropriazione di una memoria per me personalmente sacra. (Applausi dal Gruppo PdL).
Constato solo – e non sto parlando di Marco Biagi – che sono state definite faccendieri le organizzazioni sindacali, le università, perché chi può certificare i contratti nell’ambito dei quali può essere attivata la procedura arbitrale sono soltanto i soggetti certificati e, in base alla legge Biagi, i contratti certificati possono essere resi tali solo dalle università, dalle organizzazioni bilaterali, dalle associazioni sindacali, le quali vengono tutte tacciate di essere faccendieri. (Applausi dal Gruppo PdL).

TREU (PD). No, non è così.

[…]

ICHINO (PD). Signor Presidente, poiché già in Commissione il Governo ha espresso parere negativo sull’emendamento 48.8 che riguarda gli stage, chiedo al ministro Sacconi quali siano le intenzioni del Governo in questa materia. In Italia abbiamo 400.000 stage censiti di cui una buona metà si svolgono seriamente, mentre gli altri costituiscono una forma di sfruttamento gratuito della manodopera giovanile; chiediamo al Governo se ha intenzione di affrontare questa questione o ritiene che questa parte del mercato del lavoro debba essere abbandonata a sé stessa, nonostante quanto accade sotto i nostri occhi quotidianamente. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

LE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALI PER I GRUPPI DEL PD E DEL PDL
(della dichiarazione di voto di P.I. per il gruppo del Partito Democratico è disponibile anche il testo scritto, più esteso e completo, allegato al resoconto sommario [3] della seduta del Senato del 3 marzo 2010)

ICHINO [6] (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signor Presidente, il disegno di legge in esame costituisce probabilmente la manifestazione più clamorosa della grave confusione di idee con cui il Governo si accosta al compito difficile e delicato di riformare il nostro diritto del lavoro. Il vero guaio è che il Governo non si limita a non affrontare i veri nodi cruciali della riforma necessaria, ma interviene in modo episodico e disorganico su tutto il resto (il sottosegretario Viespoli lo ha riconosciuto). Non c’è un disegno riformatore chiaro che non sia quello di erodere sistematicamente le protezioni nell’area del lavoro debole, del lavoro di serie B o di serie C, accentuando il dualismo del nostro sistema, il regime di vero e proprio apartheid che separa i lavoratori protetti dai poco o per nulla protetti.
Basta leggere il titolo caotico che è stato dato a questo disegno di legge per avere un’idea della sua disorganicità; quella disorganicità che, con notevole senso dell’umorismo, il relatore Maurizio Castro ha ribattezzato come «stratificazione normativa virtuosa»!
Nell’autunno scorso, quasi contemporaneamente, l’11 e il 12 novembre, sono state rivolte al Governo due sollecitazioni per un ripensamento profondo del modo in cui si è fin qui legiferato, soprattutto ma non soltanto nella materia del lavoro: una dall’Unione europea e una dall’opposizione. L’Unione europea con il Decalogue for Smart Regulation, emanato a Stoccolma, ha invitato tutti i legislatori nazionali alla sobrietà e semplicità nella produzione delle norme legislative, alla cura della loro idoneità ad essere lette e capite da tutti i loro destinatari. L’opposizione, dal canto suo, ha presentato proprio qui in Senato, per la prima volta da sessant’anni, un progetto di nuovo codice del lavoro organico in 70 articoli, con abrogazione di centinaia di leggi che oggi compongono la disordinatissima disciplina di questa materia (mi riferisco ai disegni di legge nn. 1872 e 1873 del 2009).
La maggioranza per un verso si è mostrata totalmente indifferente, impermeabile a questi due segnali; per altro verso è andata avanti a testa bassa con questo disegno di legge-minestrone, di difficilissima lettura anche per gli addetti ai lavori, che costituisce davvero un esempio di scuola della cattiva qualità della legislazione.
Alcune cose, certo, si leggono e capiscono molto bene in questo minestrone.
È chiaro a tutti il modo regressivo in cui avete ritenuto di affrontare il problema della povertà dell’offerta educativa attuale del nostro sistema per i giovani quindicenni che non proseguono gli studi. Invece di adottare misure capaci di allinearci con i Paesi più progrediti d’Europa, avete compiuto la scelta rinunciataria di abbassare di nuovo l’età dell’obbligo scolastico, facendo retrocedere ulteriormente il nostro Paese in una graduatoria europea nella quale già siamo in una posizione per nulla lusinghiera.
È ancora chiaro a tutti l’enorme spazio che si apre a ogni genere di malversazione con la previsione della possibilità di compromettere in arbitri le controversie in materia di pubblico impiego (articolo 31, comma 8), al punto che, nel momento stesso in cui questa norma viene varata, il Governo è costretto ad accogliere un ordine del giorno che lo impegna a emanare disposizioni per limitarne drasticamente l’applicazione.
Quanto all’arbitrato nelle controversie di lavoro del settore privato, anche un bambino capisce che consentire che vengano compromessi in arbitri sul piano individuale i diritti derivanti da norme inderogabili di legge, per di più senza il vincolo che vengano applicate le leggi che disciplinano la materia da parte degli arbitri, equivale a eliminare questa inderogabilità. Basta scegliere l’arbitro disposto a disapplicare la legge.
Vorrei precisare a tal riguardo, collega Castro, che non è vero che l’arbitrato può essere attivato soltanto con il contratto certificato, come lei ci ha detto in quest’Aula. La legge che state approvando prevede l’attivabilità dell’arbitrato in qualsiasi momento della controversia. (Applausi dal Gruppo PD). Non è vero che il certificatore ha la responsabilità di un controllo di merito sulla clausola compromissoria. Il certificatore ha la sola funzione di certificare la volontà negoziale delle parti e, se queste esprimono una volontà conforme a quanto previsto in questa legge, il certificatore non può negare la certificazione. Dunque, che cosa ci viene a dire il relatore a questo proposito?
C’era una cosa importante che andava fatta in materia di arbitrato e che abbiamo invano proposto e riproposto in sede di emendamento: consentire che i contratti collettivi disponessero la soluzione arbitrale delle controversie relative a diritti nascenti esclusivamente dai contratti collettivi stessi. Questo sì che avrebbe segnato una svolta virtuosa, dimezzando il contenzioso giudiziale. Tutte le vertenze in materia di retribuzione o di inquadramento professionale avrebbero potuto essere oggetto della clausola collettiva compromissoria. Oggi, in Italia, il 47 per cento delle controversie riguarda proprio questioni retributive, a cui se ne aggiunge un 18 per cento in materia di inquadramento. Quindi, più della metà delle controversie giudiziali avrebbe potuto essere eliminata e passata alla competenza arbitrale. Ma, incomprensibilmente, avete rifiutato questa che sarebbe stata la vera riforma da fare per promuovere l’arbitrato nel nostro Paese. La cosa curiosa è che questa scelta è incomprensibile anche per voi, dal momento che non avete saputo indicare alcun motivo per il vostro rifiuto, e avete invece deciso di consentire la clausola compromissoria pattuita al livello individuale, della quale già detto.
Norme come questa che state varando non verranno utilizzate dagli imprenditori seri, i quali non cercano scappatoie per aggirare i diritti dei loro dipendenti. Norme come questa allargheranno ancora un poco gli spazi marginali di elusione del diritto del lavoro. E questi spazi consentiranno di lucrare qualche rendita a qualche faccendiere in più. Ripeto che con ciò non mi riferisco né agli enti bilaterali nè alle organizzazioni sindacali, ma a chi organizzerà l’elusione al margine, con gli imprenditori meno seri. Non sono certo queste le riforme di cui il nostro sistema di relazioni industriali ha bisogno.
Ma quello che colpisce nel vostro modo di affrontare i mali che affliggono il nostro diritto del lavoro sono gli esiti paradossalmente opposti a ciò che voi stessi vi proponete di conseguire, che vengono prodotti da quello che il senatore Castro magnifica come il metodo della “stratificazione normativa virtuosa”. Faccio due soli esempi.
Incapaci di affrontare seriamente, organicamente, il problema dell’equilibrio tra libertà di impresa e responsabilità sociale dell’impresa, vi siete proposti un intervento di surrettizio depotenziamento del controllo giudiziale sulle scelte imprenditoriali in materia di giustificato motivo di trasferimento, licenziamento, organizzazione aziendale. È surrettizio: perché, altrimenti, non si spiegherebbe il fatto che abbiate preferito nasconderlo sotto una rubrica che dice tutt’altro, come quella che avete dato all’articolo 30 che dice: «Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro». Ma avete compiuto questo intervento in modo così maldestro che, nel comma 3 dello stesso articolo 30, siete riusciti a infilare una disposizione che estende oltre ogni limite la discrezionalità del giudice, consentendogli di ergersi a unico interprete nientemeno che dell’«interesse oggettivo dell’organizzazione aziendale». In questo modo avete definitivamente espropriato non solo le imprese, ma anche il sistema stesso delle relazioni industriali, di ogni autonomia, attribuendo ai giudici del lavoro un ruolo che non è attribuito loro su questo terreno in nessun altro Paese occidentale. Voi lo sapete bene, perché non solo le organizzazioni sindacali, ma anche Confindustria ed altre associazioni imprenditoriali hanno protestato per questo e hanno rilevato l’assurdo paradosso di questa norma.
Che cosa rispondete alle proteste dei protagonisti del sistema di relazioni industriali?
Ancora peggiore è il pasticcio che avete fatto a proposito dell’articolo 32 sui contratti a termine, dove volevate sostituire la sanzione della reintegrazione e della conversione del contratto a tempo indeterminato ed invece avete aggiunto la sanzione indennitaria a quella precedente. ( Brusìo).
Colleghi della maggioranza, credetemi, questi 50 articoli che state aggiungendo alle 2.000 pagine del nostro vetusto codice del lavoro non fanno fare al nostro tessuto produttivo alcun passo avanti. Ciò di cui abbiamo bisogno per rendere più organico, credibile e realmente applicabile universalmente il nostro diritto del lavoro per le nuove generazioni, per i nostri figli, che oggi il diritto del lavoro non lo vedono neppure da lontano, non è questo che state facendo.
In attesa che apriate gli occhi noi, ovviamente, non possiamo che votare contro questo ultimo brutto capitolo della stagione delle mancate riforme del nostro mercato del lavoro. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Astore. Congratulazioni).

PRESIDENTE [7]. Onorevoli colleghi, non ho voluto interrompere il senatore Ichino, ma il fatto che vi siano tante persone in piedi nell’emiciclo credo sia un problema per tutti, non solo per la Presidenza.

GIULIANO [8] (PdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO (PdL). Signor Presidente, il mio intervento sarà brevissimo. Il provvedimento giunge in quarta lettura al Senato. Vi è stato un dibattito molto proficuo sia all’interno delle Commissioni che in Aula. Sono stati trattati temi molto delicati e sono sorte anche polemiche talvolta su presupposti di fatto non veritieri o, addirittura, quando ci si è accaniti in modo particolare sull’arbitrato evocando il problema dell’equità e paragonandolo ad una sorta di arbitrarietà. Evidentemente i due concetti sono assolutamente confliggenti e contrastanti, tanto è vero che in materia di equità sia il senatore Treu che il senatore Ichino sanno benissimo che ci si uniforma alle norme generali del diritto. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP).
Le chiedo, signor Presidente, l’autorizzazione a consegnare il testo integrale del mio intervento. Colgo l’occasione per ringraziare i colleghi delle Commissioni riunite 1a e 11ª per il grande e proficuo lavoro svolto. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP. Congratulazioni).

PRESIDENTE [7]. La Presidenza l’autorizza in tal senso, senatore Giuliano.

***

Dal resoconto stenografico della seduta pomeridiana del Senato, del 28 settembre 2010 [5]

PRESIDENTE – Ha chiesto la parola il senatore Ichino. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signor Presidente, colleghi, l’emendamento 30.116, al quale si riferisce il mio intervento, tocca un aspetto particolarmente importante, che cerco di spiegare in breve. In materia di arbitrato, c’e` un punto su cui tutti i sindacati maggiori e le associazioni imprenditoriali sono pienamente d’accordo, un che costituisce addirittura, da sempre, una bandiera di una delle confederazioni sindacali maggiori, la CISL: l’arbitrato deve poter essere, laddove le parti lo decidano, la voce del contratto collettivo. Sulle materie su cui il contratto collettivo dispone in modo sovrano, che non sono oggetto di norma inderogabile di legge, la clausola compromissoria deve poter essere introdotta nel contratto collettivo, affinché su quelle materie sia il contratto stesso, che è fonte unica della disciplina, a disporre circa la soluzione delle eventuali controversie in proposito. A questo tende l’emendamento che proponiamo e che inspiegabilmente – vi chiedo di fare particolare attenzione su questo punto – inspiegabilmente è stato respinto in seconda e in quarta lettura. Chiedo al relatore di spiegarci, almeno in questa sede, per quale motivo su questo emendamento egli abbia espresso parere contrario. In privato, non in Aula, il relatore Castro mi ha detto che questo emendamento è superfluo; non mi ha detto che è sbagliato, ma che è pleonastico, perché l’articolo 412-ter del codice di procedura civile, nel testo che abbiamo riscritto in questo provvedimento legislativo, già prevede che la conciliazione e l’arbitrato «possono essere svolti altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi». Sennonché questa formulazione non dice affatto che la clausola compromissoria possa essere introdotta nel contratto collettivo sulle materie su cui questo detta una disciplina in modo sovrano, essendo la materia sottratta a norme inderogabili di legge. Dice solo che il contratto stabilisce modi e tempi di svolgimento dell’arbitrato. Se ci limitiamo a questa formulazione, non otteniamo il risultato che invece andrebbe perseguito: cioè quello di promuovere l’arbitrato nel modo giusto, là dove esso va veramente promosso, cioè sulle materie che sono oggetto esclusivo di contrattazione collettiva. A questo si dovrebbe puntare, ma la disposizione contenuta nel testo al nostro esame non consegue questo risultato. Vi chiedo, allora, perché volete espandere l’arbitrato nella direzione sbagliata, facendo in modo che le parti individuali possano compromettere in arbitri materie che sono disciplinate inderogabilmente dalla legge, e non consentite invece che l’arbitrato svolga la funzione che gli è propria in tutti i Paesi più avanzati e civili del nostro, cioe` la funzione di voce del contratto collettivo sulle materie su cui il contratto collettivo stesso opera in modo sovrano? Chiedo al relatore di spiegarci per quale motivo questo emendamento viene respinto. Se egli non ci dara` una spiegazione, chiedo che l’Aula ne tragga le conseguenze e accolga l’emendamento 30.116. Altrimenti si confermerà in pieno la contraddizione di fondo di questa legge, che promette qualcosa che non potrà mantenere. L’arbitrato che state qui delineando finirà col non avere alcuna applicazione pratica, per le complicatissime procedure di cui lo avete circondato. Quindi, anche nella direzione sbagliata in cui lo avete voluto estendere, non produrrà risultato. Per converso, in questo modo non diamo alcun contributo allo sviluppo dell’arbitrato nella direzione giusta.

Chiedo che il relatore ci dia spiegazioni su questo punto. Se la spiegazione è soltanto che l’articolo 412-terdel codice di procedura civile, nella nuova formulazione che gli abbiamo dato, prevede la stessa cosa che è prevista nel nostro emendamento, chiunque può constatare che le cose non stanno così. Insomma, la spiegazione del vostro voto contrario non può essere questa: trovatene un’altra. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.

Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.