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SUPERSTAGES CALABRESI: SE NON ELABORATE VOI LA STRATEGIA PER IL RISCATTO DELLA VOSTRA TERRA, CHI DOVREBBE FARLO?

AL TERMINE DELL’ESPERIENZA COMPIUTA I “SUPERSTAGISTI” CONSTATANO CON AMAREZZA LA POVERTA’ (SE NON ASSENZA TOTALE) DEL CONTENUTO FORMATIVO DELLO STAGE CHE E’ STATO OFFERTO LORO E L’ASSENZA DI PROSPETTIVE PROFESSIONALI COERENTI 

Le due lettere, pervenute il 24 maggio 2010, fanno seguito alla mia risposta a una prima lettera [1], nella quale una rappresentanza degli stagisti partecipanti al programma manifestava la loro delusione per l’esito pesantemente negativo del programma – Segue una mia seconda risposta

Caro senatore Ichino,
Lei sostiene che noi del Programma Stages eravamo a conoscienza fin dall’inizio del difetto del contenuto formativo del nostro stage, ma, per quanto si poteva essere scettici su alcune modalità organizzative intraprese dalla Regione Calabria, le pare obiettivo e corretto da parte Sua accusarci di connivenza solo perchè, dopo aver superato una selezione rigidissima, abbiamo accettato di seguire una strada che aveva tutta la parvenza di essere costruttiva per il nostro futuro e la nostra carriera? Una strada, tra l’altro, mai intrapresa fino a quel momento in tutta Italia, e quindi non avevamo alcun metro di paragone a cui rapportarci per intuirne il fallimento.
Si rende conto che a dei giovani volenterosi e titolati come noi che non vogliono o non possono abbandonare la propria terra sta suggerendo di scegliere “l’alternativa vecchia come il mondo andare a lavorare dove le buone imprese sono già insediate”? Questo le sembra un suggerimento utile?
E’ poi paradossale, come le ha già scritto la mia collega, che si associ gente come noi allo sperpero di danaro pubblico. In una Italia in generale, e in una Calabria in particolare, contraddistinte da superstipendi di politici a vario titolo, accompagnati da vitalizi, privilegi e benefici, investimenti inutili, strutture costruite ma mai operative, costi della giustizia, sprechi e assenza di controlli sugli uffici pubblici e sui dispositivi medici (potrei continuare all’infinito…!), la maglia nera, il motivo per cui va tutto a rotoli, la causa per cui finiremo come la Grecia, saremo noi?
Perché piuttosto non si fanno concretamente controlli sui dipendenti pubblici perennemente assenti sul posto di lavoro, fannulloni, improduttivi, demotivati e non qualificati? Perché non vengono rimossi dai loro incarichi?
E poi perché, caro Senatore, Lei che è una persona degna di grande stima, si ostina a volerci far passare come dei parassiti che si piangono addosso e che puntano solo ad un vitalizio? Ogni partecipante a questo Programma è un giovane volenteroso, supertitolato, degno di rispetto e di ammirazione, tutto fuorché un parassita che chiede mera assistenza. Noi chiediamo opportunità, non ci interessa la forma, se privata o pubblica, spetta alle istituzioni trovare il modo, certo è che nella Repubblica che i nostri padri costituenti vollero fondata sul lavoro, è ridicolo anche solo pensare che tocchi a noi sollevare queste questioni che andrebbero risolte dai politici senza battere ciglio!
Cordiamente,
dott. Antonio Tripodi

Caro senatore,
la sua disamina su come sviluppare i territori puntando all’imprenditorialtà di qualità non fa una piega. Purtroppo però noi non abbiamo alcuna incidenza per favorire questo, ma è compito che spetta alle Istituzioni in senzo lato.
Nessuno di noi chiede allo Stato-Mamma o Regione-Mamma vitalizi, chiediamo solo che i cervelli vanno coltivati offrendo opportunità concrete, lasciando che il merito abbia il sopravvento e senza negare lavoro. A tutti secondo i bisogni, da ciascuno secondo le capacità. Formule tanto semplici da essere applicate in Paesi d’Europa e di altri mondi, da governi di destra e sinistra, ma paradossalmente tutto ciò non accade in gran parte di quella Repubblica che i nostri padri costituenti vollero fondata sul lavoro.
Già il “lavoro”, che pretesa assurda che abbiamo!
Cordialmente,
Francesca Greco

In entrambe queste lettere compare questa notazione:  “spetta alle istituzioni trovarci una opportunità di lavoro” . Il problema sta proprio qui: se la Calabria intende continuare a far parte dell’Unione Europea, non può essere questa la concezione del sistema economico, del mercato del lavoro. Anche in Calabria, come in ogni altro Paese del mondo occidentale moderno, deve essere il sistema delle imprese, non la mano pubblica, a produrre la maggior parte delle opportunità di lavoro, a valorizzare il capitale umano disponibile nella regione. Se ciò non accade, se gli investimenti latitano, occorre individuare gli ostacoli ed eliminarli; occorre una strategia. Nella mia risposta alla prima vostra lettera [1] vi ho esposto le mie idee al riguardo, senza alcuna pretesa che siano le migliori. Se non vi convince quella linea di pensiero e di azione, qual è la vostra? Siete tutti laureati eccellenti: se non elaborate voi la strategia per il riscatto della vostra terra, chi dovrebbe farlo? Non potete continuare a crogiolarvi nell’idea che “debba pensarci qualcun altro”. Quello che dovete rivendicare dalle istituzioni statuali è rigore ed efficacia nella lotta contro la criminalità organizzata, maggiore efficienza e produttività delle amministrazioni pubbliche, rimozione degli ostacoli all’incontro fra domanda e offerta di lavoro; ma lo sviluppo di un’economia fiorente, nella quale tutti i calabresi possano trovare facilmente opportunità di buon lavoro, deve essere perseguito dai calabresi stessi coll’ingaggiare il meglio dell’imprenditoria disponibile, su scala mondiale, contrattando con essa i piani industriali più innovativi, scommettendo sulla loro realizzazione anche a costo di rischiare in questa scommessa una parte del reddito e del lavoro investito: se non siete voi a crederci e a essere disposti a questa scommessa, perché dovrebbero crederci gli investitori che vengono da lontano?   (p.i.)