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PER LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO OCCORRONO MOLTI PIANI DI INVESTIMENTO COME QUELLO DI POMIGLIANO

NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI  LA CLAUSOLA DI TREGUA SINDACALE E QUELLA PER IL CONTRASTO ALL’ASSENTEISMO ABUSIVO, PROPOSTE DALLA FIAT, SONO CONSIDERATE LEGITTIME E PRATICATE NORMALMENTE – DAVVERO POSSIAMO PERMETTERCI DI RIFIUTARLE, IN UN PAESE COME IL NOSTRO CHE HA FAME E SETE DEGLI INVESTIMENTI DELLE GRANDI IMPRESE MULTINAZIONALI?

Articolo pubblicato sul sito Lavoce.info [1] il 18 giugno 2010 – Sulla prova di inadeguatezza che il nostro sistema delle relazioni industriali sta dando a Pomigliano, v. anche la mia Lettera sul Lavoro [2] pubblicata il 14 giugno 2010 sul Corriere della Sera – V. anche il mio editoriale per la Newsletter n. 108 [3], del 21 giugno 2010, e Cronaca immaginaria di un accordo mai negoziato (ovvero: perché l’Italia non riesce ad attirare gli investimenti stranieri) [4]

            Le due clausole dell’accordo che la  Fiom-Cgil denuncia come contrarie alla legge, e per alcuni aspetti anche alla Costituzione, sono queste: una in materia di malattia, che esclude il pagamento della retribuzione per le giornate di astensione dal lavoro in cui si verifichino aumenti anomali dei tassi di assenza in corrispondenza con eventi esterni di natura diversa da epidemie (per esempio: la partita di calcio giocata al mercoledì); l’altra in materia di sciopero, che vieta la proclamazione di – e la partecipazione dei singoli lavoratori a – scioperi volti a “rendere inesigibile” l’attuazione dell’accordo stesso (per esempio: uno sciopero dello straordinario, che renda inesigibili le 80 ore annue di “straordinario obbligatorio” previsto in funzione della variabilità delle esigenze produttive).
            A me sembra che possano esserci altri motivi di ragionevole rifiuto dell’accordo, come la pesantezza dei ritmi di lavoro o i turni notturni, ma che le clausole sui tassi anomali di assenze e la clausola di tregua sindacale siano, invece, non soltanto pienamente legittime, ma anche molto sensate, sia dal punto di vista dell’interesse dell’impresa, sia da quello dell’interesse dei lavoratori.

            1. – Sulla materia del trattamento economico del lavoratore assente per malattia, a carico del datore di lavoro, la sola norma legislativa generale oggi in vigore è l’articolo 2110 del Codice civile, che attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire entità e limiti della retribuzione dovuta all’infermo. Fino ai rinnovi contrattuali del 1972, quasi tutti i contratti collettivi prevedevano che il trattamento retributivo decorresse dal quarto giorno di assenza: i primi tre giorni – detti “di carenza” – costituivano dunque un periodo di franchigia, nel quale il lavoratore non era retribuito. Dal 1972 quasi tutti i contratti collettivi hanno previsto invece la retribuzione anche per i primi tre giorni; ma in numerose occasioni si sono registrate disposizioni collettive che, al fine di incentivare la riduzione delle assenze per malattia, hanno limitato il relativo trattamento, istituendo dei “premi di presenza”, oppure voci retributive escluse dal trattamento stesso.
            In questo ampio spazio che la legge attribuisce alla contrattazione collettiva rientra sicuramente anche la possibile reintroduzione di uno o più giorni “di carenza”, collegati o no a determinate circostanze oggettive. E’ quanto dispone la clausola n. 8 dell’accordo, che prevede il non pagamento della retribuzione nel caso in cui si verifichino dei tassi anomali di assenza dal lavoro “in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche”. La disposizione è strutturata in funzione di contrasto a forme di assenteismo abusivo che si sono registrate con notevole frequenza, in occasione della trasmissione televisiva di importanti partite di calcio, oppure della proclamazione di scioperi.
             Tutti i numerosi giuslavoristi con cui ho avuto occasione di discuterne in questi giorni concordano sul punto che questa disposizione non contrasta con alcuna disposizione di legge. Certo, essa configura una deroga – seppur marginale – rispetto al contratto collettivo nazionale per il settore metalmeccanico, il quale non prevede eccezioni al pagamento dell’intera retribuzione nei primi tre giorni di malattia. Ma è pacifico in giurisprudenza e in dottrina che il contratto collettivo nazionale può essere validamente derogato da un contratto aziendale. Il problema riguarda soltanto il campo di applicazione di quest’ultimo: l’applicazione è estesa a tutti i dipendenti dell’azienda soltanto se esso è stipulato unitariamente da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale stesso (ed è questo il motivo per cui la Fiat chiede che l’accordo aziendale sia firmato, appunto, da tutte).

             2. ‑ La disposizione n. 13 della bozza, denominata “clausola di responsabilità”, commina la decadenza dai diritti previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro per l’organizzazione sindacale firmataria dell’accordo aziendale che proclami uno sciopero (o altra forma di agitazione) volto a “rendere inesigibili” le condizioni di lavoro previste nell’accordo stesso. Si tratta, in sostanza, di un patto di tregua sindacale, che è oggi considerato pacificamente valido e vincolante per il sindacato che lo stipula. La Fiom-Cgil contesta tuttavia la parte della disposizione che qualifica come illegittimo anche il comportamento dei singoli lavoratori i quali aderiscano a uno sciopero (o altra forma di agitazione) proclamato in violazione del patto di tregua. A me sembra che, se la proclamazione dello sciopero è illegittima per violazione di un patto di tregua validamente sottoscritto dal sindacato proclamante (e qui la Fiat chiede – comprensibilmente – che esso venga sottoscritto da tutti i sindacati presenti in azienda), debba considerarsi illegittima anche l’adesione del lavoratore a quello sciopero: mi sembra pertanto che anche quest’ultima parte della disposizione proposta debba considerarsi pienamente valida.
            Osservo, peraltro, che la pretesa inefficacia della clausola di tregua nei confronti dei singoli lavoratori priverebbe i lavoratori stessi e il sindacato che li rappresenta della principale “moneta di scambio” di cui essi dispongono al tavolo delle trattative. Non è un caso che in nessun altro ordinamento europeo si applichi una regola che esenti i singoli lavoratori da responsabilità per l’adesione a uno sciopero illegittimo.

            La tesi contraria – sostenuta da una parte dei giuslavoristi italiani ma priva di qualsiasi fondamento testuale nella legge vigente – secondo cui il diritto di sciopero costituirebbe una prerogativa del singolo lavoratore, di cui il sindacato non potrebbe disporre con il patto di tregua, è smentita dalla legge che regola lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (L. n. 146/1990), dove si attribuisce alle organizzazioni sindacali il potere di negoziare i codici di regolamentazione settore per settore, con effetti direttamente vincolanti anche per i singoli lavoratori. Quella tesi è comunque funzionale a un modello di relazioni industriali – quello della cosiddetta “conflittualità permanente” – che in Italia sopravvive, a dispetto di quella legge, nel solo settore dei trasporti, ma è ormai quasi completamente superato in tutti i settori manifatturieri.

            3. – Lo scenario in cui questo dibattito si colloca è quello di un’Italia affamata di investimenti, indispensabili per tornare a crescere; e penultima in Europa (davanti alla sola Grecia) per capacità di attirarli: vedi la tabella che segue. Questa “fame” è fortemente accentuata nel Mezzogiorno, dove il bisogno di crescita economica è assai maggiore che nel resto del Paese e le condizioni del mercato del lavoro assai peggiori.
            L’Italia ha un solo modo per ricominciare a crescere e per tirar fuori le proprie regioni meridionali dal sottosviluppo che le caratterizza: riuscire a ingaggiare il meglio dell’imprenditoria mondiale e a intercettare gli investimenti nel mercato globale dei capitali in misura molto superiore all’attuale. Per questo non occorrono soltanto amministrazioni pubbliche più efficienti, infrastrutture meno difettose e servizi alle imprese meno cari, ma occorre anche un sistema di relazioni industriali nel quale i patti di tregua garantiscono la tregua per davvero, come tutto il resto d’Europa; e sindacati disposti a negoziare con gli imprenditori le misure (legittime) idonee a contrastare efficacemente abusi radicati come quello del “mettersi in malattia” per assistere alla partita.
            Per questo la vicenda di Pomigliano è di importanza cruciale per tutto il Paese: basti pensare a quale messaggio verrebbe dato alle imprese multinazionali di tutto il mondo, se la vicenda dovesse concludersi con il rigetto, da parte del nostro sistema di relazioni industriali, di un investimento di 700 milioni motivato con l’intangibilità della prassi della conflittualità permanente e con il rifiuto di disposizioni – in sé legittime e del tutto ragionevoli – volte a contrastare l’assenteismo abusivo.

FLUSSI DI INVESTIMENTI ESTERI NEI PRINCIPALI PAESI EUROPEI
(dati in percentuale del PIL)

 

2004

2005

2006

2007

2008

2004-08

ESTONIA

8,12

21,11

10,76

12,86

8,33

61,18

LATVIA

4,63

4,45

8,35

8,27

4,47

30,17

SLOVAKIA

7,21

5,12

8,52

4,42

3,66

28,93

CZECH REPUBLIC

4,55

9,3

3,82

6,07

4,99

28,73

UNITED KINGDOM

2,58

7,84

6,52

6,63

3,66

27,23

HUNGARY

4,41

6,97

6,67

4,41

4,21

26,67

NETHERLANDS

0,75

7,55

1,11

15,45

-0,41

24,45

LITHUANIA

3,43

4,01

6,18

5,26

3,89

22,77

FRANCE

1,58

3,97

3,47

6,2

4,16

19,38

SPAIN

2,37

2,21

3

1,96

4,09

13,63

PORTUGAL

1,08

2,12

5,6

1,37

1,45

11,62

FINLAND

1,49

2,43

3,65

5,05

-1,55

11,07

GERMANY

1,33

1,7

1,96

1,7

0,68

7,37

ITALY

0,97

1,13

2,12

1,92

0,75

6,89

GREECE

0,91

0,25

2

0,61

1,43

5,2

Fonte: UNCTAD

FDI Stat

         

Unità di misura:

% del PIL