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PER POMIGLIANO C’E UNA SOLUZIONE POLITICA

NON E’ SOLO IL NOSTRO MEZZOGIORNO AD AVERE BISOGNO DEL PIANO INDUSTRIALE DI MARCHIONNE: E’ ANCHE IL PD AD AVERNE BISOGNO PER FARE I CONTI CON LE SFIDE ATTUALI CUI DEVE FAR FRONTE IL SISTEMA ITALIANO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI

Articolo di Franco Debenedetti pubblicato sul Foglio del 15 luglio 2010 – V. la formulazione possibile di un intervento legislativo snello suscettibile di introdurre utilmente il principio di democrazia sindacale [1], cui fa riferimento F.D. in questo articolo, nel nostro sistema di relazioni industriali

Dilaga il mal di coalizione, contagia sia maggioranza sia opposizione, per ragioni in qualche modo opposte. Il centrodestra per i numeri di cui dispone in parlamento e per le libertà che grazie ad essi pensa di potersi concedere; il centrosinistra, colpito per primo dal male, per l’esiguità di consensi sicuri al suo nucleo centrale, e per l’ansia di trovare scorciatoie alla costruzione, mattone su mattone, della propria identità. Dopo la fatidica alleanza con l’IDV, nell’ultima stagione da un lato ha consentito che si ricostituisse una sinistra intorno alla figura di Niki Vendola, e dall’altro lato, ignorando le trasmigrazioni, ha mandato segnali di disponibilità, peraltro non corrisposta, alla UDC di Casini. Così limitando lo spazio di manovra e rendendo incerta la linea politica: come dimostra, in modo emblematico, la vicenda di Pomigliano.
Di fronte al rifiuto della FIOM-CGIL di firmare insieme agli altri sindacati il patto con la FIAT, la direzione del PD ha scelto di approvare l’accordo, ma come fatto eccezionale non ripetibile. Ricordiamo i due punti intorno a cui ruota tutta la questione: se le clausole di deroga al contratto nazionale e di tregua sindacale firmate da sindacati che rappresentano la maggioranza dei lavoratori, oppure confermato in referendum dalla maggioranza dei lavoratori, siano vincolanti solo per i sindacati stessi oppure anche per i singoli lavoratori cui l’accordo si applica.  Per fare un esempio: se un lavoratore possa aderire a un sciopero proclamato da una sigla di minoranza, ma non dal sindacato a cui è iscritto. La FIOM – e una parte del PD incominciando da Sergio Cofferati – sostiene che così si andrebbe contro gli articoli 39 (“l’organizzazione sindacale è libera”) e 40 (“il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”) della Costituzione. Non considerano che, se avessero ragione, sarebbe anticostituzionale anche la legge che demanda ai sindacati di negoziare il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali: invece quella legge è del 1990 e mai ne è stata messa in dubbio la costituzionalità.
Per i sindacati sono questioni vitali. Per il PD, a causa del “mal di coalizione”, diventano vitali perché rendono manifesta l’incertezza sulla propria identità politica, e per il dilemma logico in cui ci si caccia. Infatti se davvero con questo patto venissero lesi diritti costituzionalmente garantiti, né stato di eccezione, né milioni di investimenti, né scelte strategiche aziendali varrebbero a giustificarli. Se invece in questione non sono diritti degli individui, ma discipline contenute nei contratti collettivi, frutto di una elaborazione dottrinale degli anni ’50 e ’60, e oggi diventate inattuali, allora il caso Pomigliano è l’occasione per definire, con interpretazioni o se necessario con legge ordinaria, il modo con cui calare l’insieme delle garanzie  previste dalla Costituzione nella realtà dei rapporti di produzione in questa Italia, in questo momento storico.
Che occasione persa! In un’Italia ( ancora più in un Mezzogiorno) che solo grazie alla Grecia è penultima in Europa per investimenti esteri, invece di accettare con riserve e maldipancia una Pomigliano, un PD avrebbe dovuto invocarne cento. Cento Pomigliano ci vorrebbero per assorbire le centinaia di migliaia di operai che nel Mezzogiorno lavorano in nero senza sindacati, senza diritti, senza contributi, a 700-800 € al mese: una situazione che Stato (e sindacato) tacitamente accettano per lo “stato di eccezione”, l’impatto che la regolarizzazione di quelle situazioni avrebbe sulla tenuta economica e sociale. Certo che le interpretazioni vetero-sindacali dei contratti collettivi non sono la sola causa dei mancati investimenti e della economia nera: ma altrettanto certamente ne sono una delle principali. Perché non incominciare da lì? Perché il PD non vi vede l’occasione alta per guarire dal mal di coalizione?
Il referendum offrirebbe al PD l’occasione per diventare di nuovo protagonista. Il Governo spinge per andare avanti “a forza di maggioranza” come se nulla fosse accaduto; la FIOM cerca di rallentare, annunciando un’apertura che non potrà toccare il punto di fondo, cioè la portata dei contratti collettivi; la FIAT è in comprensibile imbarazzo, presa tra la necessità di assicurarsi livelli di produttività finora sconosciuti in quel contesto, e l’impegno a non deludere sindacati e lavoratori che, a maggioranza, le hanno dato fiducia.  Ad uscire dall’impasse potrebbe servire una legge ordinaria: riconoscere che la clausola di tregua contenuta in un contratto vincola non solo i sindacati che l’hanno stipulato, ma anche i lavoratori a cui il contratto si applica; e consentire la possibilità di deroga del contratto nazionale da parte del contratto aziendale stipulato dalla coalizione maggioritaria o comunque approvato a maggioranza dia lavoratori con il referendum. Sono norme di democrazia sindacale contenute dal disegno sulla partecipazione di lavoratori nell’azienda, elaborato con consenso bi-partisan al Senato, ma fermo in commissione Lavoro da più di un anno.
Non è solo il Mezzogiorno ad avere bisogno delle “cento Pomigliano”; è anche il PD che non deve perdere l’occasione di smarcarsi dal “problema di coalizione” . Dovrebbe solo creare lo spazio e assicurare appoggio alla rapida approvazione di una norma su questa falsariga. L’altra strada è quella di continuare a considerare Pomigliano una sofferta necessità, di elucubrare sui possibili effetti dell’unione con la Chrysler, della scissione della Fiat, delle ambizioni di Marchionne, degli interessi degli Agnelli. Salvo poi finire insieme alla FIOM a pendersela con il Governo perché rimanderebbe a nominare il sostituto di Scajola e perché “non avrebbe un progetto per l’auto”.