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RIFORMA UNIVERSITARIA: LE RAGIONI DI UN DISSENSO

HO RISPETTATO DISCIPLINATAMENTE LA LINEA TENUTA DAL PD SUL DISEGNO DI LEGGE GELMINI IN SENATO, MA NON LA CONDIVIDO: MI SEMBRA CHE, PUR CON NUMEROSI DIFETTI,  IL PROGETTO DI RIFORMA VADA NELLA DIREZIONE GIUSTA

Editoriale per la Newsletter n. 114 – 2 agosto 2010

     Nella home page di questo sito compare stabilmente, fin dalla sua nascita, il patto sulla base del quale due anni e mezzo fa accettai la candidatura al Parlamento nelle liste del Pd: lealtà verso il partito nel voto in Aula e in Commissione, lealtà verso lettori ed elettori nel dire sempre tutto quello che penso, anche se in contrasto con la linea del Partito. A questo patto mi sono attenuto nella discussione in Senato sul disegno di legge della ministra Gelmini: ho votato, secondo le indicazioni del mio gruppo, contro il disegno di legge; ma ho il dovere di chiarire che, se fosse dipeso solo da me, avrei votato a favore. A me sembra – e su questo mi trovo, per questa e questa sola volta, a concordare con la posizione assunta in Senato da Francesco Rutelli e dalla sua Alleanza per l’Italia – che la riforma muova nella direzione giusta sia con l’introduzione della valutazione sugli Atenei e sui singoli professori e ricercatori, sia con la previsione dell’assunzione a termine dei ricercatori e del principio up or out (“alla scadenza del contratto, o vieni promosso, o vai a lavorare nella scuola media superiore, utilizzando il titolo acquisito”), sia con la nuova disciplina dei concorsi, sia infine con la nuova ripartizione delle prerogative di governo degli Atenei fra senato accademico e consiglio di amministrazione, con maggiore spazio ai finanziatori esterni. I motivi di questa mia opinione sono – a grandi linee – gli stessi che si trovano espressi nell’editoriale di Irene Tinagli [1] sulla Stampa di venerdì scorso e in quello della stessa economista del 24 luglio [2], ma anche negli editoriali di Francesco Giavazzi [3] sul Corriere della Sera del 22 luglio scorso e di Michele Salvati [4] sullo stesso quotidiano  del giorno dopo.
     C’è il problema dei tagli economici recati dalla manovra di Tremonti, i quali certo soffocano la nostra Università. Ma se questa fosse capace finalmente di stanare, attraverso un rigoroso processo di valutazione, tutti i professori che da decenni non aggiornano i propri corsi, o che li scaricano sui propri ricercatori e assegnisti, così come tutti i professori o ricercatori che da anni non producono alcun contributo scientifico apprezzabile, se l’Università incominciasse a individuare ed eliminare queste situazioni di vera e propria rendita parassitaria, essa potrebbe recuperare risorse molto superiori rispetto a quelle che i tagli di Tremonti le tolgono. Gli strumenti per fare questo in parte già ci sarebbero, se presidi e rettori esercitassero fino in fondo le proprie prerogative; in parte vengono rafforzati dal disegno di legge Gelmini. Sono ancora insufficienti? Rivendichiamo maggiore incisività e determinazione. Ma non è questo un buon motivo per opporci al primo passo che viene compiuto, con questo disegno di legge, in una direzione che mi sembra proprio quella giusta.