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“PIANO TRIENNALE DEL LAVORO”: SACCONI RINVIA ANCORA LO “STATUTO”

SACCONI TORNA AD ANNUNCIARE UN NUOVO “STATUTO DEI LAVORI”, MA A BUON CONTO NE DIFFERISCE ANCORA UNA VOLTA LA PRESENTAZIONE: SE E’ IL PROGETTO GIA’ ELABORATO DA MARCO BIAGI, PERCHE’ TUTTO QUESTO RITARDO? SE NON LO E’, PERCHE’ ATTRIBUIRGLIELO? QUANTO ALLA RIDUZIONE DELLE IMPOSTE SUL LAVORO, PERCHE’ NON INCOMINCIAMO COL DETASSARE I REDDITI FINO A 1000 EURO?

Editoriale per la Newsletter n. 114, del 2 agosto 2010

     Venerdì scorso il ministro Sacconi ha presentato alla stampa il suo nuovo “piano triennale” per il lavoro, sintetizzandolo in questo modo: “liberare il lavoro dal peso del fisco, dall’illegalità, dal conflitto, dal centralismo regolativo, dall’incompetenza”. Mentre scrivo queste note non è ancora dato sapere se alla ripresa, dopo la vacanza d’agosto, Maurizio Sacconi sarà ministro di un Governo in carica, nel pieno dei suoi poteri, o di un Governo dimissionario; ma il suo “piano” merita comunque un commento, per quanto sintetico.
     Al netto dell’enfasi retorica a cui il ministro ci ha ormai abituati, i due punti più rilevanti del suo piano sono la riduzione delle imposte e lo “Statuto dei lavori”. Quanto al primo, se vuole davvero liberare il lavoro da un fisco troppo oppressivo, prima di detassare le parti variabili del salario il Governo dovrebbe occuparsi di ridurre il più possibile l’Irpef sullo scaglione di reddito fino ai 1000 euro al mese, che in Italia oggi costituisce una soglia di povertà.  I 110 euro al mese pagati da chi ne guadagna 1000 costituiscono davvero un’ingiustizia, oltre che un danno per l’economia nazionale (perché quell’11 per cento dei redditi più bassi è interamente e immediatamente sottratto ai consumi, ciò che non accadrebbe se lo stesso gettito complessivo fosse tratto dalla tassazione dei redditi più elevati e dei grandi patrimoni). Il piano proposto dal Pd per la detassazione di questa fascia di reddito costa 8 miliardi l’anno: non è un’utopia, se pensiamo che di 4 miliardi ogni anno è il il gettito dell’ICI sulle case dei proprietari più agiati, cui il Governo ha rinunciato all’inizio della legislatura; e che 3,5 miliardi di euro è quanto è costato al nostro Paese il rifiuto dell’acquisto di Alitalia da parte di Air France-KLM, fermamente voluto da Berlusconi.
     Quanto all’altro punto più rilevante del “piano triennale”, lo “Statuto dei lavori”, Sacconi torna ad annunciarne la presentazione da parte del Governo sotto forma di disegno di legge-delega. E’ lo stesso annuncio contenuto nel suo “Libro Bianco”, che risale al maggio 2009: più di un anno fa; nel dicembre 2009, a chi gli chiedeva perché non fosse stato ancora presentato, il ministro lo promise per “subito dopo le elezioni regionali”; ora invece la presentazione è differita “alla fine di quest’anno”. Perché tutti questi rinvii? Qual è la difficoltà, se il progetto – come il ministro asserisce – è ancora quello elaborato da Marco Biagi? O su questo capitolo centrale del suo programma c’è qualche motivo di imbarazzo di cui il ministro non ci vuol parlare?  E poi: il ministro stesso ci dice che la nuova legge sarà centrata sulla figura del lavoratore che si trova in una posizione di dipendenza economica dall’azienda, definita essenzialmente in termini di “monocommittenza”. Siamo lieti che il ministro abbia fatto propria l’idea centrale di ben quattro disegni di legge presentati dal Pd nel corso di questa legislatura [1]: meglio tardi che mai (anche se avremmo gradito da lui un cenno leale in proposito)! Ma perché il ministro, con tutto il suo staff, per mettere a punto il suo progetto deve metterci il  doppio del tempo che ci hanno messo i parlamentari dell’opposizione, i quali di staff non ne hanno proprio?
     Qui, poi, c’è qualche cosa che non torna: nel progetto di Marco Biagi la fattispecie di riferimento non è costituita affatto dal lavoratore “economicamente dipendente”. Ma allora, perché continuare a dire – come fa il ministro – che questo disegno di legge ricalca il progetto di Marco Biagi?
     Infine: perché il Governo intende adottare ancora una volta la tecnica legislativa del disegno di legge-delega, che comporterà un  ulteriore ritardo (pari al tempo che dovrà passare tra l’emanazione della legge stessa e l’emanazione del decreto legislativo delegato), sottraendo oltretutto al Parlamento la possibilità di discutere e decidere del contenuto preciso della nuova disciplina?
     Su tutti questi punti attendiamo dal ministro – se resta in carica – risposte precise.