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L’AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE È COLPA DEL GOVERNO MONTI?

CERTAMENTE NON È COLPA DELLA LEGGE FORNERO, ENTRATA IN VIGORE SOLTANTO QUATTRO MESI FA – HANNO INFLUITO I TAGLI DI SPESA PUBBLICA E AUMENTI DELLE TASSE, CHE PERÒ HANNO COSTITUITO UNA SCELTA OBBLIGATA PER EVITARE LA BANCAROTTA DELLO STATO

Testo integrale dell’intervista a cura di Alvise Armellini, per la Deutsche Presse-Agentur, pubblicata il 12 novembre 2012 con alcuni tagli per ragioni di spazio

Professor Ichino, non trova che l’enorme aumento della disoccupazione nel corso dell’ultimo anno, specie di quella giovanile (+25% secondo gli ultimi dati Istat), screditi l’operato del governo Monti sul mercato del lavoro? Oppure è ingiusto incolpare la Fornero della situazione?
La legge Fornero è entrata in vigore meno di quattro mesi fa, il 18 luglio. Mi sembra davvero impossibile anche solo ipotizzare che essa possa essere responsabile dell’aumento rilevante della disoccupazione a cui stiamo assistendo in Italia. È invece plausibile che a questa impennata della disoccupazione abbiano contribuito in misura notevole i tagli della spesa pubblica operati dal governo Monti; ma questi fanno parte di una strada obbligata, che abbiamo dovuto bruscamente imboccare un anno fa per evitare la bancarotta dello Stato.

Perché il tasso di disoccupazione italiano è sceso negli anni 2000, pur in presenza di una crescita debole del pil e della produttività, mentre oggi aumenta vertiginosamente?
Negli ultimi tre decenni il nostro Paese è vissuto consumando mediamente l’equivalente di 30 miliardi di euro in più rispetto a quanto era in grado di produrre. La crescita, quando c’è stata, è stata un po’ drogata da questa
iniezione di denaro preso a prestito. Da quest’anno ci siamo proposti di smettere di prendere altro denaro a prestito, e in più di incominciare a restituire il debito accumulato: questo ha determinato un contraccolpo recessivo. Ma credo che abbiamo fatto la cosa giusta.

Nell’intervento del 17 settembre pubblicato sul suo sito [intervista a ilSussidiario.net [1]n.d.r.] affermava che la vecchia disciplina italiana dei licenziamenti “era una delle tante concause della debolezza del sistema economico italiano”. A meno di cinque mesi dalla sua approvazione, si può dire che la riforma Fornero abbia prodotto qualche effetto positivo? Le risultano che gli investimenti stranieri siano aumentati, per esempio?
La legge Fornero ha allineato il nostro ordinamento in materia di licenziamenti individuali al resto d’Europa, segnando il passaggio da un regime di sostanziale job property a un regime di liability dell’impresa: cioè di responsabilizzazione economica dell’impresa verso il lavoratore licenziato. Che questo cambiamento non sia soltanto “sulla carta”, ma abbia incominciato a prodursi effettivamente è dimostrato dai dati di questi primi
mesi di applicazione della legge, nei quali si è registrato un netto aumento (52% dei casi) delle conciliazioni in sede amministrativa, con accordo economico tra imprenditore e lavoratore, e una altrettanto netta flessione
dei ricorsi giudiziari per impugnazione di licenziamenti. Certo, non bastano questi primi dati per misurare l’impatto effettivo della legge; ma si tratta di segnali positivi. Quanto agli investimenti stranieri, mi sembra davvero troppo presto per valutare l’impatto su di essi della strategia di Monti.

Quanto è reale la possibilità che le riforme Monti-Fornero vengano smontate da un prossimo governo, e che effetti avrebbe tale controriforma?
La possibilità c’è, perché i nemici di queste riforme ci sono sia a destra sia a sinistra. La speranza –ben fondata, credo – è che alle prossime elezioni politiche prevalga nettamente il consenso nei confronti della strategia europea dell’Italia disegnata e avviata da Mario Monti, e l’impegno a proseguire su questa strada.

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