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ADN-KRONOS: IL MODO GIUSTO IN CUI SI PUÒ SEGUIRE L’INDICAZIONE DELLA BCE SULLA RIFORMA DEL NOSTRO DIRITTO DEL LAVORO E SINDACALE

LO “STATUTO DEI LAVORI” DI CUI PARLA SACCONI È PER ORA SOLTANTO UN ANNUNCIO, UN TITOLO DI CAPITOLO, CUI NON CORRISPONDE ALCUN CONTENUTO CONCRETO – SE SI VUOL FARE DAVVERO QUESTA RIFORMA OCCORRE PARTIRE DAL SOLO PROGETTO ORGANICO OGGI DISPONIBILE, SUL QUALE SI È GIÀ REGISTRATA UNA LARGA CONVERGENZA BI-PARTISAN

Intervista a cura di Fabio Paluccio per l’Agenzia di Stampa Adn-Kronos, 8 agosto 2011 – In argomento v. anche l’intervista a [1]Linkiesta [1] del 3 agosto scorso [1] e il mio editoriale Progetto Sacconi per lo “Statuto dei lavori”: la montagna ha partorito un topolino [2]

Professor Ichino, tra le misure che il governo ha intenzione di mettere in campo per dare una scossa all’economia, c’è anche la revisione dello Statuto dei lavoratori che verrebbe sostituito dallo Statuto dei lavori, elaborato dal ministro Sacconi, e già conosciuto dalle parti sociali. Qual è il suo giudizio sul documento?
Quello non è ancora un progetto di legge: è soltanto un nome, un titolo di capitolo sotto il quale per ora non c’è alcun progetto concreto di riforma. In particolare, sulla materia dei licenziamenti non sono indicate neppure le linee generali della soluzione che si vuole sperimentare. Come si fa, su di una materia così calda e difficile, a chiedere al Parlamento un mandato in bianco nei confronti di un Governo, che fin qui oltretutto non ha brillato né per tempestività né per qualità dei testi legislativi nell’adempimento delle deleghe ricevute? Presentata in questo modo, la proposta sembra più una provocazione che un’iniziativa volta ad arrivare davvero a una riforma.

Se non è questa la via giusta per riformare il mercato lavoro, la via giusta qual è secondo lei?
È molto difficile abbattere i tabù politici, come quello dell’articolo 18, pretendendo di stroncarli dall’oggi al domani con uno “strappo” politico improvviso, come pretende di fare oggi il ministro del Lavoro Sacconi: questo modo di procedere serve soltanto per salvarsi l’anima, non per risolvere il problema. Per far cadere un tabù occorre il tarlo che scava sotto di esso minandone le basi nell’opinione pubblica, il lavoro faticoso della semina che richiede tempo per dare frutti, della discussione sui quotidiani e sul web, dei dibattiti serali in tutte le parti di Italia e nei luoghi più sperduti, magari di volta in volta con 50 o 100 sole persone. È attraverso questo lavoro che è stato messo a punto il “progetto flexsecurity [3]” presentato con me da altri 54 senatori nel 2009, nella forma di un codice del lavoro semplificato: il disegno di legge n. 1873 [4]. E su questo disegno di legge, che contiene anche una riforma radicale della disciplina dei licenziamenti ispirata al modello scandinavo, il 10 novembre scorso il Senato ha espresso un larghissimo consenso – 255 voti a favore, 24 soli contrari o astenuti – in una mozione che impegna il Governo [5] a procedere alla riforma del nostro diritto del lavoro secondo quel modello. È da qui che si può e si deve partire, dunque, se si vuole andare al di là degli annunci e delle buone intenzioni.

A quanto sembra il governo, nel pacchetto lavoro che sta mettendo in cantiere, inserirà anche una norma che estenderà erga omnes gli  effetti dell’accordo interconfederale firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil sui contratti aziendali. Cosa pensa di questa decisione?
Questa a me sembra un’ottima idea, a condizione che si tratti di un intervento legislativo estremamente semplice e snello, di pura e semplice recezione dell’accordo interconfederale. Nelle settimane scorse, con alcuni colleghi giuslavoristi e dirigenti sindacali, abbiamo messo a punto un testo normativo che mi sembra soddisfi appieno questi requisiti:
“Il contratto collettivo aziendale stipulato da un’organizzazione o coalizione sindacale rappresentativa della maggioranza dei lavoratori interessati, secondo i criteri stabiliti dalla disciplina della materia contenuta in un accordo stipulato dalle confederazioni imprenditoriali e sindacali comparativamente maggiormente rappresentative, produce i propri effetti nei confronti di tutti i lavoratori dell’unità produttiva per la quale il contratto stesso è stato stipulato.”