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DIECI DOMANDE E DIECI RISPOSTE SU UNIVERSITÀ E RICERCA

IL MODO MIGLIORE PER INVESTIRE SULLA RICERCA DELL’ECCELLENZA NEGLI ATENEI E NELL’ATTIVITÀ SCIENTIFICA, GARANTENDO L’ACCESSO A TUTTI INDIPENDENTEMENTE DAL REDDITO

Scheda elaborata in funzione della risposta alle domande formulate dal Gruppo 2003 [1] associazione che riunisce gli scienziati italiani più citati nella letteratura scientifica internazionale), 19 gennaio 2013 – Sul progetto di finanziamento indiretto delle eccellenze universitarie mediante gli Income contingent loans v. anche i documenti raggiungibili attraverso il relativo Portale [2] in questo sito – In argomento v. inoltre l’intervento di Stefania Giannini del 17 novembre 2012 [3]

LE DIECI DOMANDE DEL GRUPPO 2003

1. Investimento in Ricerca.
Il nostro Paese investe meno della metà di tutti i suoi competitori in ricerca (circa 1% del PIL). Questo divario è solo in parte spiegato dal fatto che la nostra struttura industriale è costituita in larga misura da piccole e medie imprese. L’investimento in ricerca è stato costantemente sacrificato a scapito del futuro del Paese.
Di quanto vi impegnate ad aumentare in modo realistico la percentuale del PIL dedicata a ricerca ed istruzione superiore all’anno nei prossimi tre anni? Con che scaletta? Il Gruppo 2003 propone un aumento del 20% all’anno nei prossimi 3 anni indipendentemente dalla situazione economica contingente e dalle pressioni di interessi particolari.
Come e dove troverete le risorse per questo aumento di investimento?
A che settori darete la priorità?
Come eviterete che, in un sistema ancora scarsamente meritocratico, un aumento di investimento si risolva in spreco di denaro?
Siete d’accordo su detassare le donazioni agli enti di ricerca ed in generale le attività di ricerca? Se sì come ed in che tempi?

2. Valutazione e Premialità.
I meccanismi di distribuzione dei fondi di ricerca pubblici soffrono di meccanismi scarsamente trasparenti e meritocratici. Ancora, negli ultimi anni il 10% o poco più del finanziamento ordinario delle università (FFO) è stato distribuito sulla base dei parametri di valutazione emersi dall’esercizio CIVR condotto oltre 8 anni fa. Con un percorso bipartisan è stata attivata un’agenzia di valutazione (ANVUR) ed è in corso un esercizio di valutazione detto VQR.
Intendete aumentare la quota di FFO distribuita sulla base dei parametri di valutazione della ricerca?
Di quanto e con che tempi?
La valutazione dei progetti di ricerca è cruciale per assicurarsi che il finanziamento sia erogato in maniera meritocratica attraverso una valutazione esente da conflitti di interessi. Il processo di “peer review”, che coinvolge esperti internazionali, indipendenti, e che lavorano in anonimato, è applicato a livello internazionale allo scopo di ottenere una valutazione meritocratica. In che modo intendete applicare seriamente questo tipo di selezione ai meccanismi di finanziamento pubblico della ricerca?

3. Competitività Internazionale e Premialità.
Tutti i Paesi, in modo diverso, hanno scelto di investire in modo selettivo e competitivo su pochi atenei e centri di ricerca con l’obiettivo di renderli competitivi e fra i migliori a livello internazionale. Ad esempio, Germania, Francia, Inghilterra, Cina, ecc, investono selettivamente in alcuni atenei. Gli atenei italiani non vanno bene nei ranking internazionali, anche se vanno meglio nei ranking basati su parametri obiettivi e non reputazionali. Ancora, a livello di finanziamenti europei alla ricerca scientifica, il nostro Paese recupera solo circa la metà delle risorse che mette a disposizione, risultando poco competitivo. In più, e paradossalmente, chi ottiene finanziamenti internazionali paga l’IRAP sui fondi vinti!
Siete d’accordo nel selezionare un numero limitato di atenei (10 sull’esempio tedesco?) e centri di ricerca dotandoli di risorse adeguate a  portarli al livello dei migliori nei ranking internazionali?
Se sì, con che tempi, che risorse, che modalità?
Intendete introdurre meccanismi premiali per chi ottiene finanziamenti  internazionali, secondo modelli e modalità internazionali?

4. Cabina di Regia.
Lo scarso investimento in ricerca del Paese passa attraverso finanziamenti erogati da diversi ministeri e si disperde in rivoli spesso scarsamente controllati o incontrollabili.
Siete disponibili a condurre un’analisi rigorosa per conoscere tutti i fondi del sistema pubblico disponibili per la ricerca e per descriverne i criteri di erogazione?
Il Gruppo 2003 ha proposto un’Agenzia Nazionale della Ricerca, una struttura di coordinamento che dovrebbe essere leggera, efficiente e trasparente, fondata su meccanismi di peer-review, sia per finanziamenti top-down che bottom-up. Siete disponibili a creare questa agenzia per rendere più coordinato, efficiente e trasparente il sistema di distribuzione dei fondi di ricerca ?
Come migliorerete l’attività dell’ANVUR?
Per quanto riguarda il settore biomedico, le charities come Telethon e AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) dimostrano che “si può fare”. Intendete utilizzare come modello queste organizzazioni private non-profit?

5. Lacci e Lacciuoli.
L’utilizzo efficiente delle scarse risorse del Paese è ostacolato da un’infinità di “lacci e lacciuoli”. Il Gruppo 2003 e il più alto organo di consulenza del Ministero dell’Università e della Ricerca (CEPR) hanno più volte richiamato l’attenzione su questo problema ed identificato in modo specifico una serie di “lacci e lacciuoli”.
Intendete tagliare i “lacci e lacciuoli” identificati dal CEPR? Quali e con che tempi?

6. Valore Legale del Titolo di Studio.
L’abolizione del valore legale del titolo di studio aumenterebbe la competizione tra Università e produrrebbe un effetto benefico sulla qualità degli atenei e sulla loro produttività, innescando un circolo virtuoso. Il Gruppo 2003 da 10 anni propone l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Il Governo Monti si è mosso per depotenziare in alcuni settori il valore legale del titolo.
Siete d’accordo con l’abolizione del valore legale del titolo di studio?
In subordine, siete d’accordo con un ulteriore depotenziamento del valore legale del titolo di studio? Se sì, come lo farete?

7. Attrattività e Rientro dei Cervelli.
Su scala globale è in atto una vera e propria corsa ad accaparrarsi l’oro del terzo millennio, non più l’oro giallo o l’oro nero, ma l’oro grigio costituito dai cervelli. Il nostro Paese su questo piano soffre, non solo e non tanto, di un’emorragia di cervelli, ma anche e soprattutto di una scarsa attrattività. I Programmi di Rientro dei cervelli hanno dato risultati spesso discutibili sul piano della qualità e dell’impegno.
Siete d’accordo nell’individuare un percorso dedicato e facilitato (visti, permessi di soggiorno), anche dal punto di vista fiscale, per l’entrata dei cervelli stranieri nel nostro Paese?
Il “rientro dei cervelli” è privo di senso se non si è in grado di offrire dei package attrattivi, ad esempio dal punto di vista dei vincitori di competizioni internazionali come il Programma IDEAS dello European Research Council. Vanno offerti percorsi di durate medio-lunga, per attirare anche chi all’estero ha posizioni stabili o permanenti e facilitare chiamate dirette. Intendete stanziare risorse per pacchetti di offerta su base flessibile e competitiva per fare entrare o rientrare cervelli? Da dove otterrete le risorse necessarie?

8. Ricerca Industriale e Trasferimento Tecnologico.
Il sistema di ricerca del Paese soffre di un insufficiente trasferimento dei suoi risultati alla società nel suo complesso ed all’industria. Ad esempio, i dati indicano che in un’ipotetica partita Italia-Germania sul piano della ricerca, usando come indicatore della ricerca fondamentale le citazioni, il nostro Paese è al 75% della Germania (un grande risultato se si considera la differenza in entità e qualità dell’investimento), ma è solo al 19% se consideriamo un indicatore di trasferimento del know how all’industria. Insomma, l’imbuto del trasferimento è stretto in modo anomalo.
Cosa intendete fare per il trasferimento tecnologico?
Che misure concrete intendete prendere per favorire un rapporto trasparente e proficuo mirato al trasferimento tecnologico?
L’industria nel nostro Paese investe in ricerca in modo insufficiente, un difetto correlabile in una certa misura alla prevalenza di strutture di piccole e medie dimensioni.  Cosa intendete fare per promuovere la ricerca industriale?
Riteniamo che i programmi di ricerca nell’industria, finanziati dallo Stato, siano stati e siano scarsamente produttivi per macchinosità, lentezza, richieste di aggregazioni surrettizie, ecc. Intendete detassare davvero l’investimento in ricerca?
In che misura?
Con che meccanismi?

9. Giovani, Capaci e Meritevoli.
Il cosiddetto “Capitale Umano” costituisce la vera ricchezza del Paese. Il Sistema Paese sta perdendo una generazione di ricercatori a causa della scarsità delle risorse e l’inaffidabilità dei percorsi di carriera.
Esistono criteri e parametri elaborati a livello internazionale che definiscono i requisiti necessari per poter accedere alle diverse posizioni di carriera del ricercatore e le procedure di valutazione sia in ingresso sia in itinere. L’applicazione di tali criteri e parametri a livello nazionale è urgente.
Come procederete per realizzare percorsi di carriera per i ricercatori affidabili e meritocratici secondo standard internazionali?
Vi impegnate a non favorire alcuna entrata o promozione “ope legis” comunque mascherata?
Il diritto dei capaci e meritevoli di accedere ai livelli più alti dell’istruzione e di contribuire alla ricerca scientifica è di fatto in larga misura negato nel nostro Paese dall’insufficienza, ad esempio, delle borse di studio, degli assegni di ricerca, ecc.
Cosa intendete fare per migliorare il diritto allo studio ed il diritto-dovere a contribuire al sistema di ricerca del Paese dei nostri migliori cervelli indipendentemente dal ceto sociale di origine?
Vi impegnate a trovare  le risorse per promuovere l’entrata in ricerca di una leva di giovani (borse di studio, assegni di ricerca, ecc.)? Con che risorse?

10. Ritenete indispensabile promuovere e rilanciare la Cultura della Scienza e della Ricerca in un paese che l’ha sostanzialmente da sempre trascurata?
Quali iniziative sostenibili nel tempo intendete adottare?
Vi impegnate ad  investire nella formazione scientifica dei giovani?
Con quali iniziative?
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LE DIECI RISPOSTE

1. Investimento in Ricerca
La proposta sintetizzata in appendice (v. l’ultima sezione di questo post)  – da qui in avanti indicata come Progetto – consente di reperire nuove risorse per gli atenei, senza oneri a carico del bilancio statale, concentrandole proprio lí dove potrebbero dare migliori frutti. Sulla base di simulazioni realistiche, essa consentirebbe un aumento netto di risorse (utilizzabili anche per la ricerca)  nell’ordine dell’11-13% per  gli atenei che sappiano migliorare la loro offerta formativa in modo convincente. Un ateneo che fosse capace di creare in modo credibile nuovi corsi di laurea eccellenti per 500 studenti, potrebbe accedere a circa 10 milioni di risorse fresche annue, portate da maggiori tasse universitarie, diversificate per reddito della famiglia d’origine, versate da studenti che per i loro meriti abbiano ricevuto un finanziamento sufficiente a pagare quelle maggiori tasse, oltre che i costi di una eventuale scelta universitaria lontano da casa. A questo proposito, è bene ricordare che la questione non è se l’università debba essere gratis o a pagamento, ma se il suo costo, che comunque c’è, debba essere coperto da tutti i contribuenti o solo da coloro che la frequentano. Le nuove risorse generate dall’attuazione del Progetto sarebbero sufficienti a finanziare quei corsi, ma anche e soprattutto la ricerca dei migliori ricercatori internazionali che in essi verrebbero ad insegnare. Solo quella ricerca può rendere credibile e davvero eccellente l’offerta formativa che l’ateneo mette a disposizione degli studenti. Gli studenti ripagheranno il finanziamento quando troveranno un lavoro e in proporzione al reddito che guadagneranno: pagheranno cioè poco (o nulla) quando il loro reddito sarà basso, e pagheranno di più quando se lo potranno permettere.

2. Valutazione e Premialità
Il Progetto consente di affiancare alla valutazione centralizzata dell’ANVUR un meccanismo di valutazione decentralizzata e di mercato. Una vera “facoltà di scelta” da parte degli studenti rappresenta proprio quello stimolo alla competizione di cui l’universita italiana ha bisogno; è l’ingrediente che manca alla riforma Gelmini, al suo impianto di valutazione troppo centralizzato. L’Anvur sta facendo un buon lavoro, ma da questa esperienza è facile capire quanto sia complesso, costoso e potenzialmente criticabile da ogni lato, un processo di valutazione centralizzato e uniforme per tutte le discipline.

3. Competitività Internazionale e Premialità
Il Progetto consente e prevede esplicitamente di reperire nuove risorse con uno schema che necessariamente le convoglia proprio su “pochi e atenei” (e quindi sui loro centri di ricerca) “che sappiano meritarsele con l’obiettivo di renderli competitivi e fra i migliori a livello internazionale”: esattamente quello che il Gruppo 2003 auspica.
In ogni caso, più in generale, è necessario attribuire un peso molto maggiore di quello che viene attribuito oggi al parametro legato al grado di internazionalizzazione degli studi e della ricerca in un Ateneo, ai fini della distribuzione delle risorse.

4. Cabina di Regia
Il Progetto consente di sperimentare gradualmente un metodo nuovo per finanziare gli atenei, non burocratico e potenzialmente in grado di eliminare le colossali inefficienze e iniquità dell’attuale sistema di finanziamento dell’università italiana. Non crediamo che servano nuove Agenzie statali, le quali facilmente sarebbero a rischio di essere catturate dalla burocrazia tentacolare e dalla parte più conservatrice del mondo universitario. Serve invece lasciare che la cabina di regia sia nelle mani del mercato, seppur all’interno di binari fissati dalla collettività ma non troppo stretti.

5. Lacci e Lacciuoli
Il Progetto prevede che sia concessa ampia autonomia agli atenei partecipanti allo schema, non solo nel disegno dell’offerta formativa, ma anche nelle scelte riguardanti assunzioni, retribuzioni e promozioni di docenti e ricercatori, lasciando che sia poi la valutazione del mercato a “metterli in riga”.  Questo significa che gli atenei o i singoli dipartimenti che aderiscano alla proposta non avranno più lacci e lacciuoli di alcun tipo, non solo nella gestione delle risorse umane ma anche nella gestione di ogni altra risorsa (macchinari, laboratori, strutture etc.) Ma se non produrranno risultati gli atenei dovranno accettare di perdere i finanziamenti e al limite di essere chiusi.

6. Valore Legale del Titolo di Studio
Il Progetto prevede esplicitamente l’abolizione del valore legale del titolo di studio: le maggiori risorse che la proposta consente di reperire saranno convogliate solo alle Università che se le meritano in quanto capaci di offrire un’istruzione con valore reale, e non oggetto di una presunzione legale.

7. Attrattività e Rientro dei Cervelli
Il Progetto elimina il sistema concorsuale per i singoli dipartimenti e atenei che aderiscono allo schema, dando loro totale autonomia nelle selezione dei docenti e dei ricercatori, nella determinazione delle retribuzioni e nelle regole per le progressioni di carriera. Queste scelte potranno essere fatte in linea con le best practices internazionali tipiche di ogni disciplina, ponendo fine ai rigidi meccanismi centralizzati attuali che  hanno ingessato il sistema. L’autonomia si deve anche estendere alla gestione dei finanziamenti, degli acquisti e di ogni ambito operativo, economico e finanziario dell’ateneo o dipartimento partecipante. Chi saprà usare bene questa autonomia, e le risorse ad essa congiunte, riuscirà a portare in Italia i migliori cervelli internazionali. Riteniamo inoltre che il problema non sia solo di far rientrare i brillantissimi scienziati italiani costretti finora ad emigrare, ma più in generale di rendere le università italiane più attraenti per i migliori cervelli indipendentemente dalla loro nazionalità. Per questo servono maggiori risorse e il Progetto descrive un modo concreto, realistico ed efficace per ottenerle. Non sono necessari complicati percorsi dedicati e “riserve indiane” per richiamare cervelli: servono risorse e incentivi corretti per usarle al meglio. Questo è esattamente ciò che il Progetto consente di fare.

8. Ricerca Industriale e Trasferimento Tecnologico
Le priorità per il Paese, anche ai fini di liberare maggiori risorse per la ricerca industriale e il trasferimento tecnologico, sono la riduzione del debito pubblico e l’iniezione di maggiore concorrenza nei mercati dei prodotti e del lavoro. Non serve una ricerca industriale che funziona solo grazie a stampelle pubbliche, che comunque lo Stato italiano oggi non può permettersi più di offrire.  Non appena la crisi della finanza pubblica lo consentirà è senz’altro un nostro obiettivo arrivare a detassare gli investimenti in ricerca, attraverso lo strumento del credito d’imposta strutturale (già sperimentato con successo altrove, dal Canada a Singapore). Ma nella situazione attuale il servizio più grande che il nuovo governo può offire alla ricerca industriale è la riduzione del costo del denaro, quindi dello spread, che rende ogni investimento in Italia più costoso che in altri paesi comparabili al nostro, in particolare la Germania. E per ridurre il costo del denaro, bisogna ridurre il debito pubblico.

9. Giovani, Capaci e Meritevoli
Il Progetto punta a dare agli atenei e ai singoli dipartimenti e centri di ricerca quella autonomia nella definizione dei meccanismi di accesso alle carriere e progressione in esse, che in altri sistemi, in particolare quello anglosassone, hanno dato ampia prova di consentire i risultati migliori proprio sul fronte dell’investimento nel capitale umano dei giovani capaci e meritevoli. Un cardine di questa proposta è l’idea che il sistema universitario, come la sua storia ci insegna, sia la modalità con cui la società trasmette la frontiera più avanzata della conoscenza a quella parte della popolazione che è meglio in grado di riceverla e di estenderla. È un sistema intrinsecamente elitario, perché si fonda su una ineliminabile disuguaglianza nei talenti e nelle capacità delle persone. È una disuguaglianza che non deve dipendere dalla ricchezza o dal reddito della famiglia d’origine, e bisogna fare ogni possibile sforzo per rompere questo legame; ma così come non sarebbe possibile che tutti vadano alle olimpiadi, è inevitabile che alcuni tra noi siano più di altri in grado di prendere il testimone della conoscenza. Ciò non è in contrasto con quanto affermato nella nostra Costituzione (articolo 34), dove si stabilisce il diritto di «raggiungere i gradi più alti degli studi» per i «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». Questa è una qualificazione importante e spesso trascurata: non per tutti, solo per i capaci e meritevoli.

10. Cultura della Scienza e della Ricerca
Siamo fermamente convinti del grave ritardo con cui il nostro Paese si sta accorgendo dell’importanza della Scienza e della Ricerca, ritardo dovuto a condizionamenti culturali e ideologici certo non recenti. Riteniamo che interventi mirati a riformare la scuola primaria e secondaria siano quelli che maggiormente possono ridurre questo grave ritardo. Tra questi interventi, il più importante è differenziare le retribuzioni degli insegnanti in base al merito  e alle condizioni del mercato del lavoro rilevante per ciascuna specifica disciplina, al fine di attrarre alla carriera docente i migliori laureati nelle materie scientifiche. Solo questi migliori laureati possono trasferire alle future generazione la passione per la scienza e la ricerca. Oggi pur con eccezioni encomiabili, molti insegnanti della scuola italiana vivono il loro lavoro come un ripiego, e non hanno incentivi a dare il meglio per motivare le giovani generazioni alla passione per la scienza e la ricerca.
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SINTESI DEL PROGETTO
(scheda elaborata da Andrea Ichino e Daniele Terlizzese, autori del libro Facoltà di scelta, Rcs, 2013)
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L’università italiana deve migliorare. E ha bisogno di maggiori finanziamenti. Ma nuove risorse favoriscono il miglioramento soltanto se concentrate dove possono più facilmente dare buoni frutti. Inoltre, non possono venire dal bilancio pubblico; non solo perché i conti dello Stato non lo permettono, ma anche perché finanziare ancor più gli atenei attraverso la fiscalità generale aggraverebbe per le famiglie meno abbienti e senza figli all’università l’onere di finanziare studi universitari redditizi intrapresi prevalentemente dai figli delle famiglie benestanti.

C’è però un modo per reperire maggiori risorse e indirizzarle dove meglio possono essere usate. Non un nuovo terremoto riformatore, ma una creazione graduale di condizioni che consentano lo sviluppo sperimentale di corsi universitari operanti in modo diverso e con risorse autonomamente raccolte. Nulla cambierebbe per chi preferisse continuare con il veccho sistema. Se i nuovi corsi saranno anche migliori la sperimentazione contagerà positivamente il resto del sistema. In caso contrario, il fallimento non sarà costato molto.

La nostra proposta si fonda sull’idea che i principali utenti dell’università, gli studenti, debbano essere coloro che ne giudicano la qualità e, scegliendo dove andare, premiano gli atenei migliori e penalizzano i peggiori. Una maggiore concorrenza e una reale facoltà di scelta consapevole ed esigente degli studenti possono migliorare la qualità del sistema universitario. Perché questo possa funzionare sono necessarie tre condizioni concatenate:
1. gli studenti devono avere i mezzi economici per scegliere dove andare e quindi per non essere costretti a
restare nella città dei genitori;
2. un ateneo che viene scelto da molti studenti di valore deve trarne un beneficio (e simmetricamente un ateneo in cui nessuno vuole andare deve esserne penalizzato);
3. gli atenei devono avere l’autonomia e le risorse necessarie per costruire un’offerta formativa in
grado di attrarre gli studenti.

Per garantire la prima condizione, proponiamo che gli studenti meritevoli, sulla base dei risultati ottenuti nella scuola superiore, ricevano un finanziamento, che ripagheranno quando troveranno un lavoro e in proporzione al reddito che guadagneranno: pagheranno cioè poco (o nulla) quando il loro reddito sarà  basso, e pagheranno di più quando se lo potranno permettere.
Per garantire la seconda, proponiamo che le università possano raccogliere, dagli studenti che le scelgono, maggiori risorse attraverso maggiori tasse universitarie, differenziate per reddito della famiglia d’origine; quindi non uguali per tutti, ma in media più elevate di adesso (e non in sostituzione delle risorse che oggi le università ricevono dallo Stato).
Per garantire la terza, proponiamo che sia concessa ampia autonomia agli atenei, non solo nel
disegno dell’offerta formativa, ma anche nelle scelte riguardanti assunzioni, retribuzioni e promozioni di docenti e ricercatori, lasciando che sia poi la valutazione degli studenti a “metterli in riga”.

Proposte di questo tenore provocano solitamente la contrarietà di chi pensa che l’università debba essere
necessariamente “gratis per tutti”. È uno slogan molto efficace. Ma è sbagliato per almeno tre ragioni.

In primo luogo si tratta di uno slogan illusorio: la questione non è se l’università debba essere gratis o a pagamento, ma se il suo costo, che comunque c’è, debba essere coperto da tutti i contribuenti o solo da coloro che la frequentano. La prima possibilità genera un paradosso difficilmente accettabile: oggi in Italia la parte preponderante delle famiglie più povere paga l’università ai figli di quelle più ricche. Possiamo stimare (su dati 2008/09) che le famiglie (relativamente) più povere (in cui nessuno guadagna più di 31.000 euro lordi l’anno) che non hanno figli all’università (composte da circa il 60% dei contribuenti) trasferiscono circa 2,5 miliardi all’anno alle famiglie con figli all’università: tra queste, circa la metà sono composte da contribuenti più ricchi. Si tratta quindi di un trasferimento dai più poveri ai più ricchi di circa 1,4 miliardi l’anno. L’altra parte dei 2,5 miliardi va a contribuenti altrettanto poveri; ma i futuri laureati di quelle famiglie avranno redditi più elevati (questo ci dicono tutte le statistiche), e saranno quindi i ricchi di domani (almeno, relativamente parlando); quindi, anche questo è un trasferimento da poveri a ricchi.

In secondo luogo, per i giovani meno abbienti il prestito è un potente strumento di equità. Sostituisce la capacità personale alla casualità dell’appartenenza familiare: con il prestito non sono i redditi correnti (dei genitori) a essere importanti, ma quelli futuri (del laureato). E prestiti condizionati al reddito futuro (non a rata fissa, come i mutui per la casa) evitano rimborsi insostenibili e offrono una parziale assicurazione contro il rischio di investire in istruzione terziaria, perché spostano l’onere maggiore del rimborso in quei periodi in cui esso è più facilmente sopportabile: per questo facilitano l’iscrizione all’università soprattutto per chi viene da famiglie economicamente svantaggiate (più soggette a vincoli di liquidità e più avverse al rischio).

In terzo luogo, un sistema di prestiti agli studenti consente di convogliare maggiori risorse agli atenei che le meritano, senza gravare sullo Stato e aumentando la qualità del sistema universitario, grazie alla pressione concorrenziale esercitata sugli atenei stessi dalle scelte degli studenti: avere fiducia in loro è la chiave di volta.
Il Progetto ha per oggetto questa riforma graduale: ne sono stati studiati approfonditamente i dettagli e simulata la sostenibilità finanziaria. Senza costi aggiuntivi per il bilancio pubblico, la riforma, con i parametri qui di seguito descritti, consentirebbe un aumento netto di risorse nell’ordine dell’11-13% per gli atenei che sappiano migliorare la loro offerta formativa inmodo convincente.

Lo schema di cui simuliamo la sostenibilità economica prevede di offrire ai giovani più promettenti (per esempio, i circa 50000 studenti che ogni anno superano la Maturità con un voto superiore a 90; ma altri criteri sono possibili) un prestito di 15000 euro all’anno per 5 anni, per coprire i costi di sostentamento e le tasse universitarie di una laurea magistrale, da restituire (con un interesse del 2% reale) mediante un prelievo del 10% sulla parte del loro reddito futuro che superi i 15000 euro lordi all’anno.

Il MIUR deve concedere agli atenei che intendono partecipare allo schema la possibilità di aumentare le tasse universitarie al valore medio per studente di 7500 euro annui, pur differenziandole a seconda del reddito della famiglia d’origine. Deve inoltre concedere agli atenei l’autonomia per disegnare liberamente l’offerta formativa, chiamare i migliori docenti, anche dall’estero, con retribuzioni adeguate, acquistare attrezzature d’avanguardia senza vincoli burocratici. Proprio il miglioramento dell’offerta didattica, generato dalle risorse aggiuntive, dai docenti più qualificati e dalla maggiore autonomia delle università, crea l’incentivo per gli studenti a scegliere bene, con attenzione al valore reale del titolo, non a quello legale. E dal canto loro le università hanno un incentivo ad attrarre gli studenti destinatari dei prestiti, in modo da acquisire le maggiori risorse da essi portate. Gli studenti infatti potranno utilizzare il prestito solo nei corsi di laurea per i quali gli atenei intendono partecipare allo schema. Le università avranno quindi un incentivo molto forte a partecipare per prime.

I prestiti sono finanziati dalla generazione dei padri che investe in quella dei figli e dei nipoti, in uno scambio dal potente valore simbolico, ma con una sua razionalità economica. Veicoli di questo scambio sono la Fondazione per il merito (FM), una “scatola” per ora vuota recentemente creata dal Ministero dell’Economia e dal MIUR con lo scopo di finanziare gli studi universitari degli studenti più meritevoli, e la Cassa depositi e prestiti (CDP), che raccoglie e gestisce il risparmio postale. Questo risparmio viene convogliato dalla CDP alla FM, che eroga i prestiti e che offre a garanzia dei mancati riborsi i contributi che le sono stati conferiti. Quindi il finanziamento che la CDP può razionalmente erogare sarà un multiplo della garanzia che la FM offre, in relazione alla frazione che non verrà restituita. Sotto l’ipotesi che la proposta, come crediamo, sia in grado di migliorare la qualità dell’offerta formativa e le prospettive di reddito degli studenti, portandole al livello oggi osservato per i laureati di una delle migliori università italiane, stimiamo che la frazione di prestiti non restituita sia nell’ordine del 12%, assumendo 40 anni di vita utile del laureato. La quota non restituita salirebbe al 15% nello scenario più pessimista in cui i redditi dei laureati fossero simili a quelli dei migliori studenti di una media università italiana.

La fonte principale di conferimenti alla FM, da utilizzare a garanzia dei prestiti, deve provenire dagli atenei stessi. Quelli che vorranno partecipare potranno conferire alla FM una parte del loro Fondo di finanziamento ordinario. L’incentivo a farlo deriva dall’aumento complessivo di risorse che così essi otterrebbero. Le nostre simulazioni mostrano che il conferimento da parte di un ateneo di una quota del suo FFO porterebbe a un aumento netto di risorse pari in media a 2 volte la quota conferita. Per un ateneo che fosse capace di creare in modo credibile nuovi corsi di laurea eccellenti per 500 studenti, una garanzia di circa 5 milioni di euro all’anno consentirebbe di acquisire circa 10 milioni di risorse fresche annue sufficienti a finanziare quei corsi, lasciando anche margini per parziali redistribuzioni al resto dell’ateneo.

Aumentare le dimensioni del programma a un numero maggiore di studenti, obiettivo in sé desiderabile, richiederebbe di allentare i criteri sul merito per la concessione del prestito; questo probabilmente aumenterebbe il rischio che la frazione di prestiti non restituita sia maggiore. Se e quando la crisi finanziaria dello Stato sarà superata, rendendo possibile una maggiore garanzia pubblica per i prestiti, il programma potrà eventualmente essere allargato a un numero maggiore di studenti.

La nostra proposta, sintetizzata in questo Progetto, non è l’ennesimo intervento dirigista sull’università, con obblighi e divieti per tutti. Vogliamo iniettare nel sistema una dose di concorrenza, e lasciare autonomia ai vari attori. Non ci saranno, a priori, atenei di serie A o B: tutti potranno partecipare a questo gioco a somma positiva, se sapranno costruire un’offerta convincente che attragga nuove risorse. Ma potranno anche andare avanti col vecchio sistema, se è questo che preferiscono.
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