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QUANDO IL RIFIUTO DEL COMPROMESSO È INDISPENSABILE PER L’EQUILIBRIO POLITICO DI UNA RIFORMA

LA RIGOROSA COERENZA DEL TESTO DEL PRIMO E PIÙ IMPORTANTE FRA I DECRETI ATTUATIVI DELLA DELEGA È INDISPENSABILE PER IL CONSEGUIMENTO DEI SUOI OBIETTIVI DI EQUITÀ E PARI OPPORTUNITÀ NEL MERCATO DEL LAVORO

Articolo pubblicato su QdR Magazine, settimanale on line di LibertàEguale,  il 24 febbraio 2015.

Ho incominciato a sentirmi impegnato in questa impresa alla fine degli anni ’80, all’incirca un decennio dopo che era iniziata la “fuga dal diritto del lavoro [1]”, con la diffusione anomala del fenomeno dei co.co.co. in funzione di elusione di un sistema di protezione rigidissimo. È stata una battaglia dura, al punto di essere segnata tragicamente dalla violenza terrorista. Obiettivo: un diritto del lavoro non più centrato sulla property rule dell’articolo 18, ma sul principio della flexsecurity; non più applicabile per sua stessa natura e struttura a metà soltanto dei lavoratori dipendenti, ma alla loro totalità; non più riferito alla sola posizione delle persone in azienda, ma alla loro capacità di muoversi nel mercato del lavoro. Ieri il Governo Renzi ha varato i primi due decreti attuativi della legge-delega che va sotto il nome di Jobs Act: introduzione per i nuovi assunti del contratto a tutele crescenti (fortemente incentivato sul piano economico), per chi perde il posto un trattamento di disoccupazione universale di livello europeo e un contratto di ricollocazione che dà accesso ai migliori servizi di assistenza intensiva nel mercato, estensione del sistema di protezione a tutti i rapporti caratterizzati da una posizione sostanziale di dipendenza economica. Sono i cardini della riforma che avevo delineato ne Il lavoro e il mercato [2] (1996) e poi tradotto in progetto legislativo organico, insieme ad altri 54 senatori del PD, nel d.d.l. n. 1873/2009 [3]. Fra pochi giorni diventano legge della Repubblica italiana. C’è ancora molto da fare; ma c’è già motivo per una grande soddisfazione.
Merito straordinario del Governo Renzi è stato quello di cogliere in modo molto nitido l’equilibrio politico peculiare di questa riforma: un equilibrio che non può stare in un compromesso tra impostazioni diverse, in una commistione di contenuti che ne diluisca l’efficacia, come ha insistentemente chiesto nelle settimane scorse la minoranza PD. Esso deve basarsi invece sul superamento dell’apartheid fra protetti e non protetti, sulla coniugazione di flessibilità delle strutture produttive e sicurezza economica e professionale delle persone nel mercato del lavoro, sull’effetto che essa produrrà già nelle settimane prossime nel senso dell’aumento drastico della quota di assunzioni a tempo indeterminato sul flusso complessivo dei nuovi contratti.
Perché questo effetto si produca è indispensabile la nitida coerenza sistematica della nuova disciplina legislativa. La quale costituisce oltretutto la migliore garanzia di stabilità nel tempo delle nuove norme, condizione indispensabile perché il nuovo diritto del lavoro aiuti la ripresa economica, invece che ostacolarla.
Molti – persino la Presidente della Camera dei Deputati – hanno rimproverato al Governo di non aver accolto la sollecitazione contenuta nel parere espresso dalla stessa Camera e, pur in termini dubitativi, dal Senato, a escludere dal campo di applicazione della riforma i licenziamenti collettivi. Come se non fosse proprio la legge-delega, approvata solo due mesi fa dagli stessi due rami del Parlamento, a escludere esplicitamente l’applicazione della reintegrazione in tutta l’area dei “licenziamenti economici”. Ma, al di là di questo dato istituzionale difficilmente superabile, escludere i licenziamenti collettivi dall’applicazione delle nuove regole avrebbe significato far convivere, per i nuovi rapporti di lavoro, il vecchio regime e il nuovo; sarebbe stato il compromesso deteriore che, togliendo coerenza all’impianto della riforma, le avrebbe tolto anche un po’ di credibilità agli occhi dei lavoratori e degli operatori economici. Perché se si rimane in mezzo al guado, non è chiaro se alla fine si passerà sulla nuova sponda o si tornerà sulla vecchia. Questo avrebbe ridotto notevolmente l’affidamento che gli operatori economici possono riporre nella stabilità della nuova normativa. E con esso sarebbe stata compromessa proprio la parte più “di sinistra” della riforma: il suo impatto positivo in termini di riassorbimento del precariato, di aumento rapido della quota di assunzioni a tempo indeterminato sul flusso dei nuovi contratti, quindi di pari opportunità nel mercato del lavoro.
Questa volta ha prevalso la coerenza, condizione indispensabile per l’efficacia della riforma e per il suo stesso equilbrio politico.

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