- Pietro Ichino - https://www.pietroichino.it -

PERCHÉ GLI ESODATI NON “SALVAGUARDATI” NON SONO 50.000 (E DOBBIAMO TUTTI ESSERNE CONTENTI)

IL RIFIUTO, DA PARTE DEI COMITATI ESODATI, DI UNA INIZIATIVA VOLTA A CHIARIRE DIMENSIONI E QUALITÀ DEL FENOMENO SI SPIEGA SOLTANTO CON L’INTENDIMENTO DI “ALLARGARE LA PLATEA” ALL’INTERA AREA DEI DISOCCUPATI ULTRA-55ENNI, PER I QUALI LA SOLUZIONE NON PUÒ E NON DEVE ESSERE IL PREPENSIONAMENTO GENERALIZZATO

Risposta (18 settembre 2015) al comunicato della Rete dei Comitati Esodati [1] emanato il giorno precedente, a seguito della pubblicazione dei risultati del censimento promosso dalla Commissione Lavoro del Senato [2]  .

1. Sul “metodo e il merito” del censimento promosso dal Senato
La Rete Esodati sostiene di avere contestato “nel metodo e nel merito” il censimento promosso e attuato dalla Commissione Lavoro del Senato, in collaborazione con l’Istat, tra l’aprile e il luglio di quest’anno. Ma la stessa Rete, nel suo lunghissimo comunicato, non spende neppure una parola per indicare gli errori “di metodo e di merito” che a suo dire inficerebbero quel censimento. In realtà, tra l’ottobre 2014 e il marzo 2015 la Commissione Lavoro si è confrontata più volte con i Comitati Esodati su questa iniziativa e sul contenuto della scheda utilizzata per il censimento; e ha anche accolto alcune modifiche richieste dai Comitati. I quali hanno incominciato a manifestare la propria contrarietà a questa iniziativa soltanto quando essa era già in corso da più di tre settimane, a fine aprile, e già si poteva osservare un afflusso complessivo di risposte molto inferiore alle attese.
Questo atteggiamento dei Comitati è – nel migliore dei casi – la tipica espressione di un difetto proprio della politica italiana: la mancanza di pragmatismo e la scarsa dimestichezza con le tecniche della misurazione e valutazione.
In presenza di una lunga e aspra discussione circa il numero e la qualità dei cosiddetti “esodati”, logica vuole che per prima cosa ci si proponga di accertare direttamente come stanno le cose, con l’aiuto dell’Istituto specializzato per questa funzione: nel nostro Paese l’Istat. Perché questo approccio fa paura? Perché si preferisce il perpetuarsi degli scontri politici fondati sul vuoto di informazione?

2. Sui dati forniti dall’Inps nell’ottobre 2014
L’unico argomento addotto dalla Rete Esodati è quello basato sui dati forniti dal Direttore Generale dell’Inps, dottor Nori, il 14 ottobre 2014 alla Camera, in sede di risposta scritta a un’interrogazione parlamentare. In quell’occasione, “il numero totale dei potenziali beneficiari” di provvedimenti futuri di salvaguardia, i quali con le vecchie norme avrebbero ottenuto il pensionamento entro il 6 gennaio 2019, fu indicato complessivamente in 46.200 persone. Questo numero, però, comprendeva non soltanto gli “esodati” in senso proprio, ma anche, in misura nettamente superiore, i c.d. “contributori volontari” (cioè persone da molto tempo disoccupate, anzi per lo più neppure impegnate nella ricerca di un posto di lavoro, ammesse a versare i contributi previdenziali di tasca propria al fine del raggiungimento dei requisiti per il pensionamento), i titolari di aspettative per l’assistenza a parenti disabili, nonché tutti gli ex-titolari di contratti di lavoro a tempo determinato cessati tra il 2007 e il 2011: altre tre categorie di persone interessate che erano state ricomprese nei primi provvedimenti di “salvaguardia” insieme agli “esodati” veri e propri. Lo stesso Direttore Generale dell’Inps Nori, del resto, nel corso di una successiva audizione del 12 novembre 2014 in Commissione Lavoro al Senato, confermò che gli “esodati” in senso proprio rimasti fuori dalle sei “salvaguardie” dovevano considerarsi ormai come casi particolari in numero relativamente esiguo, facilmente risolvibili con provvedimenti ad hoc (ciò che dovrebbe rallegrare tutti, per primi i Comitati Esodati, poiché significa che il problema della copertura finanziaria qui è agevolmente superabile).
Sta di fatto, comunque, che in occasione dei sei provvedimenti di “salvaguardia” emanati tra il dicembre 2011 e il 2014 i dati forniti dall’Inps circa i potenziali beneficiari si sono sempre rivelati fortemente sovradimensionati rispetto al numero di coloro che hanno poi effettivamente chiesto il beneficio. E questo si può ben capire: il dato Inps comprende anche numerose persone che nel frattempo nonostante le difficoltà hanno trovato lavoro, o comunque in concreto non versano nella situazione di particolare bisogno temuta e non sono, di fatto, interessate al pensionamento immediato. Per fare soltanto un esempio, in occasione della quinta salvaguardia (2013), cioè quella dei cui effetti si discuteva nell’autunno 2014, a fronte di una platea complessiva prevista di 17.000 beneficiari, le certificazioni presentate erano state soltanto 2.814, e le pensioni poi effettivamente liquidate 1.499. Più in dettaglio:
–  a fronte di una platea prevista di 5.200 lavoratori cessati per risoluzione unilaterale del rapporto entro il 2011, le certificazioni presentate erano state soltanto 458;
– a fronte di una platea prevista di 500 lavoratori cessati per accordi stipulati entro il 2012, le certificazioni presentate erano state solo 261;
– a fronte di una platea prevista di 1.000 lavoratori in mobilità autorizzati alla prosecuzione volontaria, le certificazioni presentate erano state solo 34!
(tutti questi dati sono tratti dalla comunicazione presentata dal Direttore Generale dell’Inps dott. Nori alla Commissione Lavoro del Senato il 12 novembre 2014).

Mi sembra dunque molto ragionevole che il Senato, a fronte di previsioni rivelatesi tanto distanti rispetto al dato reale concretamente verificato, si sia proposto di realizzare una rilevazione più precisa e diretta della platea dei soggetti davvero interessati.

3. Il paradosso della reazione della Rete Esodati
Resta, infine, per me del tutto inspiegabile il fatto che i Comitati Esodati considerino come un’aggressione ai loro danni l’ìpotizzare che il numero degli esodati stessi sia inferiore rispetto a quanto da loro sostenuto. Se il numero dei beneficiari è inferiore, questo rende più facile risolvere il problema!
A meno che l’intendimento dei Comitati – e di chi li appoggia acriticamente – non sia, in realtà, quello di coprire con la bandiera degli “esodati” il fenomeno molto più ampio di tutti gli ultracinquantacinquenni che hanno perso il posto e hanno difficoltà a ritrovarlo: questo spiegherebbe l’ostilità verso l’iniziativa del Senato, che invece delimita l’oggetto dell’indagine in modo rigoroso e mira a chiamare le cose rigorosamente con il loro nome. Se così fosse, però, vorrebbe dire che i Comitati non stanno affatto battendosi per gli interessi dei veri “esodati”: anzi, stanno rendendo più difficile tutelarli.

4. Il modo corretto di dare sostegno ai disoccupati in età avanzata, ma non ancora in età di pensione
Tutto questo non significa certo che il problema dei disoccupati in età avanzata non vada affrontato: al contrario, un intervento di sostegno a questa fascia di persone in grave difficoltà nel mercato del lavoro è urgentemente necessario. Ma va affrontato come un problema di disoccupazione, appunto, quindi con misure di sostegno del reddito  mirate non a espellere definitivamente queste persone dal mercato del lavoro, bensì, al contrario, dove questo è possibile, al loro reinserimento nel tessuto produttivo. Quello dell’active ageing [3] è un capitolo delle politiche attive del lavoro sul quale in Italia siamo purtroppo ancora all’anno zero. Nel nostro Paese solo una persona su tre, nella fascia tra i 55 e i 70 anni, è attiva nel mercato del lavoro: una quota intollerabilmente bassa, se confrontata con i 2 su 3 dei Paesi Scandinavi e con gli 1 su 2 di Germania e Gran Bretagna. Se vogliamo allinearci al resto d’Europa non possiamo continuare a prepensionare i cinquantenni. Se tutto questo è vero, deve convenirsi che la battaglia in corso condotta sotto le bandiere degli esodati ha un contenuto effettivo ben diverso da quello apparente: chi la conduce, in Parlamento e fuori, si propone in realtà di smontare la legge Fornero. E di tornare proprio a quella prassi del prepensionamento sistematico degli ultra-cinqnantacinquenni, a spese delle generazioni dei ventenni e trentenni di oggi, ma anche delle altre che verranno. Una prassi rispetto alla quale la legge Fornero ha fortunatamente voltato pagina.

5. Non ripetiamo l’errore grave compiuto nel 2007
Rispetto alla scelta compiuta nel 2011 non dobbiamo e non possiamo fare l’errore grave che compimmo nel 2007: quello di tornare indietro. Si possono adottare – purché senza aumento del debito, che grava sulle spalle dei nostri figli e nipoti – misure di flessibilizzazione dell’età di pensionamento, o misure che consentano di ottenere anticipi bancari garantiti dal trattamento pensionistivo futuro. Si può anche studiare la possibilità di un rallentamento del meccanismo di aumento automatico dell’età pensionabile in relazione all’aumento della longevità media della popolazione. Ma smontare la riforma pensionistica del 2011 – come sostanzialmente chiedono le organizzazioni dei sedicenti “esodati” e troppi esponenti politici che danno loro retta – sarebbe la ripetizione dell’errore gravissimo che il ministro del Welfare Damiano fece nel 2007 smontando la legge Maroni di tre anni prima, con un costo per l’Erario di oltre dieci miliardi.

.

.