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SERVIZI AL MERCATO DEL LAVORO: LA QUESTIONE DELLE RISORSE

LA RIFORMA DELINEA BENE I SERVIZI DA DESTINARE AI DISOCCUPATI NEL MERCATO, MA MANCANO LE RISORSE NECESSARIE: SECONDO OLIVIERI, SERVIREBBERO 4,5 MILIARDI IN PIÙ – GLI RISPONDO CHE SE I SERVIZI FUNZIONASSERO DAVVERO SI RIPAGHEREBBERO DA SÉ; È PERÒ COMUNQUE INDISPENSABILE UN PIANO DI RIORGANIZZAZIONE E RILANCIO

Articolo di Luigi Olivieri, pubblicato su Lavoce.info il 15 dicembre 2015 – Segue la mia breve risposta pubblicata commento sullo stesso sito – In argomento v. anche la mia interpellanza al ministro del Lavoro [1] del 3 novembre 2015, gli interventi di addetti ai Centri per l’Impiego [2] di diverse regioni che ne sono seguiti, uno sulla situazione in Emilia Romagna [3] e il mio editoriale telegrafico del 23 novembre 2015, Centri per l’Impiego: occorre subito un piano organico di rilancio [4].

I servizi previsti dal Jobs act

La riforma del mercato del lavoro che deriva dai decreti attuativi del Jobs act è molto ben congegnata nella descrizione dei servizi da rendere ai disoccupati, ma rischia di rivelarsi un libro dei sogni.
Il problema non consiste tanto nel definire i sistemi di aiuto, ormai consolidati e noti, quanto nelle risorse. E le risorse pubbliche restano irrimediabilmente ed eccessivamente scarse. Infatti, mancano all’appello circa 4,5 miliardi, a essere generosi. Vediamo il perché.
La riforma (il decreto legislativo 150/2015) ha specificato in modo corretto e convincente le funzioni e i servizi da rendere ai disoccupati, puntando in particolare su:

– profilazione del fabbisogno di ricerca di lavoro;

– stipulazione di un patto di servizio individualizzato, col quale definire le attività di assistenza più o meno intensiva nella ricerca di lavoro;

– orientamento di base o specialistico;

– proposte di formazione, lavoro o tirocinio.

Tra gli strumenti più innovativi, vi è senz’altro il contratto di ricollocazione: prevede che i servizi pubblici per il lavoro assegnino a disoccupati percettori della Naspi, la cui disoccupazione ecceda i quattro mesi, una somma di denaro finalizzata a ricevere un pacchetto di servizi combinati per la ricerca intensiva di lavoro.
Rilevante è anche il nuovo sistema che ha l’obiettivo di sollecitare i disoccupati percettori di ammortizzatori sociali a cercare effettivamente lavoro (condizionalità), che punta sul patto di servizio personalizzato. Conterrà una serie di adempimenti obbligatori, quali periodiche verifiche delle azioni intraprese dai lavoratori per ricollocarsi, attraverso incontri con i responsabili delle attività, oltre all’obbligo per i servizi di proporre occasioni di formazione e lavoro. Laddove i destinatari non adempiano alle azioni previste dai patti, scattano misure sanzionatorie che progressivamente decurtano i sostegni al reddito percepiti, fino anche alla decadenza.

50 ore per ogni disoccupato

Ovviamente, l’insieme delle azioni da svolgere implica una riorganizzazione delle attività finalizzate ad assicurare ai disoccupati un aiuto effettivo nella ricerca di lavoro.
La regione Lombardia, con un uno studio di luglio 2015, ha misurato la quantità di lavoro necessaria per garantire a ogni disoccupato l’intera gamma dei servizi previsti, stimandola in 163 ore a persona. Il medesimo studio, tuttavia, stima in 50 ore a disoccupato il carico effettivo, considerando che difficilmente i servizi previsti saranno erogati per tutti nel livello massimo.
Prima di analizzare gli effetti organizzativi ed economici, è bene ricordare un dato: in Italia i servizi pubblici per il lavoro sono retti da circa 7mila dipendenti (ancora operanti nelle province, ma destinati, per effetto del decreto legislativo 150/2015 a passare entro il 2017 alle regioni o all’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro), con un investimento complessivo di circa 700 milioni. In Germania, i dipendenti addetti ai servizi pubblici per il lavoro sono oltre 100mila, con un investimento di circa 9 miliardi.
Se a ciascun disoccupato italiano (in totale sono 3,1 milioni) si dedicassero dunque le 50 ore stimate dalla regione Lombardia, occorrerebbe assicurare un carico di lavoro complessivo pari a 155 milioni di ore. Dividendole per il monte lavorativo annuo di 1.720, si scopre che i servizi pubblici per il lavoro, sui quali il decreto legislativo intende puntare per raggiungere i risultati desiderati, dovrebbero poter contare su 90.116 dipendenti.
Proprio perché si è consci che servizi pubblici così sotto-dotati di personale (talora anche di competenze) non possono dedicare 50 ore a ciascun disoccupato, il decreto legislativo 150/2015 prevede la possibilità di riservare loro solo l’accoglienza e la concessione materiale dell’assegno di ricollocazione, mentre il pacchetto di ore di assistenza intensiva può essere affidato all’esterno alle agenzie ed enti autorizzati o accreditati.
La regione Lombardia offre una stima seria e credibile di un costo standard orario di 30 euro. Con i loro 7mila dipendenti, i servizi pubblici potrebbero assicurare 350mila dei 155 milioni di ore di lavoro necessari. Dunque, se si dovessero seguire (come sarebbe giusto) tutti i 3,1 milioni di disoccupati, i privati dovrebbero puntellare le carenze organizzative pubbliche con circa 154,6 milioni di ore, che moltiplicate per il costo orario stimato di 30 euro, darebbero un costo complessivo di 4,64 miliardi circa, quasi la metà della spesa tedesca in politiche attive per il lavoro e più di sei volte quella attualmente destinata a politiche attive in Italia.
La riforma potrebbe, allora, rivelarsi niente più che un elenco di ottime intenzioni, una sperimentazione che andrebbe a beneficio di una parte molto piccola di disoccupati.

IL MIO COMMENTO

La quantificazione del fabbisogno per i servizi al mercato del lavoro proposta da Luigi Olivieri mostra come il problema sia facilmente risolvibile sul piano finanziario: con un sistema di pagamento a risultato, qual è quello previsto dal d.lgs. n. 150/2015 in riferimento al contratto di ricollocazione, il costo del servizio erogato sarebbe ampiamente coperto dal risparmio sui trattamenti di disoccupazione e dal gettito contributivo e fiscale prodotto dai nuovi rapporti di lavoro attivati (parliamo, secondo il conto proposto da L.O., di una spesa intorno ai 4 miliardi per i contratti di ricollocazione nel caso – invero poco realistico – di loro successo totale, a fronte di una spesa per ammortizzatori sociali di oltre 20). D’altra parte, investire su di una struttura pubblica che è per lo più del tutto incapace di svolgere in proprio il servizio utile per la ricollocazione sarebbe come versare acqua in un secchio bucato. Il problema, dunque, non è di natura finanziaria, ma di natura amministrativa e organizzativa. Non dobbiamo moltiplicare gli organici dei Centri per l’Impiego pubblici, ma metterli in condizione di svolgere la funzione – che sono in grado di svolgere – dello One Stop Shop per i disoccupati, cioè quella di cerniera tra questi ultimi e gli operatori specializzati accreditati, capaci di fornire i servizi efficaci attraverso il contratto di ricollocazione. Per questo occorre un piano credibile di riorganizzazione e rilancio della rete di questi terminali territoriali, che oggi sono allo sbando. E va onestamente riconosciuto che il piano avrebbe dovuto essere pronto prima del varo del decreto n. 150/2015: qui si registra un ritardo, che va urgentemente superato.    (p.i.)

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