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I CENTRI PER L’IMPIEGO SAPRANNO ATTIVARE IL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE?

ALLE CONCLUSIONI DEL SAGGIO DI CARUSO E CUTTONE SULLO STRUMENTO-CARDINE DEL NUOVO SISTEMA DI PROTEZIONE UN LETTORE OPPONE L’INCOMPATIBILITÀ  DELLA NATURA BUROCRATICA DEI TERMINALI LOCALI DEL SERVIZIO PUBBLICO CON LE ESIGENZE CONNESSE AL NUOVO DISPOSITIVO DI ASSISTENZA

Lettera pervenuta il 18 dicembre 2015 – Seguono una risposta di Bruno Caruso e un mio breve commento – In argomento v. anche l’articolo di Luigi Olivieri e la mia risposta [1] sulla questione delle risorse necessarie perché la riforma funzioni – Inoltre la mia interpellanza al ministro del Lavoro [2] del 3 novembre 2015, gli interventi di addetti ai Centri per l’Impiego [3] di diverse regioni che ne sono seguiti, uno sulla situazione in Emilia Romagna [4] e il mio editoriale telegrafico del 23 novembre 2015, Centri per l’Impiego: occorre subito un piano organico di rilancio [5] 

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Caro professore,
a seguito della lettura, da lei consigliata, dell’articolo di Sebastiano Bruno Caruso e Marco Cuttone, Verso il diritto del lavoro della responsabilità: il contratto di ricollocazione tra Europa, Stato e Regioni [6], non si può fare a meno di pensare che i sei punti delle loro conclusioni siano, appunto, delle corrette indicazioni sulle “potenzialità” del contratto di ricollocazione, nel nuovo quadro delle politiche attive, finalmente disegnato, ma non abbiano la minima possibilità di avere concreta realizzazione, né in tempi brevi né in un qualche futuro, se non ci saranno correttivi di tipo normativo pragmatico o se non si darà maggiore spazio alla sussidiarietà.
Infatti, di là dall’accentramento delle funzioni programmatorie (ANPAL) e degli accordi Stato-regioni, ciò che osta e osterà sempre alla funzionalità dei centri per l’impiego è la loro natura pubblica e il loro conseguente assoggettamento al diritto amministrativo, non soltanto per lo statuto di pubblici dipendenti degli operatori ma, soprattutto, per tutti i vincoli sulla operatività, che si centrano sulla legittimità e non sulla efficacia degli atti.
Stando così le cose è impensabile che possa inverarsi quella  “managerialità degli attori pubblici che le organizzano e dall’integrazione virtuosa con in soggetti privati che operano nel “quasi mercato” dei servizi per il lavoro”, che gli autori auspicano per la nuova organizzazione dei centri per l’impiego.
Allora sarebbe impensabile configurare per ANPAL e centri per l’impiego uno status, sia nella regolazione dell’impiego degli addetti che degli atti, lato sensu privatistico, alla maniera di authority anglosassoni? o, in alternativa, definire forme di vicarietà, secondo le quali, ad esempio, in mancanza di attivazione del centro per l’impiego nei termini fissati e in modi adeguati, il disoccupato potesse rivolgersi ad altri per ottenere il dovuto? E, malgrado l’improprio iperattivismo di Boeri, tra gli altri potrebbe esserci l’INPS che, tutto sommato, potrebbe attrezzarsi abbastanza rapidamente per far fronte alla bisogna? Così si bypasserebbe anche l’intreccio perverso delle competenze statali-regionali.
Cordialmente
Antonio M. Orazi

LA RISPOSTA DI BRUNO CARUSO

Leggo le interessanti osservazioni di A.M. Orazi, dove si esprime il senso comune (proprio perché tale, con un sentore di verità scientifica) circa il fatto che le concrete potenzialità innovative del contratto di ricollocazione (sintetizzate nel saggio in sei punti) possano spiaggiarsi, come un capodoglio, nelle secche dell’inefficienza pubblica e della incapacità dei centri per l’impiego di autoriformarsi o di essere riformati. I dubbi non possono che essere condivisi da chi da tempo, e dalla postazione della ricerca scientifica, osserva le varie ondate di riforme della amministrazione pubblica e il loro frangersi nei bastioni di resistenza a vario livello. E tuttavia la soluzione ventilata, tutto privato o para privato, non è tale, per due ragioni concomitanti: una di ordine generale, l’altra più contingente.
Qualunque società moderna impegnata in un serio progetto (economico, tecnologico, civile) di riforme propulsive non può fare a meno di una strategia intelligente che abbia al proprio centro uno Stato, e una amministrazione pubblica, all’altezza della sfida della globalizzazione. Come dimostra Mariana Mazzucato, la Apple non è solo il garage di Steve Job, ma soprattutto il portato di grandi investimenti pubblici in ricerca e sviluppo: l’una (l’impresa innovativa) non può fare a meno dell’altro (lo Stato intelligente che si assume il rischio anche economico dell’innovazione), e viceversa. Così, un mercato del lavoro efficiente necessita di agenzie del lavoro private che facciano della innovazione sociale la propria strategia core, ma anche di strutture pubbliche efficienti, e viceversa.
In secondo luogo, è noto che, sia i  sistemi complementari (come la Germania), sia quelli concorrenziali (come l’Olanda), non escludono, anzi presuppongono, strutture pubbliche ad alta salienza organizzativa e operativa, proprio perché la gestione ottimale del mercato del lavoro è alla fine un servizio pubblico che implica – a livelli di intensità diversa e con modalità operative differenziate in ragione delle opzioni di policy – la presenza di un soggetto pubblico intelligente e in grado di organizzare la governance complessiva di sistema.
Onde, non rimane che affidarsi all’Anpal, al suo management e alla   capacità di quest’ultimo di essere driver dell’innovazione delle istituzioni del mercato del lavoro italiano.
Bruno Caruso
Docente di diritto del lavoro presso l’Università di Catania e la Luiss di Roma

UN MIO BREVE COMMENTO

Qualcuno potrebbe trarre da questo scambio di opinioni una conclusione molto pessimista. Se ha ragione B.C. sul punto che in questo campo una struttura pubblica ben funzionante è comunque indispensabile,  così come è indispensabile uno Stato che investa intelligentemente su di essa, ma ha anche ragione A.M.O. a dubitare che la nostra struttura pubblica possa mai dotarsi delle competenze necessarie, allora non c’è speranza che la riforma possa funzionare. Io non giungo a questa conclusione perché sono convinto che la rete dei Centri per l’Impiego in diversi casi già abbia, negli altri possa acquisire senza oneri straordinari a carico della finanza pubblica (anzi, con la prospettiva di risparmi sugli ammortizzatori sociali), le competenze necessarie per svolgere la funzione di One Stop Shop e di cerniera [1] tra utenti e servizi specialistici offerti dagli operatori accreditati. A patto, però, che il ministero del Lavoro subito, e l’ANPAL dal primo gennaio 2016, mettano in campo un piano organico di rilancio e rafforzamento della rete dei CpI per lo svolgimento di questa funzione: qui denuncio un ritardo.   (p.i.)

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