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“IL CARDINAL BAGNASCO NON È FORSE UN CITTADINO ITALIANO COME GLI ALTRI?”

PERCHÉ L’INGERENZA DEL PRESIDENTE DELLA C.E.I. NELLE MODALITÀ DI APPLICAZIONE DI UN REGOLAMENTO PARLAMENTARE DEVE ESSERE CENSURATA COME UNA SCORRETTEZZA NON SOLO DA UN PUNTO DI VISTA INTERNO ALLA CHIESA CATTOLICA, MA ANCHE DA UN PUNTO DI VISTA ESCLUSIVAMENTE CIVILE 

Lettera pervenuta il 16 febbraio 2016 – Segue la mia risposta.

Caro senatore, nell’editoriale telegrafico di ieri [1], più precisamente nell’occhiello, lei ha definito come una “ingerenza indebita” la dichiarazione pubblica del cardinal Bagnasco che chiedeva il voto segreto sugli emendamenti al disegno di legge in materia di unioni civili. Ora, mi risulta che il cardinal Bagnasco sia un cittadino italiano, il quale, come tutti gli altri cittadini italiani, è libero di sostenere quello che gli sembra giusto, sia sul merito di un disegno di legge, sia sulla procedura migliore per approvarlo in Parlamento. Se poi lei la vuole… buttare in politica obiettando che Bagnasco è presidente della Conferenza Episcopale Italiana, questa non può forse – dal punto di vista dell’ordinamento statale – considerarsi alla stregua di una qualsiasi associazione tra le tante? Forse che una qualsiasi associazione di cittadini non è libera di sostenere, per bocca del suo presidente, quel che le pare in materia di politica e istituzioni? O la laicità deve intendersi a senso unico? Mi sembra che la cosa meriti da parte sua un ripensamento. Con i migliori saluti
Duccio Santelli

La questione va esaminata da due punti di vista: quello interno alla Chiesa e quello esterno. Dal primo punto di vista, cioè quello dell’ordinamento e dei principi che la Chiesa si è data per guidare il comportamento dei suoi membri, su questa materia il Concilio Vaticano II ha stabilito che, di fronte alle questioni inerenti al governo della città terrena, come alle questioni inerenti alla scienza e alla tecnica, i cristiani in quanto tali non hanno alcuna verità rivelata, o comunque direttamente desumibile dal Vangelo, ma devono confrontarsi da pari a pari con le altre persone, nel rispetto dell’autonomia dei principi e regole propri di questi ambiti dell’attività umana; né i cristiani devono attendersi dai propri vescovi l’indicazione delle soluzioni da adottare, dovendo questi ultimi limitarsi a curare la retta educazione delle coscienze, lasciandole poi libere di cercare di volta in volta le soluzioni concrete dei singoli problemi politici, legislativi, tecnici, o di altro genere, sulla base di una collaborazione e dialogo aperto tra credenti e non credenti (Gaudium et Spes, 43). Non sembra che questo principio conciliare sia stato tenuto presente dal cardinal Bagnasco nella sua ultima sortita. Passiamo a esaminare la questione dall’altro punto di vista, quello esterno alla Chiesa: dal punto di vista civile si può convenire con la tesi di D.S. – secondo cui il cardinal Bagnasco non ha commesso alcun illecito esprimendosi, in veste di presidente della C.E.I., su di una questione inerente all’applicazione del regolamento del Senato. Non un illecito vero e proprio, d’accordo. Ma uno strafalcione sì, alla luce di una regola di correttezza non scritta, sulla quale si basa la convivenza tra Stato e Chiesa cattolica, in un Paese dove fino a un secolo e mezzo fa quest’ultima ha esercitato un millenario potere temporale e dove il principio “libera Chiesa in libero Stato” ha, in seguito, faticato non poco ad affermarsi. Così come dovremmo considerare gravemente scorretto anche soltanto un commento – non parliamo di una pressione – del Governo sulla designazione di un vescovo, o sulle decisioni di un Sinodo episcopale in materia teologica, ecclesiastica o pastorale, allo stesso modo può e deve considerarsi scorretto un intervento del Presidente della C.E.I. sul modo in cui deve applicarsi il regolamento del Senato.     (p.i.)

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