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CHE COS’È L’INAPP E CHE COSA FA?

Erede dell’Isfol, dal dicembre 2016 l’Istituto presieduto da Stefano Sacchi ha al tempo stesso il compito di analizzare e valutare le politiche pubbliche riferite al mercato del lavoro e quello di policy advice nei confronti di ministero del Lavoro e Regioni sulla stessa materia – Ma resta aperto un rilevante problema istituzionale

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Lettera pervenuta il 27 maggio 2017 – Segue la risposta del presidente dell’Inapp, professor Stefano Sacchi – In argomento v. anche il testo del d.lgs. n. 150/2015 [1] e gli altri documenti e interventi in proposito raccolti nel
Portale della riforma del lavoro [2]    .
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Gentile Senatore, seguo con interesse le politiche attive del lavoro. Pur avendo chiaro il ruolo fondamentale di ANPAL, non mi è chiaro quello di INAPP (ex ISFOL). INAPP nasce il 1° dicembre 2016 dalle ceneri di ISFOL che non era stato in grado di raccordare adeguatamente il mondo scientifico e il mondo politico e in vista – a voler trovare un senso alla sua nascita – di una soppressione del CNEL, poi non avvenuta a seguito dell’esito referendario. Secondo un recente rapporto di ricerca, INAPP sarebbe una struttura ibrida le cui attività appaiono dispersive e con un organico sovradimensionato rispetto alla media europea e con competenze varie. Ma soprattutto appare decisamente difettoso il rapporto tra ANPAL e INAPP.
Secondo il suo Statuto, ANPAL deve essere sottoposta al potere di indirizzo e vigilanza del ministero del Lavoro, mentre la legge prevede che ISFOL (oggi INAPP) debba verificare il raggiungimento degli obiettivi da parte di ANPAL. Anche INAPP deve quindi vigilare su ANPAL?
Sono perplessa  se si  considera che INAPP ha perso gran parte delle risorse finanziarie perché confluite in ANPAL.  Impoverita da ANPAL, potrebbe avere interesse  a evidenziare il malfunzionamento dell’organo posto a capo delle politiche attive del lavoro? Anche il CNEL ha in animo di risorgere come l’ex ISFOL. Non si rischia che INAPP diventi  un duplicato in chiave minore dell’organo costituzionale per quanto riguarda il suo funzionamento?
Cordiali saluti
M.V.

Risponde il presidente dell’Inapp, professor Stefano Sacchi, che ringrazio della disponibilità

Stefano Sacchi

Il presidente dell’INAPP prof. Stefano Sacchi

Ringrazio Pietro Ichino e la lettrice del blog per l’opportunità di illustrare il ruolo dell’INAPP, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – www.inapp.org [3]. INAPP è un Ente pubblico di ricerca vigilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (*). L’istituto è la trasformazione dell’ISFOL, l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori, nato nel 1973 con il compito di offrire un sostegno tecnico e metodologico al Governo e alle Regioni nel campo della formazione professionale. Nel tempo l’ISFOL ha acquisito maggiori funzioni, sino a occuparsi non solo di formazione professionale, ma anche di dinamiche e istituzioni del mercato del lavoro più in generale, e di politiche di inclusione sociale. Le informazioni generate da ISFOL sono state tradizionalmente di grande rilevanza per il sistema italiano delle politiche del lavoro e della formazione professionale: i vari rapporti ISFOL sulla formazione, sull’apprendistato, o sulle strategie di invecchiamento attivo (per citarne solo alcuni) costituiscono da sempre il patrimonio informativo più prezioso per quanti in Italia si occupano di questi temi. Alcuni di questi rapporti sono affidati dalla legge stessa all’Istituto (è il caso ad esempio del rapporto sulla formazione previsto dalla legge n. 845 del 1978), altri sono redatti su richiesta del Ministero del Lavoro o di altri attori istituzionali. Spesso i rapporti dell’Istituto sono formalmente presentati al Parlamento, e non di rado essi costituiscono la base conoscitiva per iniziative legislative sui temi del lavoro e della formazione professionale.

ISFOLNell’ambito del riordino del sistema delle politiche del lavoro nel nostro paese, il decreto legislativo n. 150 del 2015 (il decreto che si è occupato delle politiche attive tra gli otto decreti attuativi del Jobs Act) ha assegnato all’allora ISFOL una nuova missione, più ampia di quella precedente, essenzialmente riassumibile nei compiti di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche che hanno un impatto sul mercato del lavoro. A seguito dell’assegnazione di tale nuovo compito, è stata avviata, nel mio mandato da commissario straordinario durante il 2016, una riorganizzazione dell’Istituto e la conseguente revisione statutaria dell’Istituto. Questi processi sono stati in qualche modo rallentati da fattori esogeni: da un lato i ritardi nella costituzione e nell’operatività dell’ANPAL, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro creata dallo stesso dlgs n. 150 del 2015, alla quale l’Istituto ha potuto trasferire circa 150 unità di personale soltanto tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017; dall’altro l’approvazione della riforma degli Enti pubblici di ricerca, avvenuta alla fine del 2016 con il decreto legislativo n. 218 del 2016, che ha comportato la modifica in itinere di alcune fra le procedure autorizzative già avviate. Ciononostante, la riorganizzazione ha avuto inizio, pur nell’incertezza circa la professionalità che sarebbero rimaste in forze all’Istituto dopo il trasferimento di personale all’ANPAL (motivo per il quale mi sono sempre adoperato per l’avvio celere dell’Agenzia, della cui piena operatività in raccordo con le Regioni il Paese continua ad avere necessità assoluta). Tale riorganizzazione ha anche comportato il cambiamento del nome dell’Istituto, per allinearlo ai nuovi compiti previsti dal dlgs n. 150 del 2015: da ISFOL ad, appunto, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (nuovo nome dell’Istituto dal 1° dicembre 2016).

Un Istituto che si occupi di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche è un unicum assoluto nel nostro Paese, come è stato rilevato anche in un recente convegno (su L’importanza strategica del policy advice e il ruolo dell’INAPP) svoltosi il 23 maggio scorso presso l’INAPP. I relatori, i cui interventi saranno nei prossimi giorni disponibili sul sito dell’Istituto (www.inapp.org [3]), hanno discusso un importante rapporto di ricerca comparata sulla funzione della ricerca strategica in vari Paesei europei, da me commissionato ad alcuni tra i più qualificati esperti internazionali sul tema del ruolo della conoscenza esperta nei processi di policy: Maurizio Ferrera, Tullia Galanti e Anton Hemerijck. Il rapporto, di grande qualità, è liberamente scaricabile dal sito dell’Istituto [4].

INAPPIl fine di questa operazione è stato quello di riflettere sulla funzione di policy advice, la consulenza strategica per i decision makers svolta all’interno di strutture pubbliche di produzione di conoscenza. Il mio mandato da presidente dell’INAPP, che ha avuto avvio nel 2017, sarà infatti segnato dalla volontà di dotare il nostro Paese di capacità di analisi strategica nel campo delle politiche sociali e del lavoro. Tale curvatura del concetto di analisi previsto come compito dell’Istituto dal dlgs n. 150 del 2015 è essenziale per la produzione di politiche pubbliche basate sull’evidenza scientifica, e affinché i decisori pubblici possano prendere decisioni informate e adeguate alla situazione. In altri termini, INAPP si pone l’obiettivo di studiare e di monitorare i fenomeni sociali ed economici che rilevano per il lavoro e il welfare, di valutare gli effetti delle politiche pubbliche in tali campi, ma anche – e questa è la novità – di elaborare scenari di intervento per il policy maker. Tali scenari sono basati sulla conoscenza dei fenomeni nel loro sviluppo presente e futuro e sugli esiti delle politiche esistenti, ma vanno oltre tale conoscenza, perché elaborano delle proposte di policy alternative individuandone i potenziali esiti e i pro e contro, sottoponendole al decisore pubblico, che poi ha la responsabilità di valutarne le conseguenze politiche e compiere le proprie scelte. In questo senso, non comprendo la sovrapposizione di funzioni che dovrebbe esservi, a giudizio della lettrice, tra un ente di ricerca che mette a frutto le proprie capacità analitiche per svolgere analisi strategica delle politiche pubbliche a fini di policy advice come INAPP, e il CNEL, che dovrebbe essere il luogo del dialogo sociale e contribuire alla costruzione di un consenso tra governo e parti sociali sulle decisioni di politica economica. Ben lungi dall’essere in competizione, INAPP e CNEL possono ben essere complementari: se INAPP ha nella Presidenza del Consiglio e nel Ministero del Lavoro i destinatari principali della sua attività di policy advice, questi non sono in alcun modo esclusivi: assieme alle Commissioni Lavoro e Politiche sociali del Parlamento, e le Regioni, tale attività può essere svolta anche attraverso il CNEL e assieme a questo nei confronti delle parti sociali.

ANPALUn esempio di attività di policy advice è quella che l’INAPP sta attualmente svolgendo per conto del Ministero del Lavoro, assieme a MISE e MIUR, in vista del G7 ministeriale di settembre 2017 e più in generale sul lavoro che cambia, in connessione alla strategia Industria 4.0. Assieme al sostegno al Ministero del Lavoro per la determinazione delle priorità della Presidenza italiana del G7 in tema di lavoro e protezione sociale, INAPP sta elaborando le direttrici della riflessione italiana sul tema del lavoro che cambia in relazione al cambiamento tecnologico, discussa con le parti sociali ai tavoli del Ministero del Lavoro con MISE e MIUR. Quello dell’impatto di cambiamento tecnologico e cambiamento demografico sul lavoro e sulla protezione sociale sarà il tema portante dell’attività scientifica dell’Istituto nel prossimo triennio, e su questo tema – già inquadrato in un paper di Dario Guarascio e Stefano Sacchi, scaricabile dal sito dell’Istituto [5] – vi sarà nelle prossime settimane un mio position paper, che terrà assieme “Cambiamento tecnologico, futuro del lavoro e investimenti sociali”. L’obiettivo è quello di dotare il nostro Paese di analisi e di scenari che consentano di prendere decisioni informate in materia di politiche industriali, del lavoro, della formazione e del welfare. Il primo passo, nei prossimi mesi, è quello di costruire un sistema in grado di analizzare i cambiamenti futuri nella domanda di lavoro, scomponendoli in termini di professioni, mansioni e competenze, per poi considerare in che modo l’attuale struttura occupazionale italiana è in grado di far fronte a tale domanda, identificare in modo analitico i fabbisogni di competenze, mapparli sull’attuale sistema di produzione di competenze nel nostro paese, e fornire al decision maker scenari di intervento relativamente alle politiche del lavoro e della formazione, assieme a evidenza utile per decisioni in materia di politiche dell’istruzione da un lato e politiche industriali ad elevato contenuto di competenze dall’altro. Su questo INAPP sta collaborando con MISE e MIUR.

Il prof. Maurizio Ferrera

Il prof. Maurizio Ferrera

Per svolgere il compito fondamentale di fornire policy advice nel campo delle politiche sociali e del lavoro, occorre certamente un cambio di passo, come evidenziato dal rapporto di Ferrera, Galanti ed Hemerijck che si riferisce alle attività del vecchio ISFOL. Questo cambiamento è già stato avviato, e acquisirà maggior momento nei prossimi mesi, con la messa a regime del piano su “Cambiamento tecnologico, futuro del lavoro e investimenti sociali”. Delle criticità rilevate dal rapporto, queste sono più semplici da affrontare da parte dei vertici dell’INAPP, poiché attengono all’organizzazione interna. Perché la “grande opportunità” costituita dalla creazione dell’INAPP, come la chiama Maurizio Ferrera nelle sue conclusioni al rapporto, non venga sprecata, restando “intrappolata nelle paludi dell’administrative politics all’italiana”, occorre però risolvere alcuni problemi ulteriori, che non sono in quanto tali nelle disponibilità del management dell’Istituto. In primo luogo l’accesso ai dati. Non vi è bisogno, credo, di richiamare ai lettori l’importanza dell’accesso ai dati elementari per un’istituzione di ricerca nello svolgimento dei propri compiti istituzionali. Il rapporto mostra come gli istituti analoghi a INAPP, in Europa, abbiano accesso illimitato ai dati elementari. Così non è in Italia, dove sovente pur tra enti appartenenti al Sistema Statistico Nazionale (SISTAN) di cui INAPP fa parte, lo scambio di dati è reso difficile dagli apparati burocratici. Il secondo ostacolo al pieno sviluppo di un’istituzione pubblica di policy advice come INAPP è la dotazione di risorse. Come evidenziato dal rapporto, il contributo istituzionale dell’Istituto è stato negli ultimi anni (qui la lettrice del blog fa confusione perché l’ANPAL non c’entra nulla, si è trattato di decisioni del Ministero vigilante) ridotto in misura tale da non consentire la piena operatività dell’Istituto. A fronte di questa situazione, il rapporto evidenzia un trilemma, che vede l’impossibilità di mantenere congiuntamente l’attuale (sotto)finanziamento istituzionale, gli attuali livelli occupazionali e gli ostacoli al reperimento sul mercato di risorse, attraverso attività di ricerca per conto terzi. Il ministero vigilante deve sciogliere questo nodo, indicando una direzione. La terza criticità messa in evidenza dal rapporto riguarda il disegno istituzionale delle relazioni tra INAPP, ANPAL e ministero del Lavoro, frutto di un grave errore di disegno del dlgs n. 150 del 2015. Tale disposizione prevede infatti che INAPP valuti il raggiungimento degli obiettivi da parte di ANPAL, sulla scorta della loro individuazione da parte del ministro del Lavoro. INAPP dovrebbe in sostanza agire come valutatore per conto del ministero del Lavoro. Il problema è che metà del budget di INAPP viene dalle attività svolte da questo sul PON SPAO del Fondo Sociale Europeo, e questa fonte di finanziamento è divenuta ancor più rilevante negli ultimi anni a cagione della riduzione del contributo istituzionale da parte del ministero. Sino all’avvio di ANPAL, l’Autorità di gestione del PON SPAO era incardinata presso il ministero del Lavoro. Oggi è stata trasferita all’ANPAL. Il risultato è che INAPP ottiene metà del suo budget da un soggetto che, per legge, deve valutare. Pare evidente il clamoroso errore di disegno istituzionale del dlgs n. 150 del 2015, che ovviamente non è responsabilità dell’ANPAL come istituzione. In assenza del trasferimento da parte del ministero del Lavoro di risorse che consentano ad INAPP di svolgere i propri compiti senza avere relazioni con ANPAL, ciò che sarebbe auspicabile ma pare improbabile, atteso che la maggior parte delle risorse in precedenza a disposizione del ministero del Lavoro sono state trasferite ad ANPAL, e in assenza di modifiche normative che il prossimo Governo potrà voler operare per correggere gli errori di disegno istituzionale evidenziati, occorre nell’immediato e in un’ottica pragmatica far funzionare la collaborazione tra ANPAL e INAPP, nel supremo interesse nel nostro Paese.

Muraglia cinese 2Peraltro sia INAPP, sia ANPAL, hanno ciascuno interesse a regolare i propri rapporti in modo da porre fra loro quello che in ambito finanziario si chiama Chinese Wall: un grado di separazione istituzionale che consenta a INAPP di svolgere in autonomia i compiti di analisi (strategica), monitoraggio e valutazione delle politiche senza contrattare ogni volta il proprio finanziamento da ANPAL, e ad ANPAL di non essere esposta al sospetto di avere ottenuto da INAPP valutazioni del raggiungimento dei propri obiettivi, così come attribuitile dal ministro del Lavoro, per il fatto di essere – in larga misura – il finanziatore di INAPP. Tale strumento di separazione istituzionale è stato da tempo individuato nella costituzione di INAPP come autorità delegata (cosiddetto organismo intermedio) dell’Autorità di gestione del PON SPAO su tutto l’ambito delle funzioni tradizionalmente svolte dall’Istituto nel campo delle politiche del mercato del lavoro, al netto ovviamente di quelle transitate ad ANPAL e da tempo identificate. Entro il mese di giugno 2017 dovrebbe giungere a buon fine la costituzione dell’organismo intermedio con la specificazione delle azioni e del sistema dei controlli – molto rigorosi secondo il diritto europeo – per garantire la piena funzionalità dell’autorità delegata. Questo dovrebbe consentire di aggiungere un ulteriore tassello nell’attuazione del disegno complessivo di riforma riconducibile al Jobs Act e che, eventualmente corretto dove necessario alla luce dell’evidenza empirica e del cambiamento tecnologico e socioeconomico, resta a mio parere la roadmap per la modernizzazione del sistema delle politiche del lavoro e della protezione sociale nel nostro Paese.

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(*) La maggior parte degli enti pubblici di ricerca italiani sono vigilati dal MIUR, ma alcuni sono vigilati da altre istituzioni: per esempio l’ISTAT, vigilato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, o l’Istituto Superiore di Sanità, vigilato dal Ministero della Salute.

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