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UN LIBRO CHE AMBISCE AD APPASSIONARE

“Vorrei che leggessero La casa nella pineta i più giovani, che del secondo Novecento sanno davvero poco; ma confesso che ho coltivato anche l’ambizione di scrivere un libro capace di appassionare anche gli adulti”

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Intervista a cura di Sofia Bisi, pubblicata sul
Gazzettino di Rovigo il 1° maggio 2018 – Altri interventi e commenti su La casa nella pineta nella pagina ad esso dedicata [1]     .
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Scarica la pagina del Gazzettino di Rovigo [2]

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Sindacalista, giuslavorista, ricercatore, giornalista, fino a un mese fa senatore, e oggi anche romanziere. La vita di Pietro Ichino è segnata da tante passioni che ha saputo far diventare professioni, con un filo conduttore: essere al servizio della collettività. Sarà a Rovigo il 5 maggio alle 16.30 in Accademia dei Concordi, ospite del festival Rovigoracconta, per presentare il suo libro “La casa nella prateria”.

Dopo tante pubblicazioni legate al suo impegno economico e giuridico, questo è il primo testo narrativo?
“Sì, per me questa è una prima volta. Anche se l’intendimento che mi ha mosso è stato di natura politica. Volevo rispondere alla domanda che mi viene rivolta spesso: “com’è che tu, discepolo di don Milani, oggi attacchi il sistema di protezione del lavoro?”. In realtà non “lo attacco”: ne denuncio le ipocrisie e le contraddizioni, per renderlo davvero efficace.”

È autobiografico? Perché l’ha scritto? È un messaggio personale, sociale o culturale?
“Il libro è interamente autobiografico; l’ho scritto per mettere a disposizione di tutti, per primi i miei figli e nipoti, un’esperienza straordinariamente ricca di vita vissuta e di rapporti con persone di grande valore. Con l’impegno della massima trasparenza e non reticenza”.

A chi è rivolto? Chi vorrebbe che lo leggesse e perché? Ha già avuto commenti?
“Innanzitutto vorrei che lo leggessero i più giovani, che del secondo Novecento sanno davvero poco. Ma confesso che ho coltivato anche l’ambizione di scrivere un libro capace di appassionare anche gli adulti. In queste prime tre settimane dall’uscita del libro sto ricevendo molte lettere di persone che dicono di avere incominciato a leggerlo e di avere fatto fatica a staccarsene. Sul mio sito ho inserito quelle che mi sono parse più belle.”

Quali sono stati i momenti più impegnativi, più gratificanti e viceversa i più difficili della sua carriera?
“È anche per rispondere a questa domanda che ho scritto questo libro. Ciò che mi ha gratificato di più è stato vedere che le mie idee e proposte di riforma del diritto del lavoro, che hanno sempre incontrato resistenze molto accese, hanno però sempre finito, sia pure con quindici o vent’anni di ritardo, col diventare parte della cultura prevalente nel nostro Paese, anche in seno al movimento sindacale.”

Quanto e perché era legato ai suoi colleghi D’Antona e Biagi? Come prosegue il lavoro iniziato insieme a loro?
“Sono stato personalmente più legato a Marco Biagi: con lui ho collaborato strettamente sul piano didattico e su quello editoriale. Ma ero molto amico anche di Massimo D’Antona. L’evoluzione attuale del diritto del lavoro è in gran parte frutto anche delle loro idee, pur tra loro diverse.”

Ha conti in sospeso con il suo passato?
“Vorrei poter dire che ho adempiuto il comandamento impartitomi da don Milani: quello di restituire quanto ho ricevuto. Ma so di continuare a ricevere molto di più di quanto riesco a dare”.

Ci sono ancora progetti – professionali o personali – che vorrebbe realizzare nel suo futuro?
“Nella nuova fase della mia esistenza che si è aperta con la chiusura del decennio di impegno parlamentare dedicherò la maggior parte del mio tempo all’assistenza volontaria alle persone più deboli”.

Conosce Rovigo? L’ha già vista in passato?
“Ci sono venuto un paio di volte per incontri pubblici in materia di politica del lavoro e sindacale. Però conosco poco la città: spero di poterla conoscere un po’ più da vicino il 5 maggio.”

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