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TENTATIVI DI PASSARE PER LA CRUNA DELL’AGO

“[…] Non è solo una sintonia biografica quella che mi ha coinvolto nella lettura: è soprattutto la qualità esistenziale di questa autobiografia […] Nella vicenda raccontata la carità evangelica si è fatta intelligenza dei problemi, si è fatta ricerca di strutture di eguaglianza e solidarietà […]”

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Intervento introduttivo di don Giuseppe Grampa all’incontro promosso dalla Libreria San Paolo di via Pattari, a Milano, il 7 novembre 2018, per la presentazione del libro
La casa nella pineta, pubblicato in forma di recensione del libro sul mensile Il Segno, organo della Diocesi di Milano e Varese, dicembre 2018 – Le altre recensioni e lettere sullo stesso tema sono facilmente raggiungibili attraverso la pagina web dedicata al libro [1].
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La casa nella pineta è una narrazione che mi ha coinvolto anzitutto per ragioni del tutto personali. Comincio di qui. Ho vissuto non poche delle vicende che fanno da sfondo al testo e ho conosciuto molte delle persone che vi compaiono. Nell’indice dei nomi ho contato almeno venti persone da me incontrate e con le quali ho stretto legami di amicizia. Accanto a questi, naturalmente alcuni membri della famiglia Ichino: in primo luogo Francesca e poi Pietro e Costanza, Giovanna e Giambattista, detto Giamba. Anche alcuni luoghi di questa storia mi sono in qualche misura familiari. Il quartiere di via Giotto e casa Ichino che qualche volta ho frequentato per chiedere consiglio a Fancesca per problemi legati alla adozione. E poi la chiesa di San Pietro in Sala, a pochi passi da casa Ichino, la chiesa parrocchiale dove per una quindicina di anni ho prestato un piccolo servizio alla messa vespertina domenicale. Ricordo Francesca seduta al primo posto della prima panca. Lasciando l’altare al termine della messa, passavo proprio davanti a Lei e ogni volta ci salutavamo con un semplice cenno del capo. Ma una volta mi trattenne e mi disse: “Desidero che lei celebri il mio funerale”. Stupito e imbarazzato mi limitai a dire “A suo tempo, a suo tempo”. E così è stato, dopo alcuni anni. Ho anche visto la pineta così importante nel racconto, durante qualche breve sosta a Forte, ospite della signora Giannetta Lazzati, amica della signora Francesca.

Ma questa lettura non solo mi ha fatto ritrovare in compagnia di vecchi amici, mi ha anche riportato ad una stagione fervida della mia vita di prete. Sono stato ordinato nel 1965, quando Pietro forse cominciava a orientarsi nei futuri studi universitari. Era la grande stagione postconciliare segnata a Milano da non poche tensioni che proprio nella parrocchia degli Ichino avevano una espressione pubblica con una celebrazione della messa domenicale sul sagrato della Chiesa. Nelle pagine del libro ho ritrovato nomi e letture cari a quanti in quegli anni sognavano e operavano perchè le grandi intuizioni conciliari avessero adeguata ricezione nelle nostre comunità.

Ma quegli anni furono anche fervidi per la società civile e il mondo del lavoro. Mandato a svolgere il ministero nella parrocchia di quello che allora doveva diventare il Centro Direzionale di Milano, all’ombra del grattacielo Pirelli, ho potuto accompagnare persone che in quegli uffici lavoravano in stretto contatto con il sindacato FIM-CISL. Non fu una frequentazione indolore per me ma è stata certo una stagione decisiva per la mia formazione. Ecco perchè sono grato a Pietro Ichino per aver raccontato questa stagione della sua famiglia, una stagione che anch’io ho vissuto. Ma non è solo una sintonia biografica quella che mi ha coinvolto nella lettura, è soprattutto la qualità esistenziale di questa biografia. Terminata la lettura mi sono sembrate decisive nell’intera storia una presenza e una parola. In altri termini: se si togliesse la pagina 135 l’intero volume smarrirebbe la sua anima. Del resto, l’Autore scrive a pag. 136: “Il giorno in cui don Lorenzo Milani pronunciò quelle parole fu per me un momento di svolta”.

L’aula della Scuola di Barbiana

Che cosa aveva detto il Priore di Barbiana, sceso a Milano con i suoi ragazzi ospiti in casa Ichino, quel giorno della primavera 1962? Pietro ricorda anche il gesto che accompagnò quelle parole. Senza quel gesto che in qualche modo abbracciava la condizione borghese di quella famigia e senza le parole, quasi un monito profetico non privo di minaccia, ci resterebbe preclusa la comprensione della vicenda esistenziale della famiglia Ichino e di Pietro in particolare. Conosceremmo le scelte di un qualificato giuslavorista coinvolto nelle vicende sindacali e politiche di quegli anni che furono anche anni di piombo, ma ci resterebbe oscura la ragione di quelle scelte e quindi ci mancherebbe la chiave per interpretarle. Non sono state infatti scelte né ovvie né scontate e con molta onestà Pietro Ichino dà voce ai suoi dubbi, alle buone ragioni che avrebbero suggerito di restare nel solco della tradizione di famiglia e portare avanti lo studio legale paterno invece di operare quella scelta di campo che la coscienza provocata dalla parola di don Milani chiedeva. Oso dire che senza la parola di don Milani, parola evangelica e che non è l’unica nell’itinerario formativo della famiglia, senza quella parola noi avremmo oggi tra le mani un bel saggio sociologico, invece oso dire che abbiamo tra le mani una sorta di “Giornale dell’anima”, una confessione ad un tempo interiore e professionale. Itinerario sospinto da un principio interiore, da una parola, da un esempio radicale come quello di don Milani, ma che poi esige di entrare nella storia degli uomini per segnarla. E Pietro Ichino ha tentato di coniugare la parola tagliente del Priore con l’intelligenza del suo tempo e ha fatto le sue scelte, opinabili certo ma indiscutibilmente mosse da una passione autentica. In lui la carità evangelica si è fatta intelligenza dei problemi, si è fatta ricerca di strutture di eguaglianza e solidarietà, si è fatta anche dispositivo di leggi coerenti.

Sul letto di morte, nella sua casa fiorentina, don Lorenzo ha detto ai suoi ragazzi: “In questa stanza sta avvenendo un miracolo, il cammello passa per la cruna dell’ago”. E’ possibile che una famiglia borghese, che un borghese come era don Lorenzo, passi per la cruna dell’ago, entri nel Regno? Questo libro racconta un possibile percorso perchè il cammello passi per la cruna dell’ago.

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