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ETICA E POLITICA ALLA PROVA (DIFFICILISSIMA) DEI FLUSSI MIGRATORI

È sacrosanto coltivare l’imperativo morale della porta aperta; esso non può tuttavia essere trasferito sul piano politico in modo meccanico, in questa Europa i cui cittadini sono per lo più radicatamente ostili ai flussi migratori – La linea di Marco Minniti su questo terreno è comunque molto diversa da quella praticata oggi dal ministro Salvini

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Messaggio di Sergio Briguglio pervenuto il 21 gennaio 2019 – Seguono la mia risposta, una sua replica e una brevissima controreplica – In argomento su questo sito v. anche gli altri scritti dello stesso Sergio Briguglio citati in apertura della mia risposta; inoltre  Una sentenza sul viaggio dei migranti africani attraverso l’inferno [1], dell’ottobre 2017 – Sul tema del rapporto tra etica e politica v. altresì Appunti sull’etica del successo. Ragione politica, ragione intellettuale o scientifica, ragione etica, nella tensione al bene comune: riflessioni rileggendo Bonhoeffer [2]; infine l’editoriale telegrafico del 10 dicembre scorso La guancia degli altri [3]   .
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Caro Pietro, con riferimento all’appello promosso da Calenda [4], sono anch’io convinto che difendere l’Unione europea sia in questo momento la priorità politica assoluta. Nello stesso modo, sono convinto che difenderla coincida col farla progredire. Rispetto ai contenuti dell’appello, ho delle forti perplessità sul punto in cui si invoca la piena implementazione del Migration compact. Sono le stesse perplessità che ho espresso, su lavoce.info [5], quando il piano fu presentato. Posso riassumerle nel modo seguente:

1) Se l’obiettivo reale del Migration compact è proteggere l’Unione Europea dai movimenti di persone, la strada resta quella percorsa concordemente da Minniti e da Salvini (al di là delle differenze di linguaggio). Meglio cestinare il piano.

2) Se l’obiettivo consiste invece nel rendere inutili, prima ancora che impraticabili, i percorsi di immigrazione illegale, è necessario
.   a) che l’Unione europea attivi a regime meccanismi automatici di reinsediamento, obbligatori per tutti gli Stati membri (in misura proporzionale alle capacità economiche di ciascuno);
.   b) che l’immigrazione economica sia considerata un fenomeno intrinsecamente positivo (vedi appelli inascoltati di Tito Boeri), da gestire con modalità analoghe a quelle utilizzate per l’immigrazione dei cittadini UE: con la possibilità, cioe’, di cercare sul posto occupazione.

Infine, ti segnalo una curiosità. Nell’appello si fa cenno, giustamente, alla necessità di superare il Regolamento di Dublino (che assegna normalmente la responsabilità dell’accoglienza del richiedente asilo allo Stato membro di primo ingresso). La riforma più sensata (molto simile a quella approvata tempo fa dal Parlamento Europeo) consisterebbe nel ripartire i richiedenti asilo tra i vari Stati membri in base al PIL. Ho provato a calcolare, per ciascuno Stato membro, per il periodo 2008-2017, il rapporto tra il numero di richiedenti asilo effettivamente gestiti e quello che sarebbe toccato in base al criterio economico. Un valore maggiore di uno indica che lo Stato membro avrebbe beneficiato, quanto a oneri, di un Regolamento Dublino basato sul PIL. Un valore minore di uno, al contrario, indica che lo Stato membro non ha diritto di lamentarsi per come sono andate le cose col vigente Regolamento. L’Italia, diversamente da quanto si proclama di solito, ricade in questa seconda categoria; l’Ungheria, nella prima. Ecco i valori:
Ungheria:       6.72
Malta: 5.89
Bulgaria: 3.93
Cipro: 3.62
Svezia: 3.10
Grecia: 2.05
Germania: 1.74
Austria: 1.43
Belgio: 1.28
Italia: 0.88
Danimarca: 0.75
Lussemburgo: 0.74
Francia: 0.71
Olanda: 0.69
Finlandia: 0.68
Polonia: 0.53
Regno Unito: 0.39
Slovenia: 0.33
Irlanda: 0.28
Croazia: 0.27
Lettonia: 0.27
Romania: 0.27
Lituania: 0.27
Spagna: 0.20
Estonia: 0.15
Rep. Ceca: 0.13
Slovacchia: 0.08
Portogallo: 0.07

Buona giornata!
Sergio

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LA MIA RISPOSTA

I frequentatori di questo sito conoscono il mio apprezzamento per quanto sostiene Sergio Briguglio in tema di flussi migratori, che ho espresso tra l’altro col riprendere negli anni passati diversi suoi scritti in argomento (Oltre la legge Bossi-Fini: le riforme possibili [6], del gennaio 2014, Per una nuova politica dell’immigrazione [7], del novembre 2012, e Maroni e i cetrioli a lunga conservazione [8], dell’aprile 2009, cui fece seguito il mio dialogo immaginario  Un traghetto per Lampedusa [9], del maggio dello stesso anno). Non concordo, tuttavia, sul giudizio negativo che S.B. dà dell’operato di Marco Minniti, nella veste di ministro degli Interni del Governo Gentiloni: certo lo considero un second best su di un piano morale astratto, ma sono convinto che sia il first best sul piano dell’etica politica nella situazione data. Sono pure convinto che sarebbe stato molto meglio che ci fosse stato lo stesso Minniti in quel ruolo anche nel triennio del Governo Renzi, al posto di Angelino Alfano. Se si fosse incominciato tre anni prima a implementare la strategia avviata all’inizio del 2017, molti meno migranti sarebbero passati per le mani degli aguzzini dei lager libici, molti meno sarebbero annegati nel Mediterraneo, e in casa nostra oggi avremmo dei canali di immigrazione regolare più agevoli, ancorché molto difettosi (su questo S.B. ha ragione), sia per i profughi sia per i migranti economici; ma soprattutto molti meno italiani avrebbero incoronato Matteo Salvini come loro uomo politico ideale e forse non sarebbe lui oggi il ministro dell’Interno.

Marco Minniti

Mi rendo ben conto della differenza che corre tra le linee d’azione proposte da S.B., ispirate al principio della “porta aperta”, dell’accoglienza verso tutti, e la politica impersonata dal ministro Minniti. Se, ciononostante, a suo tempo approvai l’operato di quest’ultimo con il mio voto in Parlamento è perché le scelte che si compiono sul terreno politico, del governo del Paese, possono non corrispondere esattamente alle proprie scelte etiche personali: esse devono infatti tenere conto della possibilità concreta che ne derivino risultati concreti coerenti con i valori perseguiti. Quando si compie una scelta riferita al proprio comportamento individuale quella scelta si traduce immediatamente in determinati (propri) atti con essa coerenti; ma quando si compie una scelta sul terreno politico quella scelta può essere produttiva di fatti con essa coerenti, oppure essere del tutto sterile, o persino risultare produttiva di effetti di segno opposto.

Il teologo Dietrich Bonhoeffer

È il grande teologo martire del nazismo Dietrich Bonhoeffer ad ammonirci contro l’errore [2] di compiere, per “salvarci l’anima”, una scelta molto coerente con i nostri convincimenti, ma di fatto politicamente sterile se non addirittura produttiva di effetti opposti. Per tornare alla questione di cui stiamo discutendo, non può essere buona politica chiudere gli occhi sul fatto che l’opinione pubblica italiana, come quella di tutti gli altri Paesi europei, a torto o ragione, è da tempo in larga maggioranza radicatamente ostile nei confronti dei flussi migratori provenienti dal sud e dal sud-est: è su questo fatto – non su altro – che Matteo Salvini ha costruito e continua a costruire il successo politico del suo partito; e altrettanto stanno facendo in giro per il continente gli Orban, gli Strache, le Le Pen e i loro alleati.  Se non vogliamo trovarci il 27 maggio prossimo con le forze politiche rappresentate da costoro in posizione di forza nel Parlamento Europeo, come lo sono nel nostro Parlamento attuale, non possiamo trasferire meccanicamente sul piano politico l’imperativo della porta aperta, che pure ciascuno di noi sente e vive sul piano personale come vincolante.

Le scelte che non si confrontano con il problema del consenso non appartengono più all’agire politico, bensì alla filosofia, alla scienza, alla predicazione evangelica, o ad altre attività umane, tutte importantissime ma diverse dalla politica. Il politico cui preme più il bene comune che il “salvarsi l’anima” deve saper governare la non facile dialettica tra le proprie convinzioni etiche e il problema dell’efficacia della propria azione di governo o di opposizione; e deve tenere conto anche delle priorità tra gli obiettivi perseguiti per il bene comune. Su questo presupposto, già in un editoriale del settembre 2015 [10] scrivevo che la questione dei grandi flussi migratori è un terreno sul quale tipicamente l’etica politica può essere costretta a scostarsi dall’etica personale. In questo momento in cui l’obiettivo primario è la costruzione della nuova UE su basi liberal-democratiche, la ragion politica impone – anche a chi è convinto dell’imperativo morale che muove Sergio Briguglio e che io pure pienamente condivido – di accettare qualche compromesso su questo terreno nel proprio programma, per non fallire l’obiettivo politico principale. In quell’editoriale elogiavo la capacità di Angela Merkel di andare coraggiosamente contro il sentimento prevalente nell’elettorato del suo stesso partito in tema di apertura del Paese ai flussi migratori: tutto il discorso di natura politica cambia, infatti, se si dispone del grande politico capace di cambiare il modo di pensare di decine di milioni di persone. Sta di fatto, però, che anche un gigante della politica europea come Angela Merkel ha poi finito col dover scendere a patti con la chiusura culturale (vogliamo parlare di “durezza dei cuori”?) della maggior parte dei suoi stessi elettori. Di questo credo che il fronte europeista in via di costituzione [4] per le elezioni di maggio faccia bene a mostrarsi ben consapevole, se non vuole condannarsi a soccombere.

La linea d’azione perseguita dal Governo Gentiloni con il ministro Minniti era imperniata su questi obiettivi cardinali:
.   a) interruzione del flusso migratorio dall’Africa sub-sahariana, che attualmente alimenta il business dei trafficanti torturatori, gestori dei lager libici, e dalle coste libiche (che non significa “respingimento” dei pochi che comunque riescono a superare il “filtro” dei lager e a salpare a rischio della vita);
.   b) controllo internazionale sul rispetto dei diritti umani nei centri di raccolta libici, con l’obiettivo del loro progressivo svuotamento (il Governo Gentiloni ha operato concretamente per favorire la riapertura della sede dell’ONU a Tripoli e riattivare la sua funzione di controllo sul trattamento dei migranti nei campi di raccolta);
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c) cooperazione stretta con i Paesi d’origine dei migranti economici, mirata prioritariamente, a generare possibilità di lavoro decente e creazione di ricchezza nei Paesi stessi, nonché a incanalare i flussi migratori in canali umanitari controllati e assistiti.

Su tutti e tre questi punti, certo, non solo si può e si deve fare molto di più di quanto si è fatto fin qui, ma si può definire molto meglio il progetto. Penso, per esempio, a un grande investimento dell’Italia, e possibilmente dell’intera Unione Europea, sulla promozione di gemellaggi euro-africani a tutti i livelli, tra comuni, università, scuole, ospedali, corpi di polizia, teatri, e così via, che consenta di attivare canali di comunicazione qualificata, conoscenze personali, flussi trasparenti e legittimi in entrambe le direzioni di persone, di denaro, di know-how e di beni materiali e immateriali, capaci di ridurre progressivamente il gap di civiltà e di ricchezza tra i due continenti, al tempo stesso eliminando le cause della miseria e della disperazione.

Questo non significa, certo, mettere per la strada gli immigrati impegnati in un serio percorso di integrazione sul nostro territorio nazionale (come stiamo facendo per apparente pura malvagità a Castelnuovo di Porto), né tanto meno lasciar annegare i disperati che riescono a partire dalle coste libiche sui barconi o costringerli a vagare per il Mediterraneo negando loro un porto sicuro. Ma non significa neppure limitarsi a predicare la politica della libertà di accesso senza limiti: per i Salvini, gli Orbàn, gli  Strache e le Le Pen sarebbe, come lo è stato negli anni passati, un invito a nozze.     (p.i.)

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LA REPLICA DI SERGIO BRIGUGLIO…

Caro Pietro, ho potuto leggere con piu’ attenzione la tua replica al mio messaggio (entrambi pubblicati sul tuo sito). Ti ringrazio ancora per l’attenzione. Provo pero’ a chiarire meglio il mio punto di vista. Lo faccio sgombrando il campo da qualunque motivazione di tipo etico. Cerco invece di utilizzare un argomento di natura “giuridica” (le virgolette le uso per via della natura puramente dilettantistica della mia competenza in materia).

Possiamo distinguere i flussi migratori tra flussi mossi dal tentativo di far valere un interesse legittimo (la migrazione economica) e quelli mossi dal tentativo di far valere un diritto soggettivo (il diritto d’asilo). L’apertura nei confronti dei primi e’ una scelta di natura politica. E’ basata cioe’ su criteri di opportunita’ e di convenienza dell’intera societa’. Deve quindi necessariamente tener conto dell’opinione dell’elettorato e, piu’ in generale, del popolo che si e’ chiamati a governare. Il politico che ritenga utile praticare una maggiore apertura ha il dovere di convincere l’elettorato della bonta’ della sua scelta. Personalmente, sono convinto che vi siano molti argomenti a sostegno della convenienza di una maggiore apertura nei confronti dell’immigrazione economica (invecchiamento della popolazione, necessita’ di una riduzione delle rendite di posizione degli insiders della nostra societa’, preferibilita’ di un ingresso nel territorio nazionale di lavoratori rispetto a un’uscita delle imprese, etc.). E’ vero pero’ che, se fossi io il decisore, dovrei, prima di attuare una maggiore apertura, raccogliere consenso intorno a questi argomenti. L’apertura nei confronti del secondo tipo di flusso non puo’ soffrire limitazioni motivate dalla convenienza (neppure dalla convenienza dell’intera societa’). Uno Stato, quando decide di riconoscere nel proprio ordinamento un diritto soggettivo sa che si sta esponendo a un costo, e a un costo non necessariamente prevedibile, dal momento che puo’ essere difficilissimo prevedere quanti saranno i titolari di quel diritto. L’Italia ha sancito, all’articolo 10 della Costituzione, un diritto d’asilo che puo’ riguardare una platea sterminata di beneficiari (in linea di principio, tutti coloro ai quali, nel proprio paese, sia impedito l’effettivo esercizio anche di una sola delle liberta’ democratiche garantite dalla stessa Costituzione). Allineandosi alla normativa UE, poi, ha esplicitamente disciplinato l’esercizio del diritto d’asilo per chi corra rischio di persecuzione, per chi fugga da un conflitto, etc.

Di fronte alla evidente sproporzione tra il numero (pur contenuto) di coloro che hanno chiesto asilo in questi anni e la ridottissima disponibilita’ dell’opinione pubblica a sostenere i costi corrispondenti, si potrebbe percorrere la via di una riforma costituzionale. Ma, attenzione: si tratterebbe di toccare uno dei principi fondamentali della Costituzione (articolo 10). Si tratterebbe anche di convincere la UE a ridimensionare fortemente il diritto d’asilo comunitario (per esempio, con la soppressione della protezione sussidiaria: quella di cui oggi gode chi fugga da un conflitto).

Si può anche, cinicamente (ho promesso di sgombrare il campo da questioni etiche), ridurre al minimo le operazioni di salvataggio in mare, lasciando che siano gli ostacoli naturali a ridurre (seppur lievemente) l’afflusso di profughi. quello che non si può fare assolutamente è continuare a proclamare la sacralità del diritto d’asilo, chiedendo poi ad altri governi di cooperare con la natura nel rendere piu’ difficile da raggiungere il nostro paese.

Nello stesso modo, se sancisco il diritto di ogni persona alle cure urgenti, posso anche alzare le spalle di fronte al fatto che chi ha avuto un infarto in una contrada troppo lontana possa non arrivare in tempo al pronto soccorso. Ma non posso disseminare di chiodi le vie di accesso al pronto soccorso, sperando che l’ambulanza si fermi per strada. È questo il torto che imputo a Minniti, preferendolo comunque a Salvini per ragioni antropologiche.

Concludo rilanciando sul punto dell’immigrazione economica (e spostandomi quindi sul piano degli argomenti opinabili): credo che una riflessione piu’ approfondita sui benefici di questo tipo di immigrazione potrebbe convincere l’elettorato che l’Italia (piu’ in generale, la UE) possa solo giovarsi di un flusso ampio di lavoratori giovani e, poi, delle loro famiglie. Al punto da far apparire ininfluente il flusso di profughi genuini (i non genuini opterebbero per un canale di ingresso legale per lavoro) e inutili le modifiche della Costituzione e della normativa UE.

Cordialissimi saluti

Sergio

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… E LA MIA

La distinzione tra il diritto soggettivo all’asilo e l’interesse legittimo alla migrazione per motivi economici è molto interessante e scolpisce bene un dato giuridico reale. Tuttavia non si può dimenticare che l’articolo 10 della Costituzione, comma 3, subordina il diritto all’asilo alle “condizioni stabilite dalla legge”: il che lascia un largo margine di discrezionalità politica al legislatore nel definire le modalità di esercizio del diritto stesso. E così torna in primo piano il problema squisitamente politico del consenso maggioritario, cui sono dedicate i miei appunti proposti sopra. Ringrazio comunque vivamente Sergio Briguglio anche per questa interessante e utile prosecuzione della riflessione comune.    (p.i.)

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