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REDDITO DI CITTADINANZA – 1. I DANNI DELL’IMPROVVISAZIONE

Il decreto-legge varato dal Governo in questi giorni non soltanto contiene errori di impostazione che mineranno il funzionamento del sussidio, ma fa anche danni al sistema esistente dei servizi al mercato del lavoro

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Primo editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 493, 4 febbraio 2019 – In argomento v. anche Perché il “reddito di cittadinanza” sarà la tomba delle politiche attive del lavoro [1].
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Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon

Tutti concordano sul punto che tre beneficiari su quattro delle misure contro la povertà non sono realisticamente candidabili per un inserimento ordinario nel tessuto produttivo: vuoi per ragioni di età o di disabilità fisica, vuoi per handicap psichici o di natura sociale non neutralizzabili, neppure con un’assistenza di livello eccellente. Ciononostante, il Governo, nel decreto varato in questi giorni, ha deciso di impostare l’intero schema del cosiddetto “reddito di cittadinanza” (RDC) come misura di politica del lavoro, per sottrarne la gestione ai comuni. Come se non bastasse ha condizionato l’erogazione del sussidio alla disponibilità del beneficiario ad aderire “almeno alla terza offerta di lavoro congrua” che gli pervenga entro il primo anno. Nessuno, evidentemente, ha informato il Governo che da ormai mezzo secolo le aziende non comunicano più agli uffici di collocamento posti di lavoro che possano essere offerti a Tizio o a Caio indifferentemente: nessuna azienda offre un’assunzione “al buio”, prima di aver vagliato attentamente le attitudini e motivazioni del candidato. Tanto meno lo farebbe con la prospettiva di vedersi avviare una persona non qualificata, che per di più si presenterebbe solo perché costretta. Il meccanismo di “condizionalità”, previsto per limitare la natura assistenzialistica del sussidio, non può dunque funzionare. Quel che è peggio, però, è che nello stesso decreto è contenuta questa disposizione strabiliante: si esclude chi ha perso il posto, e sta godendo del trattamento di disoccupazione (NASpI), dal servizio di assistenza qualificata istituito nel 2015 e finanziato con l’assegno di ricollocazione [2]; e lo si riserva ai soli beneficiari del RDC, per i quali per lo più esso non può funzionare! La settimana scorsa, in un incontro pubblico, ho chiesto al sottosegretario al Lavoro Durigon perché i fruitori della NASpI siano stati esclusi dall’assegno di ricollocazione; la risposta è stata: “Perché fin qui ha funzionato male”. Ho insistito: “Mi scusi, sottosegretario, ma se così è, che senso ha riservarlo ai percettori del RDC, cioè a una platea ancora più problematica?” Non ha ritenuto di rispondermi.

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