PERCHÉ IL REDDITO DI CITTADINANZA SARÀ LA TOMBA DELLE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

Lo schema varato dal Governo per la lotta alla povertà si presenta come misura essenzialmente collocata sul terreno delle politiche del lavoro; ma è viziato da alcuni gravissimi errori di struttura evidenti proprio sulla scorta delle esperienze più recenti e avanzate su questo terreno – E distrugge quel che di buono si era incominciato a fare 

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Mercato del Lavoro News, bollettino della Fondazione Anna Kuliscioff, n. 42, gennaio 2019, a cura di Claudio Negro – In argomento v. anche la mia intervista Povertà e Quota 100: i due topolini zoppi  .
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Il Prof. Tridico, consigliere economico del Ministro Di Maio, intervistato dal Corriere di lunedi 28 ha esposto la sua lettuta del Decreto sul Reddito di Cittadimanza (RdC), che dovremmo considerare autentica dato che egli ne è l’estensore materiale. A maggior ragione ci pare opportuno mettere a fuoco le criticità che a nostro avviso ne impediranno il funzionamento e/o produrranno effetti diversi da quelli attesi.

La prima questione riguarda il meccanismo del “Patto per il Lavoro”.

L’obiezione (ormai nota) è che i Centri per l’Impiego, salvo rarissime eccezioni, non hanno né gli strumenti né le professionalità per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (matching); la risposta è che verranno assunti 10.000 nuovi operatori. Al di là dei facili sarcasmi suggeriti da questa risposta, resta il fatto che i soli soggetti esistenti attrezzati per svolgere questa attività sono le Agenzie per il Lavoro, le quali infatti vengono recuperate nell’ultimo testo del Decreto come soggetti con i quali può sottoscriversi il Patto per il Lavoro. Tuttavia non è previsto alcun finanziamento né alcuna premialità in caso di esito positivo. La cosa viene surrettiziamente risolta attribuendo l’Assegno di Ricollocazione ai percettori di Reddito di Cittadinanza (il che apre un altro problema, che tratteremo più avanti) i quali potranno spenderlo presso le Agenzie; ma l’AdR è pensato per premiare gli inserimenti lavorativi da 6 mesi in su: nel nostro caso pare invece che valga unicamente il parametro del full time a tempo indeterminato, con zero servizi pagati a processo (accoglienza, profilazione, orientamento, ecc.). Difficile che le ApL (Agenzie per Lavoro) possano essere interessate a queste condizioni (infatti qualcuna di esse al Ministero che in un recente incontro ne magnificava il ruolo nella gestione del RdC ha posto il problema di avere una qualche garanzia di riconoscimento economico).

Strettamente connessa con questa norma confusa è quella che regola il “Patto per la Formazione”: l’Ente Formativo accreditato può sottoscrivere un Patto col quale garantisce formazione e/o riqualificazione. Se il firmatario viene assunto l’Ente fa a metà della premialità con l’azienda che assume. È chiara da questa impostazione la visione degli autori del provvedimento, che, come in epoca arcaica, non riescono a immaginare altra politica del lavoro che non sia la Formazione. Aggiunge il Tridica che tutto ciò stimolerà “imprese ed Enti di formazione a stipulare il Patto e ad assumere al più presto il beneficiario, per ottenere un beneficio più cospicuo”. Peccato che il Decreto non preveda affatto che l’impresa possa sottoscrivere il Patto di Formazione… In realtà si tratta di un approccio frettoloso e superficiale alla pratica concreta delle politiche attive del lavoro, destinato a creare confusione e paradossi: se il candidato X firmatario del Patto per il Lavoro con l’Agenzia Y e di un Patto di Formazione con l’Ente K viene assunto, a chi tocca la premialità? L’Ente K prenderà metà del premio spettante all’azienda che assume, e l’Agenzia Y? Ma se il candidato ha avuto anche l’AdR questo può venire riconosciuto all’Agenzia Y? Oppure soltanto se il candidato viene assunto senza passare attraverso Patto di Formazione? O possiamo pensare che un’ApL ben strutturata (sono molte) possa sottoscrivere il Patto per il Lavoro, poi indirizzare il candidato all’Ente Formativo appartenente all’ApL stessa, e incassare la premialità sia dell’AdR che del RdC?

Sarebbe molto il caso che il Prof. Tridico o il Ministero facessero qualche chiarezza in questo pasticcio, senza di che sarà molto difficile che le Agenzie private, cioè le uniche capaci di farlo, mettano mano alla gestione del RdC.

Il Prof. Tridico rivendica come un successo l’aver trasferito l’Assegno di Ricollocazione dai percettori di NASPI (l’indennità di disoccupazione) ai percettori di RdC. L’AdR era stato pensato nel Jobs Act come strumento per facilitare la transizione da un lavoro all’altro, per sdrammatizzare i licenziamenti e agevolare la mobilità nel Mercato del Lavoro. Nel Decreto, di tutto ciò non si serba traccia: ai percettori di NASPI o di CIGS (cassa integrazione straordinaria) per esuberi non toccherà nulla. A meno che i percettori di NASPI rientrino (e non saranno moltissimi) nei requisiti per il RdC. La stessa inconsapevolezza e indifferenza per il significato delle Politiche Attive per il Lavoro dimostrata sui Patti Lavoro e Formazione viene qui ribadita: nessun percorso di ricollocamento per chi perde il lavoro, ma soltanto lo sprofondamento nel calderone del Reddito di Cittadinanza (e se non sei abbastanza povero, niente…!). Si vede che al Ministero pensano di aver già dato risposta a questi problemi reintroducendo la Cassa Integrazione per cessazione di attività…

Sostiene il Prof. Tridico che moltissimi giovani NEET si riattiveranno sul Mercato del Lavoro: i NEET presi in carico da Garanzia Giovani sono oltre 1.500.000. Perché mai il RdC dovrebbe attivarne di più? Ma soprattutto il professore sostiene che “ il loro afflusso presso i CPI permetterebbe di rivedere al rialzo il tasso di partecipazione alla forza lavoro, che nella metodologia europea contribuisce alla crescita del PIL potenziale”. Ma si tratta di un’affermazione molto discutibile sul piano metodologico: è comunemente accettato che la crescita di 2 punti di PIL determini grosso modo il calo di 1 punto del tasso di disoccupazione (c.d. Legge di Okun), ma non è affatto valido l’inverso, ovviamente. Inoltre la crescita della partecipazione alla forza lavoro, meglio nota come tasso di attività, non comporta affatto un aumento del tasso di occupazione: anzi, se più gente cerca lavoro e non lo trova, il tasso di disoccupazione aumenta. E comunque: un giovane percettore di RdC può anche fruire di Garanzia Giovani? Anche con un operatore diverso da quello con cui ha firmato il Patto per il Lavoro o per la Formazione? Ricadiamo nella stessa confusione vista prima in relazione all’AdR.

Infine: sostiene il Prof. Tridico che “il reddito minimo pone un freno…al declino della quota salario sul PIL …” In realtà la quota del salario sul PIL è in calo in purtroppo tutto il mondo, come dimostra il grafico qui sotto.

 

Da notare che la diminuzione dei salari rispetto al PIL è generalizzato, e colpisce anche i Paesi nei quali i sussidi per la povertà e le politiche attive sono consolidate e ben più avanti rispetto all’Italia: non si capisce per quale fenomeno da noi il RdC dovrebbe contrastare la “perdita di potere contrattuale da parte dei lavoratori” e “rappresentare la spinta iniziale di una pressione verso l’alto dei salari”.

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