Perché da noi deve essere solo un sogno l’idea di uno One Stop Shop, dove, come nei Paesi più civili, chiunque possa trovare tutte le informazioni sui percorsi e i servizi necessari per accedere ai moltissimi lavori disponibili?
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Primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 509, 4 novembre 2019 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 17 ottobre scorso, Aziende che chiudono: come si uccide il buon senso [1]; inoltre la relazione che ho svolto a un convegno il 16 settembre scorso, La formazione efficace e lo scandalo dello skill shortage [2].
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Nella mia città, Milano, per ogni 100 disoccupati ci sono 82,4 posti di lavoro da tempo scoperti [2] per mancanza di persone in grado di ricoprirli. In tutta Italia le cosiddette situazioni di skill shortage sono 1,2 milioni: basterebbero per risolvere tutti e 160 i “tavoli di crisi” aperti al ministero dello Sviluppo e ancora ne avanzerebbe più del 90 per cento. Sono distribuiti in tutti i settori e a tutti i livelli professionali. Per fare soltanto qualche esempio tra i molti, cercano operai e non ne trovano i carrozzieri, i pasticceri, i supermercati per i reparti macelleria, le botteghe artigiane di tutti i settori. Più in su, c’è gran penuria diplomati di ITS (Istituti Tecnici Superiori), di informatici, di medici, di infermieri, di ingegneri, e l’elenco continua ancora a lungo. Che cosa impedisce a disoccupati e giovani alle prime armi di andare a occupare quei posti? Il fatto è che manca un luogo dove ciascuno di loro possa trovare chi lo informa su quegli enormi giacimenti occupazionali inutilizzati e sui percorsi formativi che possono darvi accesso. [3] Sogno quel luogo: un grande salone a un passo dal Duomo, dentro City Life, a piazza Gae Aulenti, in cui ogni persona può trovare un vero esperto – oltralpe non lo chiamano navigator ma job advisor, e ha studiato due anni dopo la laurea per diventarlo – che traccia il suo profilo, individua le sue aspirazioni e le sue capacità, le indica i percorsi più sicuri per accedere al più accessibile tra quei 1,2 milioni di posti disponibili, fornendole l’antidoto migliore contro le truffe: per ciascun corso la percentuale di sbocchi occupazionali effettivi coerenti con la formazione impartita [4] negli ultimi anni. E lì si trova anche il job advisor specializzato per le situazioni più difficili, che sa indirizzare il disabile, il pregiudicato appena uscito dal carcere, l’immigrato che sa solo due parole di italiano, a strutture specificamente dedicate a ciascun handicap da neutralizzare. Un centro di orientamento come questo in ogni città costerebbe troppo? No, costa molto di più mantenere il nostro esercito di disoccupati e di cassintegrati a zero ore a tempo indeterminato. Oltralpe lo chiamano One Stop Shop. Perché da noi deve essere soltanto un sogno?
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