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QUANDO IL “CHILOMETRO ZERO” È VINCENTE

Mai come in questo momento le imprese agricole operanti in un mercato di prossimità si rivelano indispensabili; però non si possono produrre in questo stesso modo né i computer con cui comunichiamo, né i frigoriferi e le lavatrici che ci facilitano la vita, né i farmaci che la salvano

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Lettera di Andrea Guadagni, pervenuta il 15 aprile 2020, in riferimento al mio editoriale telegrafico
Per non tornare all’economia curtense [1] – Segue la mia risposta – In argomento v. anche la lettera precedente, del 22 marzo 2016, Ancora sull’economia a chilometro zero [2] .
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[3]Caro Pietro, poiché sei attento agli aspetti negativi e positivi dell’economia “a km zero”, ti vorrei far conoscere l’esperienza positiva di Cecilia a Bologna, anche in questo difficile periodo. Trovi la mail di oggi al link:

http://www.arvaia.it/2020/04/15/arvaia-un-modello-resiliente-e-solidale-riflessioni-di-socie-lavoratrici-e-soci-lavoratori/ [4]

Dove ci sono le parole che riporto qui sotto.  Un abbraccio,

Andrea

DA WWW.ARVAIA.IT

In questo periodo di Coronavirus emerge in modo lampante quanto sia piccolo il controllo che abbiamo sugli elementi fondamentali della nostra vita: l’emergenza è stata prima di tutto sanitaria, ma è molto presto diventata economica, sociale e rischia di diventare anche alimentare.

[5]Come contadine e contadini di Arvaia troviamo che, oggi più che mai, i benefici sociali ed economici del modello della Comunità che Supporta l’Agricoltura vadano fortemente evidenziati e rilanciati.

Avendo cura di terreni in prossimità della città e non dovendo spostare prodotti per lunghe distanze, siamo infatti riusciti/e ad adattarci molto velocemente all’emergenza, rimodulando la distribuzione in modo da garantire alla maggior parte di soci e socie la fornitura di cibo fresco, sano e biologico. Essere indipendenti dalle regole del mercato e basare la nostra produzione su un sistema di prefinanziamento da parte dei membri della comunità, ci permette di continuare a garantire uno stipendio a chi lavora e di poter continuare così a prendersi cura della terra; al contempo mettiamo i soci fruitori al riparo da qualsiasi rischio di oscillazione e rialzo del prezzo dei prodotti, scardinando i processi di speculazione dei prezzi sul cibo, difendendo anche in questo modo il nostro diritto alla sovranità alimentare e di accesso alle risorse alimentari.

 

LA MIA RISPOSTA

Ringrazio A.G. di questo comunicato relativo all’impresa agricola dove lavora sua figlia Cecilia. Certo, in una circostanza come quella che stiamo attraversando le imprese del tipo di Arvaia rivelano tutta la loro importanza e addirittura indispensabilità. Ciò che però, a mio avviso, non va mai dimenticato è che questo modello di tessuto produttivo funziona bene soltanto in campo agricolo: non si possono produrre in questo stesso modo né i computer con cui stiamo comunicando, né i frigoriferi e le lavatrici che cambiano in meglio le nostre vite, né i farmaci che le salvano (e neppure le macchine indispensabili per lo stesso lavoro agricolo).
[6]Dunque, ben venga l’agricoltura a chilometro zero, ma non sarebbe neppure ipotizzabile una “industria a chilometro zero”. E la stessa agricoltura non potrebbe vivere senza le sue utili interazioni con l’industria.
Detto questo, non ho alcuna pretesa di possedere la verità né su questo tema né su altri.  Dunque mi interessano moltissimo tutte le opinioni diverse: tanto più quanto sono lontane dalle mie!   (p.i.)