PER NON TORNARE ALL’ECONOMIA CURTENSE

Affiora diffusamente l’auspicio che dalla pandemia il mondo esca con un ritorno a una economia “a chilometro zero” o poco più: non c’è consapevolezza del disastro che conseguirebbe a un simile balzo indietro di cent’anni


Secondo editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 518, 23 marzo 2020 – In argomento v. anche il primo, Per non tornare al paleolitico; quello del maggio 2015, Quelli che vogliono tornare al Medioevo; e quello del luglio 17, Ancora sull’ideologia regressiva del “chilometro zero”  

In questi giorni, che speriamo essere i più bui della pandemia da Covid-19, affiora da diverse parti l’auspicio che tra breve il mondo ne riemerga avvertito e vaccinato contro i danni prodotti dal modello incauto di sviluppo perseguito fin qui. Che il mondo si impegni, quindi, a perseguire un modello economico più rispettoso dell’ambiente (fin qui condivido pienamente l’auspicio) e più “a misura d’uomo”, dove la “misura d’uomo” viene intesa come una drastica riduzione del raggio degli spostamenti usuali delle persone e delle cose. Insomma, se non proprio un’economia a “chilometro zero”, a “chilometro cinquecento”: non di più. E qui non riesco a condividere l’auspicio. Anzi, proprio un rattrappimento permanente degli scambi internazionali è ciò che del nostro futuro prossimo mi preoccupa di più. Quando l’emergenza sanitaria di oggi sarà stata superata, il coronavirus non sarà stato certo eradicato dal mondo: anche perché non si possono sopprimere tutti i pipistrelli, suoi probabili primi portatori. La preoccupazione di un possibile ritorno di questa epidemia, o di un’altra analoga, rischia sì di produrre il ritorno a un’economia autarchica, per non pensare addirittura al modello dell’economia curtense medievale. Ma sarebbe un balzo all’indietro catastrofico. Le auto, gli aerei, le navi, i treni, gli elettrodomestici, le macchine utensili, i computer, i telefonini, tutto dovrebbe tornare a essere prodotto solo con componenti reperibili “in zona”. Anche a non voler considerare il tempo necessario per una simile ristrutturazione, l’esito di tutto questo sarebbe un drammatico impoverimento del mondo intero. Ci costa molto meno un investimento colossale – attuabile solo su dimensioni continentali, se non planetarie – per il potenziamento delle strutture sanitarie e della ricerca sui germi patogeni, oltre che sulla difesa dell’ambiente, che dopo questa brusca interruzione consenta di puntare a una globalizzazione anche più spinta di prima, ma meno fragile e più sicura.

 

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