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IL BENE CHE LA MALATTIA DI COSTANZA MI HA REGALATO

«[…] Di giorno non si riesce a parlare della morte, mentre nel buio della notte riuscivamo a parlare serenamente del tempo che ci era lasciato da vivere insieme e di quello che sarebbe seguito, nel quale lei non sarebbe stata più qui, ma che lei provava a immaginare con me, così in qualche modo lasciando in esso un segno della sua presenza […]»

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Intervista a cura di Claudio Bozza, pubblicata sul
Corriere della Sera dell’11 maggio 2020, a seguito della pubblicazione delle mie riflessioni su Il tesoro nascosto dove mai lo immagineremmo [1] – Segue, in argomento, un breve video di Ferruccio De Bortoli .
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Corriere della Sera, 11 maggio 2020

«Mi ero impegnato a essere per Costanza le gambe che aveva perduto, gli occhi al posto dei suoi che non funzionavano più, e nell’ultimo periodo anche le braccia e le mani per lavarsi, pettinarsi, vestirsi, portare il cibo alla bocca. Questo, ben presto, ha creato tra me e lei, dopo 45 anni di matrimonio, pur molto ricchi e intensi, un’intimità che non avevamo mai vissuto». Il giuslavorista Pietro Ichino ha sempre offerto di sé un profilo accademico; ma nell’ultima notte al fianco dell’amata moglie Costanza, dopo una lunga malattia che l’ha progressivamente paralizzata, ha scritto e poi messo sul suo blog [1] il racconto di questi anni di sofferenza con parole commoventi.

Professor Ichino, che malattia aveva sua moglie?
«Era affetta da otto anni da paralisi sopranucleare progressiva (Psp), che ha lentamente azzerato tutte le sue facoltà vitali. Una malattia inarrestabile, che distrugge il fisico, ma lascia intatta la capacità di intendere. “Sento la vita che mi scivola via tra le dita”, è l’ultima cosa che mi ha detto, due giorni prima di perdere conoscenza».

Perché ha sentito il bisogno di raccontare la sua intimità familiare?
«Nella notte di sabato stavo vegliando Costanza, sapendo che ormai la morte poteva venire, ma non sapendo quando. Ripensavo questi due anni nei quali l’ho assistita ogni giorno, e in cui ho scoperto quanto fosse vero il detto di mia nonna Paola: “Non puoi sapere se quel che ti accade è per il tuo male o per il tuo bene. Anche perché, a ben vedere, questo dipenderà essenzialmente da te”. Davanti a una malattia come questa potrebbe apparire quasi un insulto alla sofferenza sostenere che può esserci dentro del bene. Invece a me è accaduto di trovare anche qui quel bene nascosto».

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Ottobre 2009

Come vi eravate conosciuti?
«Nel libro La casa nella Pineta [4] racconto come è nato il nostro amore in montagna, poi dei fermenti che vivemmo insieme negli anni ’70 e ’80. Costanza, che era ricercatrice di ruolo di storia moderna all’Università di Bergamo, a metà anni ‘80 lasciò quel posto fisso e ben retribuito per venire a lavorare con me come co.co.co., retribuita peggio, per la Rivista italiana di diritto del lavoro di cui all’epoca ero capo-redattore. E continuò a farlo per 23 anni».

In che cosa è consistito il “bene nascosto” che lei ha trovato in questi ultimi anni di malattia gravissima?
«Ogni volta che Costanza mi chiedeva di spostarsi dal letto o dalla poltrona alla carrozzella e viceversa era un abbraccio stretto, e qualche volta ci fermavamo a metà strada abbracciati così, indugiando a dondolarci come in un ballo cheek to cheek. Abbiamo scoperto la delizia nuova del leggere ad alta voce per lunghe ore serali libri stupendi, che letti insieme diventano ancora più belli. Ma l’intimità maggiore era quella delle sveglie notturne per una delle tante necessità, anche solo per aiutarla a cambiare posizione nel letto: accadeva che non ci riaddormentassimo subito, ma restassimo a lungo abbracciati parlando sottovoce di tutto quello che ci stava più a cuore».

Nel racconto lei parla di cose di cui si parla solo di notte .
«Perché di giorno non si riesce a parlare della morte, mentre nel buio della notte Costanza e io riuscivamo a parlare serenamente del tempo che ci era lasciato da vivere insieme e di quello che sarebbe seguito, nel quale lei non sarebbe stata più qui, ma che lei provava a immaginare con me, così in qualche modo lasciando in esso un segno della sua presenza».

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[5]Scarica il video con il breve commento di Ferruccio De Bortoli [5]

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