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INTERROGATIVI SUL COMMISSARIAMENTO DI UBER ITALY

Il provvedimento dei giudici milanesi si giustifica forse di più in relazione al reato di riciclaggio che agli illeciti lavoristici, pur evidenti, ma sulla cui riconducibilità all’articolo 603-bis c. p. occorrerà maggiore luce

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Editoriale telegrafico pubblicato sul
Corriere della Sera del 1° giugno 2020, in riferimento al decreto del Tribunale penale di Milano 27 maggio 2020 – In argomento v. anche i miei articoli pubblicati sul sito lavoce.info il 25 gennaio 2020, Gli effetti della sentenza della Cassazione sul lavoro dei rider [1], e il 1° giugno 2018, Un diritto per il lavoro nella terra di mezzo [2]Sul nuovo articolo 603-bis del codice penale, introdotto nel 2016, v. le critiche da me mosse alla sua formulazione [3] durante i lavori parlamentari preparatori.
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[4]Dalla motivazione del decreto con cui i giudici milanesi hanno disposto l’amministrazione giudiziaria di Uber Italy si trae: a) uno stile di gestione dei rapporti con i rider esoso e vessatorio, con venature di razzismo; b) la possibilità che le collaborazioni di quei rider debbano essere qualificate come lavoro subordinato; c) che quindi sia illecita l’interposizione di un’altra società (Flash Road City) tra Uber Italy e i rider; d) che almeno una parte delle ritenute fiscali sui compensi non sia stata versata al Fisco; e) che le mance, destinate a essere distribuite ai rider in aggiunta alla retribuzione, siano state in parte trattenute; f) infine un indizio molto grave di riciclaggio.

L’impressione, a caldo, è che la misura di prevenzione si giustifichi – su di un piano strettamente tecnico-giuridico – più per quest’ultima imputazione che per quelle di natura lavoristica. I rider di Uber sono stati retribuiti, al netto delle mance, con 3,75 euro lordi a consegna, pari a 3 netti, che per una settimana in cui sono state effettuate 75 consegne – leggiamo nel decreto – significano 281 euro lordi e 225 netti: all’incirca 1200 euro lordi e 1000 netti al mese. Una retribuzione che non può dirsi di per sé inferiore agli standard sindacali complessivi di altri settori analoghi; standard peraltro non ancora negoziati per questo settore.

L’amministrazione giudiziaria è una misura di prevenzione prevista originariamente per la lotta alla mafia, poi estesa, tra gli altri, ai reati di corruzione e riciclaggio di denaro, infine nel 2016 alla lotta contro lavoro nero e caporalato (articolo 603-bis del codice penale). Nel caso di Uber Italy del riciclaggio sembra esserci più che un indizio; ma andrei cauto nel ravvisare il reato previsto dal 603-bis. Perché di imprese che inquadrano come autonomi i propri dipendenti e li trattano in modo vessatorio, non versano al Fisco le ritenute e ricorrono all’interposizione vietata, purtroppo ce ne sono molte; ma il caporalato a cui fa riferimento il legislatore del 2016 è una cosa diversa e ancora più grave.

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