- Pietro Ichino - https://www.pietroichino.it -

QUEL CHE GLI UFFICI PUBBLICI NON HANNO ANCORA IMPARATO

Nella “fase 3” stiamo vedendo un mondo a due velocità: da una parte quelli che si sono impegnati a spingere per la ripresa, si sono ingegnati per conciliare le necessarie misure di sicurezza con la ripresa del lavoro, dall’altro quelli – per lo più nel settore pubblico – cui la pandemia ha offerto una buona occasione per rallentare o fermarsi del tutto

.
Articolo di Giorgio Damiani, avvocato del Foro di Udine, pubblicato il 14 giugno 2020 sul Messaggero Veneto – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 6 aprile 2020,
La pandemia e la parità di trattamento fra i lavoratori [1]; inoltre la mia intervista a [2] Libero del 15 giugno 2020  .
.

[3]

L’avvocato Giorgio Damiani

Qualche giorno fa su queste pagine il Difensore civico della nostra Regione, Arrigo De Pauli, ha esposto i rischi e le problematiche connesse all’attività degli uffici pubblici ai tempi del Covid-19 che, senza voler apparire eccessivamente banale – e di questo già mi scuso con l’autore – così sintetizzo: il lavoro agile non può essere né l’affascinante soluzione né la semplicistica causa di tutti i problemi della pubblica amministrazione. Lo “smart working” è un’opportunità non un problema. Tuttavia a chi in questi giorni da utente non è capitato di sentirsi dire: “purtroppo non posso risponderle perché in ufficio siamo in pochi in quanto i colleghi lavorano da casa”. Si è cioè data la colpa al “lavoro agile” per i disservizi che l’utenza molto spesso si è trovata ad affrontare.

Era ampiamente prevedibile e giustificabile che, quantomeno nell’immediato, le difficoltà organizzative fossero un inevitabile prezzo da pagare a fronte di una improvvisa quanto inaspettata chiusura di ogni attività, con tutti soggetti in campo, pubblici e privati, che si sono adoperati al meglio per far fronte all’inattesa situazione emergenziale. Tuttavia sono passate diverse settimane e siamo arrivati prima alla Fase 2 e poi oramai alla Fase 3. E qui a mio avviso abbiamo assistito alla rappresentazione di un mondo a due velocità: da un lato un gruppo di soggetti impegnati a spingere per la ripresa che si è “ingegnato” per seguire protocolli e adottare misure di sicurezza per garantire il lavoro in sicurezza, e dall’altro un mondo che ha atteso che “passasse la buriana”.

Di fronte alle attività produttive che, con fatica, tentano di rilanciarsi, a bar e ristoranti che riaprono al pubblico, con oneri a proprio carico per rispettare condizioni minime di sicurezza, a teatri e cinema che ricominciano a “funzionare” credo sia indiscutibile che altrettanta solerzia e vivacità non sia stata impiegata per “rimettere in moto” la “macchina pubblica”. Si parla sempre più di sburocratizzazione e/o di semplificazione. Ma a mio avviso abbiamo invece bisogno di una pubblica amministrazione che si adatti alle situazioni con la stessa velocità con cui si è preteso che il mondo produttivo si adattasse alle nuove norme anti-Covid, che i genitori si trasformassero in improvvisati ciber-precettori o che i cittadini si abituassero al distanziamento sociale.

Non credo sia accettabile che, in questa fase ormai prossima alla totale riapertura di ogni attività, si possano vedere lunghe code per accedere ad uffici pubblici, calendari di visite mediche e/o interventi non ancora pienamente riorganizzati, orari di enti (inteso in senso ampio) pubblici – anziché ampliati per la riduzione degli accessi – ridotti per assenza del personale “in presenza”, utenza lasciata in balia di risponditori automatici e di strumenti telematici, con tutte le limitazioni del caso (sia in termini di operatività che di accessibilità da parte dell’utenza), come ben evidenziava il nostro Difensore civico regionale su queste pagine.

In certi ambiti, anche pubblici, lo sforzo organizzativo si è visto. Ma non basta. Serve un cambio di passo. L’esempio viene sempre dall’alto. A me hanno insegnato che più che le parole servono gli esempi: un figlio guarda all’esempio dei genitori, un apprendista impara dalla sapienza del maestro, i sottoposti dalla dedizione dei capi. Se la pubblica amministrazione offre l’immagine di efficienza e rapidità di adattamento, essa stessa sarà uno stimolo per tutti noi per non trincerarci dietro ai limiti della “burocrazia”. Se per contro l’accesso agli uffici pubblici diventa una corsa ad ostacoli – ieri per una situazione di oggettiva emergenza, oggi per la mancata adozione di soluzioni organizzative nel concreto adeguate, domani per carenza di personale o per incapacità di incidere significativamente da parte di chi deve decidere – anche i cittadini si copriranno dietro alle “colpe degli altri” senza assumersi le proprie responsabilità. Ricordava qualche giorno fa su queste pagine Claudio Siciliotti, citando le vignette di Altan, che se è vero che questo Paese ha bisogno di riforme, è ancor più vero che le riforme avrebbero bisogno di un Paese. Intendendosi in questa espressione tutto il “Sistema Paese”.

Questa pandemia, al netto della drammaticità e delle morti che ha procurato, deve essere un’occasione di rilancio. Non è accettabile che, pur con le dovute cautele e attenzioni, si possa agevolmente andare al ristorante, ma non si possa ancora andare con altrettanta facilità in uffici pubblici o in ospedale. Mi piacerebbe che da domani si evitasse di nascondersi dietro a un decreto ministeriale, alla carenza di personale, o, torno da dove sono partito, proprio al lavoro agile: si fissino appuntamenti per gli accessi, si allunghino gli orari, si privilegino soluzioni organizzative compatibile con i servizi al cittadino. Tutta la decretazione dell’emergenza ha invocato il ricorso al lavoro agile purché compatibili con le esigenze produttive: nessuno avrebbe preteso di far lavorare in smart working gli addetti alle linee di produzione. Stessa cosa sarebbe dovuta avvenire per gli uffici che erogano (inteso in senso ampio e generale) servizi al cittadino: è possibile ricorrere al lavoro agile in quanto lo stesso non pregiudichi l’utenza. Diversamente vanno doverosamente trovate altre soluzioni per consentire a chi lavora di operare in sicurezza e al cittadino di ottenere risposte accedendo agli uffici, in modo dignitoso e nella garanzia di tutela della salute. Ma per piacere basta con le decine di metri di coda fuori dagli uffici pubblici.

Possiamo tutti fare di più, ma deve fare ancora di più chi, per scelta o per sorte, ha l’onere e l’onore di far parte della gestione (amministrativa) della cosa pubblica, che, per definizione, appartiene a tutti noi. Solo così potrà avvenire il vero rilancio del nostro Paese. Per volontà, non per Decreto.

.