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APPRENDISTATO DEL REBUS – 7 – QUANDO IL DISEGNO LO RENDE SUBLIME

Prosegue il “corso” avviato questa estate, rivolto a chi desidera essere introdotto a questo modo affascinante di giocare con le immagini e le parole – Oggi studiamo il miracolo del disegno capace di rendere in modo perfetto la sfumatura semantica della parola-chiave

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Settima “lezione”, 8 novembre 2021 – Le sei precedenti, relative ad altrettanti miei rebus pubblicati nel corso dell’estate di quet’anno, sono raccolte ne
I nuovi rebus spiegati [1] –  Quello esaminato qui è tratto dal numero 4658, del 1° luglio 2021, de La Settimana Enigmistica, cui va il nostro ringraziamento per l’autorizzazione a riprodurlo in questa sede

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[2]Propongo oggi come oggetto del nostro studio questo rebus innanzitutto per rendere omaggio alle due persone cui lo dobbiamo. La prima è l’autrice del disegno: la Brighella [3], Maria Ghezzi, la grande  “madre” del rebus e dei rebussisti italiani, che ci ha lasciati a 94 anni [4] nel febbraio scorso  e della quale si è da pochi giorni chiusa una bellissima mostra [5] di disegni, dipinti e sculture al Centro dell’Incisione di Milano. L’altra è quella che ha ideato il rebus: Atlante, Massimo Malaguti, allievo del Briga, Giancarlo Brighenti, marito della Brighella e responsabile della sezione rebus della Settimana Enigmistica per mezzo secolo; Atlante è oggi anche lui collaboratore della stessa rivista, dove ha pubblicato il suo primo rebus quarant’anni fa, nel 1980.

Ma la scelta ha anche un motivo strettamente didattico: questo è un raro rebus in cui si coniugano due caratteristiche: è “stereoscopico”, cioè costituito da più vignette nelle quali è rappresentata una azione nel suo svolgersi, come nei fotogrammi di un film; ed è “a domanda e risposta”: cioè in prima lettura va letto come sequenza di una prima frase interrogativa, cui risponde la seconda.

Incominciamo coll’osservare che la lunghezza delle parole di queste due frasi, riferite a ciò che le immagini raffigurano è indicata fra parentesi sopra il rebus – “diagramma” – dai numeri che precedono il segno = (dunque: 2  8  1?  2!). La lunghezza delle parole della soluzione è indicata invece dai numeri che vengono dopo il segno = (6  7).

Il fatto che si tratti di un rebus “stereoscopico”, o “stereorebus”, implica – come si è detto – che la sua “chiave” non è costituita da un personaggio, un animale, una pianta o una cosa, bensì dall’azione compiuta dal protagonista, espressa da un verbo che, a seconda dei casi, va coniugato al passato o al futuro. Essendo qui i grafemi indicanti il soggetto della proposizione, VO, e il complemento oggetto, S, collocati nell’ultima vignetta, ciò indica che il verbo deve essere coniugato al passato: l’azione è quella rappresentata nelle due vignette precedenti, che VO ha compiuto (passato prossimo) o compì (passato remoto): la scelta tra questi due tempi del verbo va fatta di volta in volta, tenendo conto del numero di lettere di cui si dispone e della loro possibile distribuzione; in rari casi si ricorre anche all’imperfetto e ancor più raramente al trapassato prossimo, o al trapassato remoto.

Abbiamo già visto (I nuovi rebus spiegati [1], a proposito del secondo rebus, pubblicato sul Corriere di Milano il 12 luglio scorso), come possa accadere che il soggetto o l’oggetto dell’azione rappresentata nella vignetta vadano indicati nella prima lettura del rebus con il grafema apposto al sostantivo (per esempio, in questo caso: “VO ragazzo”, o “ragazzo VO”), oppure anche con il solo grafema. Nel caso di cui ci occupiamo oggi sappiamo che le parole della prima lettura contengono rispettivamente 2 , 8,  1,  e 2 lettere, e che una di esse rappresenta una azione, dunque deve essere una voce verbale; questo ci consente di considerare molto probabile che la prima “parola” della frase, la quale deve essere di 2 lettere, sia il grafema VO senza ulteriore sostantivo indicante il soggetto, e che la terza sia S, senza ulteriore sostantivo indicante l’oggetto. In altre parole siamo esentati dall’identificare il giovanotto che compie l’azione e dal dare un nome all’insieme di monetine e di banconote che costituisce il complemento oggetto.

La sequenza della prima frase è dunque quella classica: soggetto-predicato verbale-complemento oggetto: “VO  . . . . . . . .  S?”. A questa fa seguito la risposta : ” . . !”, cioè presumibilmente “Sì!”, oppure “No!” (ma qualche rebus a domanda e risposta compare talvolta anche la risposta “già!”, oppure “certo!”, oppure “ecco!”: qui sarà “sì” o “no”, perché la parola è di due sole lettere).

Siamo arrivati al cuore del problema: dobbiamo trovare la voce verbale che esprime l’azione descritta, della quale sappiamo che consta di 8 lettere. Che cosa fece VO? Qui si apprezza l’espressività del disegno della Brighella, che ci mostra inizialmente sul tavolo le prime due monetine, evidentemente estratte dal salvadanaio che compare sulla sinistra, poi il progressivo aggiungersi di qualche moneta e di una banconota, mentre nella prima immagine VO fruga in un cassetto, nella seconda fruga in una tasca dei propri pantaloni e si vede che ha frugato anche nel contenitore cilindrico collocato sopra il comò (rimasto aperto). Qual è il verbo che meglio esprime questa sequenza di azioni? “Radunare” non soddisfa, e non è comunque compatibile con il diagramma: “radunò” è di 6 lettre e non di 8. “Raccogliere” al passato remoto dà “raccolse”, che è di 8 lettere; ma possiamo escluderlo perché nella soluzione deve fornire le ultime 4 lettere di una parola di 6 che incomincia con VO, e “voracc” non è una parola italiana. Per altro verso, il verbo “raccogliere” non ci soddisfa, perché non esprime esattamente l’azione compiuta da VO.

Da quest’ultimo passaggio, però, usciamo con un indizio importante: “voracc” non è una parola italiana, ma “vorace” o “voraci” sì! La voce verbale che cerchiamo, dunque, potrebbe incominciare con “race” o con “raci”. Conosciamo un verbo le qui prime lettere siano queste quattro?

Quel mettere insieme il gruzzoletto S reperendo a fatica qualche soldino qua e là, corrisponde a un’azione che in italiano si esprime bene con una sola parola: racimolare. Ne troviamo infatti questa definizione nel Devoto-Oli: “racimolare  v. tr.  Mettere insieme con fatica e a stento, raccogliendo da più parti”. E qui apprezziamo il fascino del gioco del rebus, che il disegno della Brighella valorizza al massimo grado: la possibilità che sia un’immagine a rappresentare univocamente quella fatica e quello stento, cioè la sfumatura semantica che caratterizza la parola “racimolare” rispetto a “raccogliere”!

[6]Abbiamo così trovato la prima parte della prima lettura: “VO racimolò S?”. Cui la risposta è evidentemente: “Sì!”. Donde la soluzione: Voraci molossi.

Proprio la sequenza di lettere della parola “racimolare” (coniugata al passato remoto), e di nessun’altra, si trasforma per miracolosa metamorfosi in un’espressione dal significato totalmente diverso. Ed è l’arte eccelsa della Brighella, con la precisione e chiarezza del suo disegno, a consentire questa precisa e univoca corrispondenza tra l’immagine e la parola, che rende il gioco del rebus avvincente e meraviglioso.

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