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QUANTI LUOGHI COMUNI SUL LAVORO DEI RIDER

È sbagliato criminalizzare l’intero sistema del platform work solo per alcuni episodi di sfruttamento: è anche il sistema che ha consentito a moltissimi immigrati di inserirsi positivamente, con retribuzioni che talvolta raggiungono i 2000 euro al mese – La protezione migliore sta nel garantire i percorsi di formazione verso altri lavori più qualificati

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Intervista a cura di Giulio Gori, pubblicata sul
Corriere Fiorentino il 6 ottobre 2022 – In argomento v. anche il mio articolo Il ruolo insostituibile della contrattazione collettiva per risolvere la questione dei rider [1] e l’intervista Il contratto Just Eat per i rider: l’altra faccia della luna [2] .

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[3]In Italia i rider, costretti a correre a velocità folli nelle nostre città, sono considerati imprenditori: non è un paradosso per chi non ha alcun potere di contrattazione e pur lavorando moltissimo ricava redditi ben inferiori ai mille euro al mese?
A dire il vero non sono considerati imprenditori nell’ordinamento italiano, che li qualifica a seconda dei casi come dipendenti o collaboratori autonomi continuativi; ma neanche nell’ordinamento europeo, che qualifica come imprenditori soltanto i liberi professionisti, mentre ormai da tempo si è orientato a riconoscere l’affinità tra il lavoro subordinato e il lavoro “economicamente dipendente”.

Però il modello del lavoro somministrato attraverso le piattaforme, dal punto di vista delle tutele e dei salari, si è rivelato un fallimento.
Non è proprio così: se sono inquadrati come subordinati, come quelli dipendenti da Just Eat, il diritto del lavoro si applica integralmente. Per gli altri esiste il contratto collettivo nazionale Assodelivery, stipulato un anno fa, che pur qualificandoli come collaboratori autonomi stabilisce uno standard retributivo minimo orario – oltretutto leggermente superiore a quello previsto nel contratto Just Eat: dieci euro –, riconosce loro i diritti sindacali e i diritti di informazione circa l’organizzazione del lavoro, disciplina la sicurezza del lavoro, il trattamento di malattia, l’assicurazione anti-infortunistica. Un problema assai rilevante, semmai è emerso in questo primo anno di sperimentazione del contratto Just Eat [2].

Quale problema?
Dovendo applicare le regole del lavoro subordinato in materia di orario di lavoro e struttura della retribuzione, Just Eat assume come dipendenti solo la parte di rider delle città maggiori cui può garantire la retribuzione minima per l’orario concordato; gli altri, circa il 70%, restano fuori, gestititi da un’app che li mette direttamente in contatto con i ristoranti, cui compete di retribuirli di volta in volta, oppure da agenzie convenzionate.

Ecco, le applicazioni: non rischiano di essere una sorta di caporalato occulto?
Questo rischio esiste. Oggi esso è ridotto dalla direttiva europea 1152/2019  e dal decreto legislativo di attuazione 104/2022, che impongono un livello di trasparenza dei rapporti di lavoro molto superiore rispetto a prima. Però la vera protezione contro questo rischio è costituita dal diritto dei rider di organizzarsi in sindacato e comunque di esercitare, attraverso di esso o anche individualmente, il necessario controllo su tutti gli ingranaggi dell’organizzazione del lavoro, ivi compreso l’algoritmo che governa la piattaforma da cui dipendono. Questo diritto è previsto e disciplinato anche dal ccnl AssoDelivery per i rider non subordinati.

Lei dunque non crede che esista un problema culturale nel lessico del lavoro, a partire dal fatto che si parla di risorse, anziché di lavoratori?
Se è per questo, nel linguaggio delle relazioni industriali si parla comunemente di “risorse umane” in tutte le aziende, in riferimento a tutto il personale. L’espressione non mi entusiasma affatto; ma non me ne scandalizzerei.

Perché l’Italia, a differenza di altri Paesi come la Spagna, non riesce a imporre alle multinazionali del delivery di assumere i lavoratori e dare loro stipendi veri?
Come dicevo prima e come l’esperienza di Just Eat [2] di cui parlavo prima insegna, lo schema rigido del lavoro subordinato è per sua natura poco compatibile con la peculiarità del lavoro organizzato a mezzo della piattaforma. Ma l’esperienza del ccnl AssoDelivery mi sembra stia funzionando molto bene. D’altra parte, mi sembra sbagliato criminalizzare l’intero sistema considerando solo alcuni episodi di maltrattamento e sfruttamento di lavoratori: il platform work è anche quello che ha consentito a decine di migliaia di immigrati di inserirsi positivamente nel tessuto sociale e produttivo del Paese, invece di rimanerne ai margini, con retribuzioni che talvolta raggiungono anche i 2000 euro al mese. Nel XXI secolo la vera protezione del lavoro non può avvenire con le tecniche del Novecento.

Quali sono in questo caso le tecniche di protezione più efficaci, a suo modo di vedere?
In Italia oggi centinaia di migliaia di posti di lavoro qualificato restano scoperti [4] per mancanza di persone capaci di candidarvisi. La vera protezione di cui hanno bisogno i rider, come ogni altro lavoratore debole, può essere costituita dai servizi di informazione e dai percorsi di formazione mirata agli sbocchi esistenti, che consentano a tutti di passare a un lavoro più produttivo e meglio retribuito.

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