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IL DIBATTITO AL SENATO SULLA “MINIRIFORMA” DEL DIRITTO DEL LAVORO INSERITA NEL DDL 1167

DISCUSSIONE DEL  “COLLEGATO ALLA FINANZIARIA”, COL QUALE IL GOVERNO SI PROPONE ALCUNI INTERVENTI INCISIVI IN MATERIA DI LAVORO. UNA RIFORMA PROFONDA DEL DIRITTO DEL LAVORO E’ INDISPENSABILE, MA NON LA SI FA IN QUESTO MODO, DI SOPPIATTO, CON INTERVENTI DISORGANICI E TECNICAMENTE IMPROPONIBILI (TRA I QUALI ANCHE UN CLAMOROSO AUTOGOL IN MATERIA DI LICENZIAMENTI)

Selezione di interventI svolti da me e da altri in Aula nelle sedute del 24, 25 e 26 novembre 2009, sul disegno di legge n. 1167 [1]

Sommario:
1. Sulla pregiudiziale di non passaggio agli articoli
2. Sulla delega legislativa al Governo in materia di  orario di lavoro (articolo 8 )
3. Sull’accreditamento, per la contrattazione in deroga sull’orario di lavoro, ai sindacati maggiormente rappresentativi “a livello territoriale”
4. Sulla compartimentazione delle carriere dei dirigenti delle amministrazioni pubbliche (art. 9)
5. Sulla delega legislativa al Governo in materia di congedi parentali (art. 17)
6. Sui criteri del controllo giudiziale in materia di licenziamenti e di qualificazione del contratto di lavoro (art. 23)
7. Su conciliazione e arbitrato in materia di lavoro (modifica del Codice di procedura civile: art. 24)
8. Sulla disciplina dell’impugnazione del licenziamento, del contratto a termine e delle dimissioni (art. 25)
9. Sulla norma transitoria della Legge Biagi in materia di collaborazioni autonome continuative (art. 28-octies)
10. Dichiarazioni di voto finali sul disegno di legge nel suo complesso

SEDUTA POMERIDIANA DEL 24 NOVEMBRE

1. SULLA PREGIUDIZIALE DI NON PASSAGGIO AGLI ARTICOLI
PRESIDENTE. Ha chiesto la parola il senatore Ichino. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signor Presidente, per il caso che qualche collega non sia compiutamente informato sulla materia su cui siamo chiamati a discutere e decidere, vorrei fare soltanto un rapido elenco degli oggetti di questo disegno di legge. Si parte dai lavori usuranti, per passare agli enti vigilati dal Ministero del lavoro, alle direzioni scientifiche degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, alle attività sportive, alla produzione di farmaci emoderivati, all’orario di lavoro e ai permessi in materia di lavoro privato, ai concorsi pubblici, al diritto allo studio, allo status dei ricercatori universitari e loro trasferimenti, ai contratti individuali di lavoro e relative vicende, come il licenziamento, per arrivare, dulcis in fundo, addirittura ad una norma di diritto processuale civile. Credo che sia la prima volta nella storia del nostro Parlamento che si propone e si porta a compimento una riforma del diritto processuale che non è passata per la sua sede naturale, cioè la Commissione giustizia.
Intendiamoci bene, il discorso qui è puramente e semplicemente di metodo. In questo disegno di legge ci sono alcune disposizioni che trovano il nostro pieno accordo e che sono state redatte anche con il nostro contributo, mentre altre ci trovano in netto disaccordo. Ma qui non stiamo discutendo del merito, bensì del modo in cui stiamo legiferando.
È qui con noi in questo momento il ministro per la semplificazione normativa Calderoli, cui mi rivolgo: so che è bene precostituirsi prospettive di lavoro di lungo periodo, per stabilizzare i posti di lavoro – lo dice anche il ministro Tremonti – ma qui stiamo lavorando per farla lavorare fino a 80 anni, signor Ministro, perché mentre lei taglia e semplifica le leggi – o perlomeno cerca di farlo – noi stiamo creando un mostro legislativo, proprio il prototipo del provvedimento che non bisognerebbe emanare. Se le cose stanno così e se questo mostro riguarda non soltanto materie in fondo marginali, bensì anche quelle cruciali e rilevantissime, come il diritto del lavoro ed il diritto processuale del lavoro, perché dobbiamo legiferare in questo modo?
Farò solo due esempi di come questo modo di legiferare sbagliato nel metodo porti a risultati paradossali e assurdi nel contenuto: abbiamo appena varato la riforma delle amministrazioni pubbliche; adesso, a poche settimane di distanza, torniamo sulla materia dell’impiego pubblico. Abbiamo varato una riforma che mira a responsabilizzare la dirigenza pubblica rafforzandone le prerogative, ma qui all’articolo 9 interveniamo compartimentando la carriera dei dirigenti pubblici e mortificandola, là dove sostanzialmente si ostacola il loro passaggio da un Ministero all’altro, in evidente contraddizione rispetto a quanto invece avevamo disposto nella legge n. 15 del marzo scorso e poi nel decreto delegato che ne è derivato.
Sulla mobilità dei dipendenti pubblici interveniamo con l’articolo 8, stabilendo che un dipendente possa essere messo in mobilità quando rifiuti per due volte un trasferimento giustificato; nella riforma che abbiamo approvato nel marzo scorso, però, avevamo stabilito che le prerogative del dirigente su questo terreno dovessero essere le stesse che si applicano nell’azienda privata, dove basta un rifiuto ingiustificato perché scattino le sanzioni e il lavoratore debba rispondere del proprio rifiuto ingiustificato.
Come la mettiamo? Che senso ha legiferare a singhiozzo come stiamo facendo? Il disordine consente che passino norme non coerenti con un disegno di riforma organica. Per questo ci sembra che la pregiudiziale proposta in questa sede sia ampiamente ed evidentemente giustificata. Ribadisco, senza entrare nel merito. Se non verrà accolta – ma francamente non vedo come possa non esserlo – ne discuteremo; ora dobbiamo solo chiederci se è questo il modo giusto in cui il Parlamento italiano deve fare le leggi per il Paese. Questo è il modo in cui si fanno leggi che non fecondano la società civile, che non entrano nella cultura giuridica del Paese, che costituiscono sabbia negli ingranaggi del tessuto produttivo.
Per questo motivo, il Gruppo del Partito Democratico voterà a favore di questa questione pregiudiziale. (Applausi dai Gruppi PD e IdV).

SEDUTA ANTIMERIDIANA DEL 25 NOVEMBRE

2. SULLA DELEGA LEGISLATIVA AL GOVERNO IN MATERIA DI ORARIO DI LAVORO (ART. 8 )
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facolta`.
ICHINO (PD). Signora Presidente, intendo soltanto ricordare al Governo, nel momento in cui ci si accinge a dargli delega in tema di orario di lavoro, che la divisata soppressione della pausa di mensa di cui ci ha parlato il ministro Rotondi nei giorni scorsi costituirebbe violazione della disciplina comunitaria in materia, la quale impone che laddove la prestazione giornaliera superi le sei ore la pausa sia inderogabilmente dovuta. Auspichiamo, pertanto, che lo spirito con cui questa delega viene data al Governo differisca dallo spirito sotteso alle dichiarazioni del ministro Rotondi. In ogni caso, il Partito Democratico votera` a favore della soppressione dell’articolo.

3. SULL’ACCREDITAMENTO, PER LA CONTRATTAZIONE “IN DEROGA” IN MATERIA DI ORARIO DI LAVORO, DEI SINDACATI MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVI “A LIVELLO TERRITORIALE”
PRESIDENTE.
Ha chiesto di parlare il senatore Treu. Ne ha facoltà.
TREU (PD). Signora Presidente, vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che ci eravamo gia` intrattenuti sulla questione delle sanzioni, rilevando un ammorbidimento grave di tutta l’impalcatura dell’orario di lavoro. In particolare, l’ultima aggiunta, con la postilla appena approvata con l’emendamento 5.202, e` molto grave. Io e molti colleghi – non tutti perche´ la materia e` controversa – siamo favorevoli alla flessibilita` degli orari; non solo, ma siamo anche favorevoli a che la flessibilita` degli orari sia regolata contrattualmente. Dico persino – e qui mi avventuro in un terreno delicato – che queste deroghe si possono fare anche a livello decentrato: giusto, Sottosegretario? Ma qui la cosa e` veramente preoccupante! E ` la prima volta, che io sappia – anche se altri tentativi erano stati fatti – che questi contratti derogatori a livello aziendale possano essere fatti non solo, come sarebbe il caso, da sindacati collegati con le grandi centrali, ma anche da sindacati maggiormente rappresentativi su base territoriale. Il che significa che un piccolo sindacato rappresentativo nella provincia di Vercelli piuttosto che di Vibo Valentia – non ce l’ho con questi due centri – puo` fare un contratto che modifica completamente l’orario di lavoro stabilito a livello nazionale.
Trovo che questo sia devastante, e mi meraviglio del Governo, visto che abbiamo discusso molte volte della flessibilita` e della derogabilita”: l’ultima volta che ne abbiamo parlato mi sembra che il sottosegretario Viespoli fosse contrario; anzi, aveva fatto proprio una dichiarazione in tal senso. Quindi o e` un equivoco che non ho ben compreso, oppure chiedo al Governo di chiarire la sua posizione.
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal Gruppo [è questo un espediente per poter aggiungere una dichiarazione di voto, al fine di sottolineare la gravità della questione, nonostante che il Regolamento ammetta una sola dichiarazione di voto per ciascun Gruppo; il voto di astensione, comunque, al Senato viene computato come voto contrario].
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
ICHINO (PD). La deroga così formulata si pone addirittura in contrasto con la direttiva comunitaria che regola la materia. (Brusio).
PRESIDENTE. Colleghi, come vedete, ci sono emendamenti e riformulazioni in Aula; quindi il testo si presenta complicato. Se poteste aiutare la Presidenza a mantenere un minimo di ordine ci capiremmo meglio; estendo la richiesta al presidente Quagliariello. Prego il senatore Ichino di continuare il suo intervento.
ICHINO (PD). Il termine «territoriale» puo` assumere qualsiasi significato: dalla macroregione che comprende diverse Regioni, ad un quartiere di singola città. Quindi, dire «sindacato maggiormente rappresentativo a livello territoriale» non e` un criterio selettivo. A questo punto, consentire la deroga ad un’organizzazione sindacale di qualsiasi entità, dimensione e genere significa eliminare sostanzialmente la disciplina della materia. Credo che in questo modo si configuri anche una violazione della direttiva. Per questo motivo il mio voto sarà di astensione.

4. SULLA COMPARTIMENTAZIONE DELLE CARRIERE DEI DIRIGENTI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (ART. 9)
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, questo articolo, in sostanza, reintroduce la compartimentazione nelle carriere dei dirigenti pubblici. Ciò contrasta con un principio di buona amministrazione: innanzitutto, perché, se c’e` un buon dirigente che proviene da una determinata amministrazione ed è utilmente destinabile ad un’altra, non c’è ragione di impedire, di scoraggiare, di disincentivare tale passaggio, impedendo la migliore allocazione delle risorse manageriali nel settore pubblico. Ma, soprattutto, ciò è in contrasto con tutta la logica della riforma delle amministrazioni pubbliche che il Parlamento ha varato pochi mesi fa. Si tratta di un passo indietro; e ancora una volta esso è reso
possibile dall’inserimento di norme di questo genere in un contesto totalmente disomogeneo, nel quale il Parlamento (il Senato, in questo caso) non è messo in condizione di valutare la congruenza della disposizione che ci si accinge a votare con un disegno generale riguardante l’intera materia.
Anche per questo motivo voteremo contro. Ma mi stupisce che i relatori e il Governo si pongano contro se stessi, cioè contro quanto essi stessi hanno voluto e deliberato in altra recente occasione. Non se ne comprende il motivo, se non per la soluzione di problemi, diciamo così, ad personam, cosa che non è né commendevole per chi la propone, né utile per il Paese.

5. SULLA DELEGA LEGISLATIVA AL GOVERNO IN MATERIA DI CONGEDI PARENTALI (ART. 17)
ICHINO (PD). Signor Presidente, intervengo sugli emendamenti 17.8, 17.10 e 17.200. Pregherei i relatori di seguire il mio intervento perché pongo loro una domanda. L’articolo che stiamo esaminando intende delegare al Governo un riordino della materia e, più precisamente, il coordinamento formale e sostanziale, l’indicazione specifica delle norme abrogate e il riordino della normativa sui permessi. Questa materia non e` oggi sparpagliata in una pluralità di interventi legislativi, come tanta altra parte della materia del diritto del lavoro, ma è già oggetto di un Testo unico, il decreto-legislativo n. 151 del 2001, che ha per l’appunto coordinato e riordinato la materia e indicato le norme soppresse: già in quel testo sono state individuate puntualmente le norme che venivano abrogate. Il problema non è il coordinamento e l’indicazione delle norme abrogate, ma, semmai, il fatto che il Testo unico n. 151 del 2001 è un testo ipertrofico: esso è composto di 87 articoli, una dimensione eccessiva, probabilmente sproporzionata rispetto alla materia, quindi in contrasto con il principio di proporzionalità dell’intervento legislativo rispetto alle esigenze effettive di regolazione posto dal manifesto comunitario approvato a Copenhagen pochi giorni fa, il 12 novembre scorso.
Il vero grande problema che dobbiamo porci a questo riguardo, poi, è che tutti questi permessi e congedi, che svolgono una funzione di grande rilievo sociale, sono disegnati in funzione di un modello di rapporto di lavoro che è quello del pubblico impiego e della grande impresa. Il problema è rendere accessibili e realmente godibili questi diritti in tutta l’immensa area della piccola e media impresa, dove non è pensabile applicare lo stesso sistema e lo stesso regime, ma occorre intervenire con misure di natura diversa, di sostegno alla lavoratrice madre e al lavoratore padre, volte a incentivare l’uso di permessi e congedi anche da parte di quest’ultimo. Tutto questo non è detto nel provvedimento al nostro esame. Ciò che dobbiamo fare non è, come sembrerebbe indicare questa norma, creare un nuovo Testo unico, che c’è già, ma piuttosto ripensare in modo moderno la materia, cercando di ricavare insegnamenti e raccogliere esperienze positive dal Nord Europa, dove queste misure si applicano in modo che siano davvero godibili anche dal dipendente dell’azienda con cinque dipendenti, dal dipendente della bottega. Per tale ragione occorre un ripensamento complessivo, che non possiamo realizzare – lo ripeto ancora una volta – nelle pieghe di una legge che parla fondamentalmente d’altro; sarebbe invece opportuno che accantonassimo questa materia e ne facessimo oggetto di un ripensamento approfondito in Commissione lavoro. Ricordo, in proposito, che abbiamo presentato, poche settimane or sono, una proposta di riformulazione della disciplina dell’intera materia dei permessi e dei congedi inserita come articolo 2111 nel disegno di legge n. 1873, così proponendoci di mostrare come questo lavoro si possa fare in Parlamento e non sia affatto indispensabile lo strumento della delega al Governo.

SEDUTA POMERIDIANA DEL 25 NOVEMBRE

6. SUI CRITERI DEL CONTROLLO GIUDIZIALE IN MATERIA DI LICENZIAMENTI E DI QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO (ART. 23)
PRESIDENTE.
Ha chiesto la parola il senatore Ichino. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, l’articolo di cui stiamo discutendo attiene ad una materia caldissima e delicatissima: quella del controllo giudiziale sui licenziamenti. Riteniamo sbagliato affrontare questo problema separandolo da quanto dovrebbe costituire il complemento della materia, cioe` gli ammortizzatori sociali e la sicurezza del lavoratore nel mercato del lavoro. C’è quindi un errore di metodo specifico nell’affrontare la materia in questo modo frammentario e oltretutto in un contesto confuso come quello di questa legge.
Andando però al merito di questa norma, vorrei avvertire i colleghi che non soltanto la disposizione in oggetto non produce l’effetto che essi vogliono perseguire, ma addirittura introduce una regola che va in direzione esattamente opposta, riportandoci a un controllo giudiziale ancora più incisivo e limitativo della libertà d’impresa di quanto non sia l’assetto della disciplina attuale.
Il terzo comma di questo articolo prevede che nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che «delle fondamentali regole del vivere civile» (ma questo non ci sarebbe nessun bisogno di dirlo, perché ovviamente qualunque giudice della Repubblica deve sempre tener conto delle fondamentali regole del vivere civile), anche dell’«interesse oggettivo» dell’organizzazione aziendale, quindi dell’impresa. Ciò non significa soltanto che il giudice può sindacare le scelte dell’imprenditore, ma addirittura che esiste un interesse oggettivo dell’impresa diverso dall’interesse soggettivo dell’imprenditore e ad esso sovraordinato. Questo concetto era stato introdotto nel nostro ordinamento in epoca corporativa, ma è stato largamente e compiutamente superato dalla cultura giuslavoristica successiva. Capite bene che approvando questa norma voi addirittura legittimate il giudice del lavoro a farsi interprete di un interesse oggettivo distinto da quello dell’imprenditore: si tratta di un’idea sostanzialmente dirigista (un po’ comunista, come mi suggerisce la collega Incostante), che qualche giudice del lavoro ha fatto propria negli anni Settanta, ma che è poi stata del tutto superata. Mi chiedo se valga davvero la pena di fare questa forzatura intervenendo su di una materia così delicata con una operazione surrettizia, compiuta di soppiatto,  per produrre un risultato che va contro il vostro stesso intendimento (credo che il vostro intendimento – a parte le esternazioni del ministro Tremonti in difesa del modello del posto fisso –  sia di allentare i vincoli per l’impresa in questa materia, non certo di incrementarli). State introducendo nel nostro ordinamento una norma assurda, che nessuno può sensatamente pensare di reintrodurre nel nostro sistema. Questo riapre un capitolo giurisprudenziale pericolosissimo per tutti: per il sindacato da una parte, ma prima ancora per la libertà d’impresa.
Il secondo comma dell’articolo 23 del disegno di legge in esame riguarda la qualificazione del rapporto. L’intendimento del comma è quello di stabilire che, nella decisione della causa circa la qualificazione del rapporto, il giudice non possa discostarsi dalle valutazioni delle parti. Non ha gran senso riferirsi alla «valutazione» delle parti, perché parliamo di un contratto, quindi della volontà negoziale delle due parti che lo hanno stipulato, circa il suo contenuto. Ora, sostenere che il giudice debba attenersi alla volontà negoziale delle parti circa la qualificazione del rapporto equivale a dire che il giudice deve attenersi al nomen iuris, cioé all’etichetta che le parti hanno voluto dare al rapporto. Se di questo si tratta, la norma è palesemente incostituzionale. La Corte costituzionale ha più volte ribadito che il giudice non può fermarsi davanti al nomen iuris. Il collega Giuliano,che è del mestiere, mi darà atto del fatto che questo è l’orientamento della giurisprudenza costituzionale. Allora, questo non può essere il significato della norma; si tratta piuttosto del fatto che il giudice deve attenersi alla struttura che le parti hanno voluto dare al rapporto. Questa, però, è cosa molto diversa: ed è la stessa che proponiamo con il nostro emendamento, in forma molto più chiara e tecnicamente appropriata. Del resto, nello stesso comma 2 voi aggiungete: «salvo il caso di erronea qualificazione del contratto» da parte delle parti stesse. Se dunque il giudice deve tenere conto della loro volontà. salvo che quest’ultima sia erronea, quanto alla qualificazione formale, si torna al punto di partenza e il comma 2 ne risulta del tutto inutile.
Dato che entrambe le materie – giustificato motivo di licenziamento e qualificazione del rapporto – sono di grande importanza e delicatezza, è necessario intervenire in modo tecnicamente corretto. Raccomando dunque caldamente di evitare di fare pasticci e di complicare la vita all’intero sistema di relazioni industriali con una norma malfatta, la quale o è inutile, o va nella direzione opposta a quella per la quale si è voluto dettarla. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Li Gotti)

[sorprendentemente, l’intervento immediatamente successivo di un senatore della maggioranza conferma in modo esplicito la lettura del comma 3 dell’articolo 23 proposta nel mio intervento: leggere (in particolare le frasi evidenziate in neretto) per credere]

BENEDETTI VALENTINI (PdL). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BENEDETTI VALENTINI (PdL). Signora Presidente, onorevoli senatori, le due questioni poc’anzi sollevate dal collega, professor Ichino, meritano un momento di adeguata attenzione. Infatti, stiamo trattando un tema di grande rilievo sociale e anche giuridico che ha appassionato con coinvolgimento di sensibilita` politiche e ideologiche. Mi riferisco alla questione del rapporto di lavoro e dell’interruzione del rapporto stesso per licenziamento. Il collega Ichino ha sollevato osservazioni che hanno un’indubbia dignità pratica e dottrinale. Mi permetto, pero`, di far presente a lui e ai colleghi che il testo in esame ha compiuto – lo si legge anche senza avere partecipato ai lavori istruttori – uno sforzo fondamentale e pregevole, cioe` quello di mettere insieme tre esigenze sociali e giuridiche. La prima è la certezza dei rapporti: e` noto che questo e` uno dei punti deboli della instabilita` dei rapporti sociali fondati sui rapporti di lavoro. La seconda è rappresentata dall’interesse dell’azienda complessivamente intesa (su cui mi soffermerò tra breve, visto che il senatore Ichino ha dedicato particolare attenzione a questo tema) perche´ oggi, dopo aver accantonato e superato ogni vetero-classismo, assume rilievo giuridico, sociale ed economico.
La terza esigenza è quella del diritto delle parti, cioè sia del datore di lavoro o titolare dell’azienda che del prestatore d’opera, lavoratore subordinato; si tratta di due valenze importanti da mettere a sistema e a cui far trovare un punto di equilibrio. Ebbene, mi permetto di sottolineare al senatore Ichino e ai colleghi che si può condividere o no il risultato di sintesi sottopostoci dal proponente in questi due commi, ma l’obiettivo e` stato perseguito con dignità di formulazione. Quando si tende ad escludere dal novero dei criteri l’oggettivo interesse dell’organizzazione – nel testo si parla oltre tutto di organizzazione e non propriamente di azienda – il problema non è superfluo da affrontare o da porre. In effetti, il giudice si trova a dover decidere se sussistano i presupposti di fatto non soggettivi nel valutare l’interesse dell’azienda o dell’organizzazione. Se ci si dovesse rimettere all’interesse soggettivamente valutato o percepito da parte del titolare dell’azienda o dell’organizzazione, si entrerebbe in una materia in cui la soggettività ha confini illimitati; infatti, io potrei ritenere che l’interesse dell’azienda o dell’organizzazione si estenda fino a certe scelte commerciali, organizzative di ritmi e tipizzazioni dei modi di resa della prestazione di lavoro, mentre un altro imprenditore o dirigente dell’organizzazione potrebbe avere soggettivamente una visione completamente diversa. Nel momento in cui scatti la controversia (perché siamo in una materia di contenzioso), che cosa facciamo? Rimettiamo al giudice una valutazione squisitamente soggettiva nella percezione delle condizioni aziendali che possono o meno legittimare il licenziamento? Non sostengo che il termine oggettivo sia una parola magica in grado di risolvere per sempre ogni ambito di contenzioso, ma perlomeno si offre un criterio di riferimento e un parametro al giudice, che ha dato – ahimè – infiniti esempi di soggettività quando non addirittura di arbitrio nella molteplice gurisprudenza cui abbiamo assistito. Questa parola in qualche modo lo costringe a un criterio di riferimento che varchi la soggettività. Capisco che stiamo parlando di una distinzione in molti casi capillare, però è meglio avere tale criterio, a supporto e conforto del giudice, che molte volte deve decidere non facilmente, che non averlo affatto. [omissis]
(Applausi dai banchi del Governo)
[omissis]

TREU (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TREU (PD). Signora Presidente, desidero aggiungere qualcosa di specifico con riferimento ll’emendamento 23.7. Come ha gia` affermato il senatore Ichino, facciamo un uso anomalo della certificazione. La certificazione, come si dice in parte anche qui, e` usata in qualche altro ordinamento per aiutare il giudice ad apprezzare, secondo standard tipici, la qualità tipo contrattuale, ma non per escludere i poteri del giudice. Quindi, confermo che stiamo stravolgendo il sistema in un modo che non ha nessun riscontro in ordinamenti civili.
Ma in più si aggiunge che la certificazione verrebbe usata non solo per la qualificazione del contratto – che e` l’uso normale che se ne fa anche in altri Paesi – ma anche nell’interpretazione delle clausole contrattuali. Questo sinceramente aggiunge anomalia ad anomalia perchè in questo modo si verrebbe ad assolutizzare un carattere del contratto di lavoro come se fosse un qualunque contratto di diritto privato. Sappiamo benissimo, invece, che un contratto di lavoro non è come un contratto di compravendita e si inserisce in un quadro normativo ben preciso. Quindi, dire che la certificazione puo` anche valutare le clausole del contenuto contrattuale a prescindere da qualunque contesto normativo, significa, ancora una volta, non solo alterare le possibilita` di correttezza del tipo, ma anche l’equilibrio contrattuale. Quindi, anche questo emendamento è teso a riportare il sistema della certificazione nel suo giusto alveo.
PRESIDENTE. I restanti emendamenti s’intendono illustrati. Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
CASTRO (PDL), relatore. Signora Presidente, confesso qualche imbarazzo nell’intervenire dopo accademici insigni quali i senatori Ichino, Treu, dopo il senatore Giuliano, insigne magistrato del lavoro, dopo il senatore Benedetti Valentini, avvocato insigne. Come affettuosamente mi ha definito qualche giorno fa il senatore Treu in un simpatico dibattito che abbiamo avuto insieme, sono solo un manovale, nel senso che ho solo l’esperienza, come tanti altri colleghi che hanno fatto sindacato dall’altra parte, di gestire decine e decine di migliaia di dipendenti in giro per il mondo. E allora, auspicando il conforto e la benevolenza dei colleghi che sono intervenuti in modo giuslavoristicamente avveduto, chiedo loro di consentirmi una grande sincerità, ai limiti della ruvidezza.
Qual è lo scopo dell’articolo 23? Esso, in qualche modo, ci richiama al fatto di aver abbiamo sostenuto la congruità dell’inserimento della riforma del processo del lavoro nel collegato lavoro alla finanziaria. Si squaderna, infatti, di fronte a noi un orizzonte nel quale le imprese, soprattutto le piccole e medie, saranno chiamate a poderosi sforzi di ristrutturazione per adeguare strutturalmente le loro capacita` produttive al mutato scenario internazionale. Altre imprese, invece, dovranno rimodellare la propria organizzazione per avere un più adeguato riposizionamento competitivo. E` allora evidente che potere contare su una riforma profonda del processo del lavoro diventa un vettore competitivo. Vi rubo solo pochi secondi per spiegarvi cosa abbiamo voluto fare.
Ricordo un collega, segretario nazionale di una grande confederazione sindacale, il quale, all’ennesima causa vinta da qualche sindacato minimo, che aveva contestato gli accordi stipulati con le grandi organizzazioni sindacali  per gestire ristrutturazioni (pur con tutte le norme protettive per le condizioni individuali), sbotto` dicendo di essersi convinto che i magistrati del lavoro avrebbero dovuto condannarsi da soli ai sensi dell’articolo 28, cioè per condotta antisindacale. Infatti, in Italia vi è, storicamente, non solo una tradizione di grande intrusione dei magistrati del lavoro nel perimetro delle relazioni industriali ma addirittura, in qualche misura, di una scarsa considerazione, dovuta spesso al sospetto nei confronti dell’esercizio dell’autonomia delle parti sociali. Noi vogliamo semplicemente dire che, d’ora in avanti, le valutazioni tecniche, organizzative e produttive che le parti sociali o le parti contrattuali assumono a fondamento delle proprie determinazioni gestionali devono essere fuori dal perimetro di possibile intrusione del magistrato del lavoro. Quanto alla domanda se tale obiettivo sia stato raggiunto o meno, io ho sempre ascoltato con grande attenzione le osservazioni dei colleghi, che questa volta mi onoro di poter chiamare colleghi, Ichino e Treu. In qualche misura, con nessuna superficialita` ma con uno straordinario rispetto, ribadisco che crediamo profondamente nel testo prodotto. Non possiamo non considerare come attentamente meditate e degne di profonda riflessione le osservazioni dei colleghi di minoranza. Tuttavia, soltanto la prassi potrà dirci se era giusta la nostra architettura giuridica o se potiore sarebbe stata quella proposta, con sincero spirito riformista, dai colleghi dell’opposizione.
In qualche modo, richiamando una frase che pronunciai quando insieme realizzavamo la riforma del lavoro pubblico, suscitando l’irritazione della collega Incostante, di fronte a questo dato io cito un grande poeta perseguitato del Novecento. C’è infatti il tempus tacendi, c’è il tempus loquendi e, qualche volta, arriva addirittura il tempus votandi. Votiamo dunque questo articolo: saranno poi i fatti a dirci chi aveva ragione. Ovviamente, noi riteniamo di avere operato bene. Laddove avessimo torto, richiamo la prospettiva da me ricordata ieri nella mia introduzione (pur tanto bistrattata dal collega Nerozzi), cioè l’invito allo spirito di kaizen, di miglioramento continuo. In una grande crisi, che sta cambiando tutti i presupposti, il principio di kaizen ci condurrà, laddove avessimo avuto torto riguardo a suggerimenti così importanti e nitidi, a rimediare. Noi siamo convinti, invece, che saranno i colleghi dell’opposizione a dire che siamo stati bravi e che abbiamo avuto ragione. Per quanto riguarda l’espressione dei pareri sugli emendamenti all’articolo 23, esprimo parere contrario su tutti gli emendamenti.
VIESPOLI, sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali. Esprimo parere conforme al relatore.
[omissis]
ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, ho ascoltato molto attentamente quanto hanno detto i colleghi a sostegno dell’articolo 23 nella sua formulazione attuale e contro questi nostri emendamenti. Resto convinto, tuttavia, che la disposizione sia sbagliata in entrambe le sue parti. Colleghi, sulla parte relativa al licenziamento state facendo esattamente il contrario di quello che dite di voler fare. Dire che il giudice deve farsi interprete dell’interesse oggettivo dell’impresa è esattamente il contrario rispetto aL dire che il giudice deve rispettare la volontà delle parti e che le scelte dell’imprenditore sono insindacabili. Ovviamente è anche il contrario rispetto all’affermare che il giudice deve rispettare le scelte espresse dal sistema di relazioni industriali. (Applausi dal Gruppo PD).
Voi mettete in mano ai giudici del lavoro di tutta Italia questo concetto, l’«interesse oggettivo dell’impresa», di cui i giudici stessi saranno d’ora in poi i soli vestali, e di cui essi potranno fare quello che vorranno, contro tutti e contro tutto. In questo modo fate un pessimo servizio a coloro cui vorreste farne invece uno migliore.
Quanto alla qualificazione del rapporto di lavoro, e` un principio cardine e un vincolo costituzionale quello per il quale le parti non possono determinare la qualificazione del rapporto di lavoro, potendo solo scegliere gli elementi strutturali dello stesso, sui quali sara` invece il giudice – se investito della questione – a fondare la corretta qualificazione. Pertanto, dire che il giudice è vincolato alla volontà delle parti circa la qualificazione del rapporto equivale a dire qualcosa che è destinato a cadere sotto la scure della Corte costituzionale. Anche qui non fate un buon servizio al sistema di relazioni industriali: mettete ancora una volta soltanto della sabbia negli ingranaggi.
Per questi motivi voteremo a favore degli emendamenti che abbiamo presentato, mentre voteremo contro l’articolo 23 nel suo complesso, nella convinzione che sia questo il solo modo per fare un buon servizio al Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
[omissis]

TREU (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TREU (PD). Signora Presidente, intervengo non tanto per aggiungere altre argomentazioni, quanto per richiamare ancora una volta l’attenzione della maggioranza. Ho l’impressione che noi non siamo perfettamente in grado di produrre gli effetti voluti. Come ha detto il senatore Ichino, noi rischiamo, al di la` delle buone intenzioni dei colleghi, di produrre effetti contrastanti. Nel caso del licenziamento questo e` chiarissimo. Noi non utilizziamo, come si dovrebbe fare, delle indicazioni collettive e degli standard sociali per indirizzare una valutazione che deve riguardare la legittimità del licenziamento (e non certo i sistemi aziendali); rischiamo pertanto di pervenire al risultato opposto. Un riformista distratto e` forse peggio di un riformista non convinto.
Insisto anche sull’altra parte dell’articolo, che riguarda la certificazione. Io ho visto in opera dei sistemi di certificazione, anche in altri Paesi, che sono un aiuto al giudice, non un sovvertimento della realtà giuridica di un rapporto di lavoro. Sarebbe come dire che, se le parti dicono che un rapporto di lavoro dipendente è invece autonomo (perché così gli viene), il giudice deve crederci. Ma neanche il legislatore può facere de albo nigrum, come dicevano i latinetti!
L’abbiamo già detto e lo ripeto: se intendiamo questa norma così come purtroppo è, essa sarà incostituzionale. Temo che non ci rendiamo esattamente conto della portata e della gravità di questa norma. Per favore, riflettiamo e cerchiamo di cambiare questo articolo. (Applausi dal Gruppo PD)

7. SU CONCILIAZIONE E ARBITRATO IN MATERIA DI LAVORO (MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE: ART. 24)
ICHINO (PD).
Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, il capogruppo del PdL, senatore Gasparri, questa mattina, in riferimento a una materia meno importante di quella che è oggetto dell’articolo 24, ha detto testualmente: «dobbiamo affrontare con cautela questioni molto, molto complesse». Bene, qui stiamo affrontando una materia che è tra le più complesse che si possano immaginare e considerare, cioè la materia processuale civile. Stiamo intervenendo sul codice di procedura civile. A questo proposito, e proprio in riferimento a questo articolo, il relatore di maggioranza Maurizio Castro, durante l’esame in Commissione di questo disegno di legge, ci ha parlato di un processo di «stratificazione normativa virtuosa», vero collega Castro? Ora, l’essenza di un codice, in un ordinamento civile moderno, è esattamente il contrario della “stratificazione normativa”: in un codice, la stratificazione di norme non può mai essere “virtuosa”. Noi qui stiamo manomettendo una legge, il codice di procedura civile, che dovrebbe essere la quintessenza della semplicità, organicità, sistematicità e agevole leggibilità; interveniamo, invece, con il non-metodo della stratificazione disordinata.
Dovrebbe essere principio ovvio di tecnica legislativa quello per cui in un codice – stiamo infatti parlando di un codice, non di una legge speciale – non si fanno riferimenti a norme speciali, le quali  cambiano nel tempo. Qui, invece, noi istituiamo numerosi rinvii dal codice a leggi speciali destinate a mutare rapidamente. E per di più creiamo un intreccio tra norme codicistiche e norme di legge speciale: il comma 1-bis dell’articolo 24 interviene al di fuori del codice, ma sulla stessa materia su cui noi stiamo, invece, introducendo nuove norme all’interno del codice.
Volete un esempio dei pasticci che stiamo facendo? Io chiedo ai relatori se il procedimento di conciliazione di cui parliamo, secondo il loro intendimento, è un procedimento obbligatorio per entrambe le parti, oppure lo è solo per il ricorrente e non per il convenuto. Ci interesserebbe conoscere la vostra opinione al riguardo, perché qui state facendo un pasticcio: in una parte della norma – quella inserita nel codice – dite che il tentativo è facoltativo ma poi, con il comma 1-bis (che resterà fuori del codice), dite che invece il tentativo di conciliazione è obbligatorio. Una delle due norme è collocata dentro il codice, l’altra è collocata fuori: il comma 1-bis, appunto. In questo modo fate la fortuna degli azzeccagarbugli!
Ma c’è dell’altro. Colleghi, vorrei che i relatori mi ascoltassero perché è importante discutere attentamente di quello che stiamo facendo. Con la modifica all’articolo 420 del codice stabilite che il giudice deve formulare alle parti una proposta transattiva e poi dite che il giudice dovrà tenere conto, ai fini della sentenza, e quindi dell’esito finale del giudizio, del “giustificato motivo di rifiuto” dell’ipotesi transattiva formulata. Ma che cosa diavolo può voler dire questo? Facciamo un caso concreto: il lavoratore rivendica 100.000 euro, il giudice fa una proposta transattiva di 50.000 euro e il lavoratore o il datore di lavoro rifiuta la proposta transattiva perchè evidentemente ritiene di avere ragione e prevede che la sentenza finale gli sarà favorevole. Come può il giudice valutare il giustificato motivo di rifiuto del lavoratore o dell’imprenditore, se non istruendo la causa e decidendola secondo diritto? Ma questo non è esattamente ciò che il giudice già oggi deve fare, senza bisogno di questa norma?  Questa norma non ha alcun senso, perché l’intero giudizio consiste, sempre, nella valutazione del giustificato motivo di presentazione della domanda introduttiva da parte dell’attore, e del giustificato motivo di resistenza contro quella domanda da parte del convenuto. Se il giudice giudicherà che il lavoratore ha ragione gli dara` 100.000 euro. Se riterrà che abbia torto respingerà il ricorso. Ma che senso ha che il giudice debba valutare il giustificato motivo di rifiuto di una proposta transattiva?
Veniamo ora all’arbitrato irrituale: vi rendete conto che avete delineato una procedura molto complessa, ricca di norme minuziose sul procedimento dell’arbitrato irrituale, ognuna delle quali diventa una probabile causa di impugnazione del lodo? Che ragione c’è di irrigidire con queste regole un istituto che dovrebbe essere il più snello possibile per portare a una agevole soluzione transattiva della vertenza, imponendo invece una procedura disciplinata nei minimi particolari? Dov’è il vantaggio?
Infine, una considerazione sulla disciplina dell’arbitrato rituale che volete introdurre. Il primo problema dell’arbitrato in materia di lavoro, nel nostro ordinamento, sta nel fatto che non è consentito al contratto collettivo di disporre la soluzione arbitrale sui diritti che nascono esclusivamente dal contratto collettivo stesso. Questo è il problema più grave. Ora, se noi, come nell’emendamento che abbiamo proposto, dicessimo soltanto questo, cioè che il contratto collettivo può disporre la soluzione arbitrale sulle controversie relative a diritti che hanno nel contratto stesso la loro sola fonte, avremmo con questa sola norma deflazionato il contenzioso del lavoro per una metà abbondante. Nella norma che voi volete introdurre, invece, si fa il contrario. Si creano o mantengono problemi e vincoli per l’arbitrato su materia che abbia fonte esclusivamente nella contrattazione collettiva e, viceversa, si amplia la possibilità di clausola compromissoria in relazione a materie disciplinate con legge inderogabile dello Stato, consentendo tale clausola anche nel contratto individuale, sia pure “certificato”; con questo miniamo alla base il sistema stesso del diritto del lavoro, perché un ordinamento in cui la legge detta una norma inderogabile e tuttavia consente alla parte individuale di scegliere un giudice privato che deciderà dell’eventuale controversia in proposito è un ordinamento che si autocondanna alla ineffettività.
Quindi, per un verso allargate troppo nella direzione sbagliata. Per altro verso, restringete troppo nella direzione in cui bisognerebbe invece allargare.
E’ dunque una norma sbagliata. Ma mettiamo pure che io vi stia dicendo delle sciocchezze. Vi sembra che una questione di tale delicatezza, metter mano a un codice di procedura civile che per sua natura dovrebbe essere sistematicamente ordinato, si fa così in quattro e quattr’otto, in una legge che parla prevalentemente di tutt’altro, con una norma che non è stata neppure esaminata dalla Commissione Giustizia? A noi sembra di no. Per questo vi chiediamo almeno di accantonare questa norma per un ultimo ripensamento di qualche ora: evitiamo di infliggere questo vulnus alla logica sistematica del nostro ordinamento. (Applausi dal Gruppo PD)
TREU (PD). Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TREU (PD). Signora Presidente, senza ripetere quanto già detto bene dal collega Ichino, faccio notare che non e` che questa materia non era stata considerata. Nella scorsa legislatura abbiamo discusso per mesi un progetto di riforma del processo del lavoro su cui vi era stata una larga convergenza, vi erano state commissioni ministeriali e vi era stata – sottolineo – una convergenza anche di parte dll’opposizione. Adesso mettiamo dentro a un provvedimento omnibus una norma del genere, che non ci sta. Sottolineo due emendamenti significativi: uno vorrebbe recuperare almeno – dato che abbiamo preso questa strada – una parte che questa, sì, semplificherebbe le procedure: quella cioè di possibili interventi in materie che hanno carattere di fatto, che riguardano la previdenza e l’assistenza obbligatoria. Tutti i pratici ci dicono che avere una procedura semplice di conciliazione e di accertamento tecnico in queste controversie ridurrebbe la gran parte del peso sui magistrati. Questo era stato concordato da tutti ed e` cio` che si propone il nostro emendamento 24.0.1.
Per quanto riguarda invece il resto, faccio notare che non solo il tutto è farraginoso – altro che semplificazione! – ma abbiamo tre piste diverse di conciliazione (ci vorrebbe ben più di un avvocato per orizzontarsi) e ne abbiamo tre anche per l’arbitrato. Insomma, troppa grazia, sant’Antonio: qui veramente rischiamo di confondere, altro che di favorire un processo più veloce.  (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati. Invito il relatore ed il rappresentante del Governo a pronunziarsi sugli emendamenti in esame.
CASTRO (PDL), relatore. Signora Presidente, risulta evidente dalle argomentazioni svolte dai colleghi dell’opposizione il fatto che davvero si misurano due diverse tecniche legislative: e` in qualche modo il dibattito che già animò la presentazione della legge Biagi. So benissimo che i colleghi Ichino e Treu siano portatori di una cultura che si ispira al rasoio di Occam e che tenta, secondo noi in maniera forzata, di giungere ad una semplificazione degli istituti. Noi apparteniamo oggettivamente a una scuola diversa; i risultati che sono stati sinora conseguiti con le nostre tecniche legislative ci confortano nel proseguire, e lo dico con grande semplicità e rispetto.
E’ ben vero che c’è una conciliazione facoltativa e una obbligatoria; quella obbligatoria però è solo quella prevista dall’articolo 80 della legge Biagi. E’ ben vero che vi sono tre diversi tipi di arbitrato: quello previsto dell’articolo 412 del codice di procedura civile, quello previsto dall’articolo 412-ter
sempre del codice di procedura civile e quello previsto dall’articolo 414 ancora dello stesso codice. Quindi, da questo punto di vista è vero che la nostra è una impostazione di tecnica legislativa che ritiene la complessità un vettore di soluzione adeguata ad una realtà a sua volta naturaliter complessa. C’è ancora una volta una sorta di conflitto culturale, l’unico modo per risolvere il quale e` votare e, dopo avere votato, vedere chi ancora una volta abbia avuto ragione. Vengo ora ai pareri [omissis] 

SEDUTA ANTIMERIDIANA DEL 26 NOVEMBRE

8. SULLA DISCIPLINA DELL’IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO, DEL CONTRATTO A TERMINE E DELLE DIMISSIONI (ART. 25)
TREU (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TREU (PD). Signor Presidente, con riferimento agli emendamenti presentati dalla nostra parte politica, rilevo innanzitutto una modifica con riferimento alla decadenza per l’impugnazione del licenziamento. A prova del fatto che da parte nostra si valutano le questioni con attenzione e non si agisce in maniera unilaterale o faziosa, si dà atto del fatto che sono intervenuti alcuni miglioramenti, anche se con il nostro emendamento 25.250 si vuole sottolineare che un termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione giudiziale del licenziamento è assolutamente troppo breve: si passa da un estremo all’altro. Dunque, si propone di individuare un termine ragionevole, di 120 giorni. A questo emendamento diamo molta importanza. Se si riuscirà a rendere più ragionevole questo termine potremmo anche esprimere un giudizio positivo sull’articolo nel suo complesso. Si chiede uno sforzo ulteriore per permetterci di esprimere una valutazione più tranquilla al riguardo. Tra l’altro, si ritiene che ciò si possa fare senza pregiudicare l’obiettivo di velocizzare l’iter del provvedimento. Alcune altre nostre osservazioni sono da intendersi in realtà come precisazioni. E’ in atto un’operazione di recupero di situazioni di contratto a termine irregolari, ma nei casi in cui poi i contratti irregolari sono stati per così dire sanati attraverso l’assunzione e un contratto regolare. E’ un’operazione positiva, ma chiediamo solo di verificare con più attenzione se le indennità previste per il risarcimento sono sufficienti e se vi è la possibilità di immaginare un loro rafforzamento.
ICHINO (PD). Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signor Presidente, conosciamo tutti la vicenda relativa alle dimissioni in bianco: nella scorsa legislatura, era stato emanato un provvedimento legislativo volto a prevenire l’abuso della firma di dimissioni in bianco, ma quella legge è stata abrogata all’inizio di questa legislatura. L’emendamento 25.0.1 mira a risolvere lo stesso problema con costi di transazione per le parti drasticamente ridotti, anzi direi pari allo zero: in sostanza, si tratta di consentire che, entro tre giorni dalla loro comunicazione, le dimissioni vengano revocate dal lavoratore. La cosa non comporta praticamente alcun costo per il datore di lavoro, il quale deve soltanto attendere quei tre giorni per poter considerare definitivo l’atto negoziale del lavoratore; ma consente a quest’ultimo di revocare l’eventuale atto falsificato dal datore di lavoro, senza bisogno di andare in giudizio e far valere – con le difficoltà e i costi che sappiamo – la falsificazione del documento. Il costo è zero e l’efficacia è massima. La norma, già proposta con il nostro disegno di legge n. 884/2008 [2],  consentirebbe di eliminare una piccola barbarie – quella delle dimissioni sottoscritte in bianco all’inizio del rapporto di lavoro – che sappiamo quanto sia diffusa tra le imprese meno scrupolose. Per questo motivo, chiediamo ai relatori, alla maggioranza e al Governo di valutare attentamente questo nostro emendamento.

9. SULLA NORMA TRANSITORIA DELLA LEGGE BIAGI IN MATERIA DI COLLABORAZIONI AUTONOME CONTINUATIVE (ART. 28-OCTIES)
ICHINO (PD).
Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, vorrei capire se il relatore e il Governo sono al corrente che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 399 del 5 dicembre 2008, ha stabilito che è incostituzionale vietare la prosecuzione delle collaborazioni continuative stipulate precedentemente all’entrata in vigore del decreto-legislativo n. 276 del 2003. Il primo comma dell’articolo 28-octies – che, mi par di capire, volete sopprimere – è un’attuazione è un’attuazione di quanto la Corte costituzionale prescrive. Chiedo qual è il senso della sua soppressione, poiché mi è totalmente incomprensibile. Ho il testo della sentenza, nel caso il Governo non ne disponesse. Vorrei ascoltare anche dal relatore qual è il motivo di tale soppressione.
PRESIDENTE. La Presidenza e` in presenza di un emendamento 28-octies .201, soppressivo dell’intero articolo; il parere del relatore e` contrario alla soppressione dell’intero articolo e il Governo ha ritirato il suo emendamento soppressivo 28-octies.200. Invito il senatore Segretario a verificare se la richiesta di votazione con scrutinio simultaneo, avanzata dalla senatrice Carlino, risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.
(La richiesta risulta appoggiata). [omissis]
PRESIDENTE. La situazione e` complessa, perche´ siamo in presenza dell’emendamento 28-octies.202, di sola soppressione del comma 1, e l’emendamento 28-octies.203, soppressivo del comma 2, è stato ritirato. Vi è quindi un emendamento del relatore che è composto di due parti. Questo emendamento sopprime il comma 1 e riformula il comma 2. Quindi, secondo il nostro Regolamento, dobbiamo innanzitutto passare alla votazione dell’emendamento del relatore, perché in qualche modo sostituisce l’intero articolo.
ICHINO (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ICHINO (PD). Signora Presidente, insisto per chiedere che il relatore ci spieghi il significato, rispetto alla sentenza della Corte costituzionale, della soppressione del primo comma. Occorre, infatti, capire quale sia l’intendimento di questo emendamento soppressivo, rispetto ad una sentenza della Corte costituzionale che ci vincola a fare il contrario.
CASTRO (PDL), relatore. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CASTRO (PDL) relatore. Ovviamente rassicuro il collega Ichino sul fatto che il relatore fosse a conoscenza della sentenza della Corte costituzionale, tant’e` vero che nella motivazione della prima formulazione del suo emendamento il relatore aveva preso le mosse proprio da una riflessione sull’effetto, forse non del tutto coerente con le intenzioni della Suprema Corte, di quella sentenza medesima. Preso atto pero` compiutamente dell’esistenza di quella sentenza e degli effetti che essa dispiega, ritengo pleonastico il mantenimento del comma 1, da cui deriva l’adesione rispetto alla formulazione del Governo volta ad abrogare il comma 1. Siccome tuttavia rimane sul campo un problema oggettivo di imprese ad alta densità di occupazione, che potrebbero vedere fortemente perturbate le loro condizioni organizzative e di costo in relazione ad un’alluvione giudiziaria, riferita oltretutto a soggetti che, rifiutando l’assunzione a tempo indeterminato loro proposta per effetto dell’accordo sindacale successivo, hanno dimostrato disinteresse rispetto alla qualificazione rafforzata della loro relazione professionale, propongo una riformulazione che corrisponde al precedente testo proposto dal relatore, con la precisazione temporale «entro il 30 settembre 2008».
Ovviamente, per effetto di tale modifica si esprime parere favorevole sull’emendamento della senatrice Carlino che proponeva la soppressione del comma 1. Sul comma 2, basta invece aggiungere la dizione prima richiamata.

10. DICHIARAZIONI DI VOTO FINALI SUL DISEGNO DI LEGGE
TREU (PD).
Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TREU (PD). Signor Presidente, intervengo per annunziare il voto contrario del nostro Gruppo. Anche riprendendo molti degli interventi svolti dai colleghi, voglio motivare meglio il voto che intendiamo esprimere.
Mi atterrò al tema, che è già molto vasto, senza trattare, come ha fatto chi mi ha preceduto, altri argomenti che pure sarebbe importante ricordare. Faccio un’osservazione di metodo, che poi è di carattere politico generale, prima di passare ad osservazioni specifiche. Questa è un’occasione perduta, nonostante sia stata accompagnata da mesi di lavoro, e nonostante che l’esame di tali questioni sia cominciato nella notte dei tempi. Questo provvedimento è arrivato nel mezzo di una crisi. Sarebbe stato necessario fare molto di piu` e con piu` ordine. Si interviene invece tardi, a spizzico, rinviando gli impegni piu` seri che si sarebbero potuti prendere di fronte ad una crisi come questa. Molti altri Governi stanno facendo passi analoghi, proprio ora che si cominciano a vedere dei segnali di ripresa. Per fare questo, non occorrono provvedimenti tampone, disorganici, come sono in larga parte questi, ma qualcosa di piu`.
Anche in questo caso mi dispiace di aver sentito ancora una volta dire che non e` piu` tempo di riforme, come nel caso del sottosegretario Viespoli o di alcuni Ministri di questo Governo, tra cui i ministri Brunetta e Sacconi. La stessa collega Mauro ha poi fatto un proclama di riforme tanto ambizioso quanto poco effettivo, dal momento che in tale direzione non si e` riusciti a fare niente. Ad esempio, e` da tanto tempo che si parla di ammortizzatori sociali e della loro riforma, ma qui non si e` voluto, nonostante specifiche deleghe in tal senso, fare niente. Neppure si e` ritenuto di intervenire su una questione specifica legata all’allungamento di casse integrazioni in scadenza, secondo una richiesta che viene da tutte le parti sociali. In questo senso, abbiamo presentato specifici emendamenti.
Insomma, e` stata un’occasione perduta, tant’e` vero che, come si e` visto sia dalle relazioni che dagli interventi svolti e` emersa ben poca disponibilita` al dialogo su qualche punto significativo, che pure abbiamo sollevato.
Passo ora ad una seconda osservazione generale, prima di entrare nel merito di specifiche questioni di merito. Osservo che questo provvedimento e` uno tra i peggiori in quanto a modalita` tecniche di assemblaggio. C’e` dentro di tutto. Quando poi il relatore Castro parla di complessita`, rispondo che sappiamo che nel mondo la complessita` esiste, ma proprio per questo motivo si richiedono interventi organici, meditati, equilibrati e non una specie di Arlecchino, come quello al nostro esame. Siamo colpiti dal fatto che in questa arlecchinata non si sono voluti considerare, dal momento che si era in questa logica, punti specifici, magari meno ambiziosi di quelli da me citati in precedenza e relativi alla riforma degli ammortizzatori sociali o dei lavori usuranti. Faccio riferimento piuttosto a questioni su cui c’e` un potenziale consenso: ad esempio, molte questioni che attengono alla semplificazione e alla velocizzazione dei processi si potevano considerare, come del resto ho avuto anche modo di dire nel corso dell’esame degli emendamenti. Abbiamo proposto misure che effettivamente ridurrebbero, in particolare, il carico del contenzioso previdenziale, che resta enorme. Eppure, cosı` non e` stato. Una proposta analoga l’abbiamo fatta – e non da oggi – sullo sportello unico per connettere servizi per l’impiego e ammortizzatori. E`in questo momento una soluzione utilissima, soprattutto se si tiene conto che il Governo ha sempre detto che funzioniamo male proprio perche´non c’e` questo nesso. Siamo arrivati al punto che la vicenda dell’intermediazione a titolo gratuito, e dunque un doveroso richiamo a regole internazionali, e` stata incomprensibilmente espunta. Cio` ha a che fare anche con la confusione in cui si e` chiamati a legiferare.
Venendo al merito, riconosciamo pero` che alcuni interventi di manutenzione sono stati apprezzabili e apprezzati, come abbiamo detto e fatto anche in Commissione, nonostante anche lı` vi fosse poco dialogo e ci si trascinasse da una seduta all’altra. Abbiamo contribuito, per esempio, a sanare situazioni di contratti a termine irregolari, e abbiamo apprezzato la norma concordata sulla trasparenza nel pubblico impiego, che e` una vecchia battaglia che abbiamo condotto anche nei mesi scorsi, in riferimento al disegno di legge del ministro Brunetta. Insomma, qualcuno di questi provvedimenti e` anche merito nostro, ma si perde nel mare magnum di questo contenitore indistinto.
E veniamo all’ultima serie di osservazioni che desidero muovere, visto che sono molto pesanti quelle che abbiamo gia` richiamato: al di la` di quanto ho appena ricordato, vi sono nel merito interventi gravi, che indicano una linea di tendenza che potenzialmente non e` di flessibilizzazione razionale dei mercati, del lavoro e dei servizi, ma di deregolazione sconsiderata. Ed ecco il punto in cui la schizofrenia regna sovrana: questo si verifica insieme a interventi che con un po’ di velleitarismo vorrebbero raddrizzare le gambe a punti specifici, per esempio in materia di pubblico  impiego, che richiederebbero ben altri interventi. Abbiamo visto deleghe generiche e invasive, in una materia che tra l’altro e` oggetto di contrattazione, come quella riguardante i permessi, le aspettative e l’handicap: ma insomma, non e` cosı` che si fa! C’era bisogno di razionalizzare la materia? Ebbene sı`, saremmo disposti a collaborare, ma non cosı`. Abbiamo gia`detto di questa norma, piccola ma odiosa, relativa alla possibile revoca del part-time nel pubblico impiego, e non si capisce chi ispiri queste norme, assolutamente lesive. Abbiamo discusso a lungo della cosiddetta Authority e dei comitati in materia di mobbing, eguaglianza, eccetera. Insomma, in Italia abbiamo un guaio: anche quando ci sono leggi buone – come ad esempio in materia di pari opportunita` – siamo debolissimi nella fase di implementazione. Abbiamo Authority confuse e deboli. Qui cosa vogliamo fare? Mettiamo insieme due o tre organismi che non ci azzeccano niente – come si suol dire – con il risultato di indebolire ulteriormente un settore critico.
Questi, quindi, sono punti specifici molto negativi, che indicano una linea di tendenza sbagliata, i piu` gravi dei quali – come abbiamo segnalato – riguardano proprio il cuore del diritto del lavoro. Le critiche che abbiamo mosso alle norme sulla certificazione e sull’arbitrato sono volte a richiamare l’attenzione sul fatto che, certamente, dobbiamo e possiamo sveltire i processi e favorire una migliore comprensione da parte dei giudici della realta`; la certificazione serviva a questo, ma non possiamo usarla per soppiantare un controllo di legalita`, cosa che non reggera` ad un giudizio costituzionale, come abbiamo gia` detto. Ugualmente in materia di arbitrato, io personalmente – ma non solo – da anni vado dicendo che questo va valorizzato, perche´ sappiamo che – per com’e` attualmente – in Italia non lo e`, in quanto e` troppo debole e puo` essere infilzato da chiunque. Abbiamo avanzato pero` una proposta in linea con l’Europa, in base alla quale un arbitrato governato da contratto collettivo possa essere forte: adesso, che questa proposta non e` stata accettata, si passa all’estremo opposto, per cui siamo l’unico Paese del mondo che fino a ieri non aveva l’arbitrato in materia di lavoro e oggi ne ha uno libero per iniziative individuali, cosa che non esiste neanche in Uzbekistan. Sinceramente non ho capito la logica di questa materia di cui abbiamo discusso a lungo, e di cui a lungo abbiamo detto che doveva essere superata (e credo che anche molte delle parti sociali concordassero).
Ed ecco l’ultima chicca, che ancora una volta abbiamo sentito piu` volte ricordare in questa sede: le deroghe del contratto nazionale in sede locale dovrebbero essere fatte pero` da ipotetici sindacati rappresentativi sul livello territoriale (e noi siamo favorevoli al decentramento!). Qui rinnovo veramente il mio appello sul punto: colleghi, guardate che questa e` una falla nel sistema; sara` che adesso ce ne sono due o tre, ma – pur non volendo essere profeta – sottolineo il fatto che questa puo` aprire la stura a sedicenti sindacati e sindacatini nei piu` remoti angoli della nostra articolata penisola, con un effetto potenzialmente devastante, sia per i sindacati sia per gli imprenditori, come ha spiegato anche il collega Sangalli.
Queste sono cose che veramente inquinano anche quel poco di buono che c’era in questa normativa.
In conclusione, ho esemplificato alcuni punti che dimostrano che abbiamo perso un’occasione per aiutare, anche con questo provvedimento, la ripresa. Vi abbiamo inserito delle zeppe che preparano condizioni peggiori in una situazione gia` grave com’e` la crisi che stiamo vivendo. Per questo voteremo contro. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni)
GIULIANO (PdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIULIANO (PdL). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge al nostro esame e` il prodotto di una lunga riflessione ed elaborazione. Sul testo proveniente dall’altro ramo del Parlamento, le Commissioni riunite 1 a e 11 a del Senato hanno infatti svolto un esame particolarmente ponderato, iniziato a novembre 2008 e che, dopo l’acquisizione delle riflessioni e delle opinioni delle organizzazioni sindacali e datoriali, nonche´degli enti, delle associazioni e degli istituti di ricerca interessati, si e` protratto per 21 sedute. Le numerosissime modifiche al testo giunto dalla Camera sono state accolte in seguito alla presentazione di piu` di 400 emendamenti, principalmente d’iniziativa parlamentare. Essendosi l’esame del testo protratto per un periodo assai ampio, e` ovvio che al contempo siano intervenuti vari provvedimenti che il Governo ha posto in essere, con carattere di urgenza, al fine di fronteggiare la crisi economica internazionale, sostenere il reddito dei lavoratori e promuovere la ripresa degli investimenti e dei consumi. Le modifiche introdotte al testo originario hanno dunque avuto anche lo scopo di adeguare il testo alle disposizioni legislative nel frattempo intervenute.
Nel complesso, il disegno di legge reca – in parallelo rispetto agli interventi urgenti gia` effettuati – un’opera piu` meditata di modifica di alcuni istituti giuridici del mercato del lavoro e del processo del lavoro. Al riguardo si tratta peraltro solo di un primo passo, in quanto il provvedimento reca diverse deleghe, oltre a riaprire i termini di alcune deleghe scadute. Tale e` il caso delle deleghe concernenti la revisione della disciplina degli ammortizzatori sociali, il riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione e di apprendistato e la revisione della disciplina in materia di occupazione femminile, che richiederanno sicuramente un’opera di riscrittura di diverse parti della legislazione in materia di lavoro adottata negli ultimi decenni. In particolare, il tema dell’occupazione femminile – e` bene ricordarlo e sottolinearlo – costituisce uno dei problemi principali che deve affrontare il nostro Paese ai fini della crescita del tasso di occupazione e del prodotto interno e, quindi, anche ai fini della sostenibilita` finanziaria, nei prossimi decenni, nonche´ del costo crescente dei sistemi di previdenza sociale e di sanita` pubblica.
Non mi soffermo sugli aspetti riguardanti il mondo del lavoro nel pubblico impiego, che hanno subito anch’essi delle modifiche: il nostro intervento legislativo si e` infatti conformato nel tempo alla riforma attuata dal ministro Brunetta, che, attraverso il decreto legislativo n. 150 del 2009, ha voluto imprimere un segno concreto di efficienza e modernizzazione del nostro apparato amministrativo per renderlo rispondente ai principi di sussidiarieta` e responsabilita` nell’erogazione dei servizi offerti ai cittadini.
Riguardo alle norme immediatamente precettive, desidero pero` sottolineare  le modifiche apportate al cosiddetto decreto Biagi: si tratta, infatti, di modifiche importanti che, nel muoversi nella filosofia di fondo di quel decreto, ne completano pero` il disegno. Un particolare rilievo assume in questo quadro la reintroduzione della possibilita` di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, il cosiddetto staff leasing, uno strumento prezioso che verra` cosı` posto a disposizione soprattutto delle piccole imprese, consentendo loro di accedere a qualificati strumenti gestionali in modo congiunturale, senza doverne pagare gli alti costi operativi.
In conclusione, la struttura del provvedimento, basata sul ricorso alla delega legislativa, appare pienamente motivata dalla complessita` e dalla difficolta` di gran parte della materia cui esso attiene. Cio` permettera` di intervenire, nell’ambito di principi e criteri direttivi fı`ssati dal Parlamento nelle deleghe stesse, in modo mirato ed efficace, con l’adeguata e necessaria duttilita`.
Complessivamente, il provvedimento rappresenta un ulteriore passo in avanti rispetto a quanto gia` contenuto nella cosiddetta legge Biagi, di cui costituisce una conferma ed un completamento al tempo stesso, e presenta punti di forza particolari che costituiscono la traduzione concreta di alcuni impegni qualificanti assunti nel programma di Governo.
I dati recentemente elaborati e resi noti dall’OCSE hanno confermato che, rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia ha saputo affrontare la crisi complessiva con strumenti dotati di una piu` spiccata capacita` di incisione e che dunque essa prima e meglio degli altri si sta avviando verso una fase di segno positivo. Proprio alla stregua di queste considerazioni va letto quel capitolo del provvedimento che si riferisce agli ammortizzatori sociali: un tema, questo, sul quale il Governo si e` mosso con tutta la duttilita` necessitata dall’alluvionalita` della crisi che ha colpito il nostro Paese, resa ancora piu` drammatica dallo scenario devastato dell’intero panorama economico-finanziario del mondo globalizzato.
Il testo assume un particolare rilievo per tutta la parte che rivisita il processo del lavoro, con una particolare enfasi sul ruolo della conciliazione e dell’arbitrato, che accentua e valorizza l’autonomia delle parti contrattuali e sociali. A questo riguardo, a proposito delle osservazioni mosse dal senatore Treu, non posso che rimandare a quanto gia` osservato in tema di intervento su quell’articolo: il principio dell’autonomia privata, che e` uno dei pilastri fondamentali del nostro sistema civilistico, e` stato riaffermato in maniera certa: principio dell’autonomia contrattuale che fa parte del concetto di liberta` inteso in senso ampio e che non conosce limiti, se non quelli che indica lo stesso codice, laddove si parla di autonomia privata che comunque non collida con le norme imperative, con le norme relative all’ordine pubblico e al buon costume. Al di fuori di questi limiti posti dal nostro sistema, l’autonomia contrattuale puo` espandersi nel modo che piu` si crede opportuno. Abbiamo dato voce a questo principio fondamentale, e abbiamo fissato alcuni paletti, per evitare che interpretazioni, sicuramente non condivisibili o per lo meno conflittuali, potessero andare contro il bene fondamentale della chiarezza e della certezza del diritto. E` questo un tema fondamentale sul quale, piu` che ricevere i moniti del centrosinistra, preferiamo prenderci i meriti di questa coraggiosa riforma effettuata. E’ questo un passaggio che senz’altro rappresenta, rispetto alla tradizione italiana, un momento fortemente innovativo, se non addirittura dirompente: si degiurisdizionalizza, in questo modo, un processo la cui introduzione, come ben sanno gli operatori e gli studiosi, fu motivata dall’esigenza di garantire celerita` ed immediatezza, e che a maggior ragione necessita oggi di tempi rapidi. Un altro punto particolarmente qualificante del testo e` rappresentato dalle misure contro il lavoro sommerso che, modificando la disciplina in materia di sanzioni relative all’impiego di lavoro irregolare, si configurano in linea con gli obiettivi preannunciati dal ministro Sacconi all’interno del Libro verde sul futuro del modello sociale. Il target imposto dal Trattato di Lisbona (tasso di occupazione al 70 per cento, con un 60 per cento di occupazione femminile) deve infatti essere inteso come un obiettivo concreto che si realizza solo con la partecipazione dei cittadini ad un mercato del lavoro regolare, che e´ il primo passo verso la «vita buona» di cui si fa menzione nel Libro bianco.
Sono queste le ragioni che spingono il nostro Gruppo a sostenere questo provvedimento. Prima di concludere, signor Presidente, desidero rivolgere un ringraziamento ai senatori membri della Commissione, di maggioranza e di opposizione, che hanno lavorato con grande impegno. Un ringraziamento particolare va ai relatori di minoranza e di maggioranza, per un sistema che sicuramente riceve una profonda innovazione, cio` che e` il primo passo verso la strada cosı` icasticamente disegnata nel Libro bianco del ministro Sacconi. (Applausi dai Gruppi PdL e LNP)