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BRUNETTA REPLICA ALL’EDITORIALE DELL’8 FEBBRAIO

“ATTARDARCI ANCORA INTORNO ALL’ARTICOLO 18 SIGNIFICA NON AVER CAPITO NULLA DI CIO’ CHE ACCADE NEL MONDO. ESSO, PERALTRO, ERA GIA’ SBAGLIATO IN PASSATO”

Replica del ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, pubblicato sul Corriere della Sera del 10 febbraio 2010, al mio articolo dell’8 febbraio [1] – V. in proposito anche gli altri interventi nel dibattito [2], pubblicati sullo stesso quotidiano il 9 febbraio

Caro Direttore, sono contento che il professor Ichino concordi con me nel giudicare il nostro diritto del lavoro sostanzialmente obsoleto e spieghi diffusamente nel suo articolo di lunedì le discriminazioni che esso determina nei confronti dei giovani. Ma poiché mi invita ad andare oltre quella che lui definisce battuta da talk-show, cioè la mia denuncia dello Statuto dei lavoratori che difende i padri ma non i figli, gli voglio ricordare che, in tal modo, si è limitato a guardare il dito e non la luna che veniva indicata.
Indicavo, infatti, una dimensione più generale del problema che non riguarda solo l’equità intergenerazionale. Il mercato del lavoro non è un mercato qualsiasi, non è il mercato del burro. Dietro la difesa dei padri a scapito dei figli, vi è la difesa dell’esistente contro il cambiamento, della conservazione contro l’innovazione, della staticità contro il dinamismo. Non si tratta solo di assicurare un sistema di protezione sociale equo ed ammortizzatori sociali universali ma di avere un sistema capitalistico competitivo e partecipativo allontanandoci da quell’approccio corporativistico che affligge sia il settore privato sia il settore pubblico. Se vogliamo veramente essere la società e l’economia della conoscenza, ebbene questa conoscenza è in gran parte incorporata nelle nuove generazioni, che in media hanno un livello di istruzione superiore a quello delle generazioni passate. Se non vogliamo perdere la sfida che ci lanciano i Paesi emergenti dobbiamo offrire ai nostri giovani, con credibilità, un rendimento adeguato all’investimento in denaro e fatica che la conoscenza e l’istruzione richiedono. Non si tratta di assicurare solo difese e protezione ma le opportunità, che spesso vengono loro negate, di far valere le loro competenze, anche nei confronti dei padri.
Attardarci ancora intorno all’articolo 18, significa non aver capito nulla di ciò che accade nel mondo. Esso era già sbagliato in passato, come ogni norma che crea effetti soglia, perché creava per le imprese incentivi a non crescere. Oggi è necessario andare ben oltre. I giovani competenti hanno bisogno di imprese in cui possano entrare ed uscire con facilità a seconda delle esigenze reciproche, sempre più vicini alle figure professionali e meno a quella del lavoratore dipendente di stampo novecentesco. Si tratta di assicurare un reddito dignitoso e sufficientemente stabile e non un posto fisso. Naturalmente questo non è possibile se non si cambia la posizione di tutti, se non si rompe la vecchia divisione tra gli <CF8122>insider</CF> e gli <CF8122>outsider</CF>, i cui effetti distorsivi sono stati spiegati da decenni di letteratura economica e giuridica. Non è un caso che questi problemi si pongano, oggi, anche tra i giovani ad alta qualificazione, in fondo anch’essi danneggiati dall’egoismo dei loro padri. Questo è l’obiettivo da perseguire. Non è un obiettivo facile, si tratta di una sfida colossale per coloro che devono ridisegnare il diritto del lavoro, ma non è possibile eluderlo.