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POMIGLIANO, LA CLAUSOLA DI TREGUA E LE LENTICCHIE

PROSEGUE IL DIBATTITO SUL CASO DELL’ACCORDO PROPOSTO DALLA FIAT PER IL TRASFERIMENTO DELLA PRODUZIONE DELLA NUOVA PANDA NELLO STABILIMENTO ALLA PERIFERIA DI NAPOLI – DAVVERO ACCETTARE UN PATTO DI TREGUA SINDACALE EFFICACE E’ COME RINUNCIARE ALLA PRIMOGENITURA PER UN PIATTO DI LENTICCHIE?

Lettera di Luigi Mariucci, ordinario di diritto del lavoro all’Università Ca’ Foscari di Venezia e Responsabile Lavoro Pd Emilia Romagna, 3 luglio 2010 – Segue la mia risposta  – Questo scambio fa seguito a un altro scambio di opinioni sullo stesso tema [1] della settimana scorsa e a un mio precedente intervento su lavoce.info [2].

Caro Pietro, nel mio ultimo intervento ho cercato di suscitare la tua sensibilità su un punto estremamente delicato e cruciale. Non ho avuto successo. Ma non mi rassegno e ci riprovo. La discussione tra noi prende spunto dal caso di Pomigliano. È una vicenda certamente rilevante, anzitutto per le persone coinvolte, poi per la drammatica situazione del Meridione e dell’area campana in particolare. Ma il problema che lì viene posto è più ampio. Non attiene a vaghe questioni di principio, ma all’idea che noi abbiamo dello Stato di diritto. Non mi riferisco allo Stato di diritto in generale ma alla concreta situazione dell’Italia di oggi. Non ti nascondo che il versante più rilevante del tema per me non riguarda le questioni lavoristiche, ma altro: proprio l’assetto “costituzionale” della Repubblica italiana. Ma, per stare ai temi lavoristici, faccio due osservazioni alla tua replica. La prima è che tu, in partenza, usi argomenti cavillosi e persino causidici, storpiando il pensiero di Giorgio Ghezzi, il che mi dispiace veramente, e penso anche quello di Giuseppe Pera. Ma della dottrina parleremo un’altra volta. Subito dopo invece ricorri a un gigantesco argomento di sostanza: dici che, in ogni caso, “l’ipse dixit non può bastare contro un mondo intero…”. Qui ti obietto decisamente. Intanto non si tratta di un ipse dixit: ma di una  affermazione razionale, che consiste nel ribadire che la titolarità individuale del diritto di sciopero, salvo limiti, anche penetranti, alle modalità di esercizio (come nel caso dei servizi pubblici essenziali) è parte essenziale del nesso che la Costituzione italiana ha stabilito tra diritti civili e diritti sociali. Questo nesso ha la sua radice, a mio avviso, nel principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost., ancora prima che nell’art. 40 Cost. sul diritto di sciopero. Perciò non possiamo fare come Esaù: vendere una primogenitura, vale a dire un patrimonio valoriale di fondo, per un piatto di lenticchie, vale a dire per esigenze puramente contingenti. Tu oggi, secondo me, rischi di fare un po’ la parte dell’Esaù del diritto del lavoro italiano. Sperando di potere ancora chiarire il nostro reciproco punto di vista, ti saluto cordialmente.
            Luigi

 

Caro Luigi, ti rispondo punto per punto,

   1. Mi accusi di “usare argomenti cavillosi e persino causidici”; qui davvero non so che cosa rispondere, se non con questa definizione tecnica del concetto di “argomento giuridico cavilloso” tratta dal dizionario universale del diritto: “dicesi tale l’argomento dell’avversario quando non si sa come rispondere”.
   2. Dici che storpio il pensiero di Giorgio Ghezzi e quello di Giuseppe Pera; ma anche qui, se non precisi in che cosa precisamente consista il travisamento che mi contesti, mi poni nell’impossibilità di replicare.
   3. Alle citazioni degli scritti Ghezzi e di Pera, comunque, aggiungo quella della trattazione organica più recente sull’argomento di cui stiamo discutendo: la monografia del 2006 (
La titolarità sindacale del diritto di sciopero) nella quale Antonello Zoppoli dimostra – a mio avviso in modo molto convincente – sia la tesi della titolarità sindacale del diritto di sciopero, sia quella dell’idoneità della clausola di tregua a vincolare anche i singoli lavoratori cui il contratto collettivo si applichi. Sto travisando anche questo libro? Se non lo sto travisando, mi concederai che questa tesi è ragionevolmente sostenibile, e non soltanto de iure condendo, ma anche in riferimento al nostro ordinamento attuale.
   4. Sostieni che “la titolarità individuale del diritto di sciopero […] è parte essenziale del nesso che la Costituzione italiana ha stabilito tra diritti civili e diritti sociali” e che “questo nesso ha la sua radice […] nel principio di libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost.”. Ora, non voglio aprire una parentesi, che sarebbe troppo lunga, per mostrare quali e quanti diritti civili siano posti dalla nostra Costituzione, anche in materia di lavoro, senza alcun nesso con la libertà sindacale; ma quand’anche potesse ravvisarsi un nesso indissolubile tra i diritti civili più strettamente collegati al rapporto di lavoro e il principio di libertà sindacale, resterebbe ancora tutto da dimostrare che questo principio implichi necessariamente sia la titolarità individuale del diritto di sciopero, sia la non opponibilità al singolo lavoratore della clausola di tregua, pur se contenuta in un contratto collettivo pacificamente applicabile al suo rapporto di lavoro. Antonello Zoppoli sostiene il contrario e dedica 204 pagine a dimostrarlo; vuoi dedicare almeno dieci righe a confutare la sua tesi e ad argomentare la tua? Finché non lo fai, e non lo fa nessun altro che la pensa come te su questo punto, e tutti continuate a portare come unico argomento la citazione di una monografia di Giorgio Ghezzi del 1963, sarete poco convincenti: il vostro argomento si chiama tecnicamente “
ipse dixit” e come tale vale assai poco.
   5. Quello che indichi come il mio “gigantesco argomento di sostanza”, peraltro, mi sembra rimanga senza risposta nella sua seconda parte. Nel resto del mondo occidentale, la libertà sindacale convive benissimo con clausole di tregua che vincolano sia i sindacati firmatari del contratto, sia i singoli lavoratori cui il contratto stesso si applica. Perché solo da noi questo dovrebbe essere impossibile? Forse che non ci può essere libertà sindacale se non in un regime di conflittualità permanente?
   6. Veniamo alle lenticchie. Mi imputi di incoraggiare i lavoratori italiani, novelli Esaù, affamati di posti di lavoro, a rinunciare alla “non negoziabilità” del proprio diritto di sciopero (la primogenitura) in favore di Marchionne-Giacobbe, in cambio di un piano industriale da 700 milioni (il piatto di lenticchie). Ma ti sei mai chiesto se ai lavoratori italiani serve di più un diritto di sciopero non negoziabile, o un diritto di sciopero che possa essere usato come moneta di scambio utile al tavolo della negoziazione collettiva? Quella che tu consideri la “primogenitura”, ovvero l’irrinunziabilità dello sciopero, è funzionale a un sistema di relazioni industriali caratterizzato dalla conflittualità permanente; ti sembra che questo regime di relazioni industriali, dove è stato applicato, abbia mai portato grandi benefici ai lavoratori? In particolare, ti sembra che l’esperienza dei nostri trasporti pubblici, con il loro immancabile sciopero mensile, sia un’esperienza particolarmente positiva per i lavoratori del settore? Perché mai dovrebbe essere “meglio” per i lavoratori questo regime, rispetto a uno nel quale le controversie circa l’applicazione del contratto, finché esso è in vigore, vengono risolte da un buon collegio arbitrale? (In altre parole: stanno davvero meglio ferrovieri italiani rispetto ai ferrovieri svizzeri?). Infine: se questa pretesa regola – vigente soltanto in Italia – dell’inefficacia del patto di tregua nei confronti dei singoli lavoratori fosse una (e non ultima) tra le cause dell’incapacità grave dell’Italia di attirare investimenti stranieri, cioè fosse un
handicap negativo per i lavoratori italiani nel mercato del lavoro globale, continueresti a considerare quella regola come una preziosa “primogenitura”?
   7. Il mio ultimo intervento su [2]
lavoce.info [2] si concludeva con un altro argomento, al quale continui a non rispondere. Osservavo che centinaia di migliaia di cittadini campani lavorano senza alcuna libertà sindacale e senza alcuna protezione di altro genere nei sottoscala controllati dalla camorra. E chiedevo come si concilia l’intransigente severità nei confronti del piano proposto da Marchionne con la generosissima indulgenza che pratichiamo nei confronti di quelle aziende operanti al nero (che sarebbe facilissimo, sul piano amministrativo, individuare e chiudere, se davvero lo volessimo). Su questo punto non hai nulla da dire?
            Pietro