BOTTA E RISPOSTA CON LUIGI MARIUCCI SULLA CLAUSOLA DI TREGUA

IL DISSENSO DI LUIGI MARIUCCI: “LA CLAUSOLA DI TREGUA VINCOLA SOLO IL SINDACATO MA NON I SINGOLI LAVORATORI” – LA MIA REPLICA: L’IPSE DIXIT NON BASTA CONTRO UN MONDO INTERO CHE FUNZIONA IN UN ALTRO MODO E CONTRO LA NECESSITA’ VITALE DEL SINDACALISMO CONFEDERALE DI VOLTAR PAGINA RISPETTO ALLA PRASSI DELLA CONFLITTUALITA’ PERMANENTE

Lettera di Luigi Mariucci, Responsabile Lavoro Pd per l’Emilia Romagna, pervenuta il 27 giugno 2010 – Segue la mia risposta – – In argomento v. anche il mio editoriale per la Newsletter n. 108, del 21 giugno 2010, contenente i link ad alcuni scritti miei e di altri su questi temi 

Caro Pietro,
mi stupisce che tu non colga la portata problematica del punto 15 del c.d. accordo di Pomigliano (che a mio giudizio costituisce piuttosto un regolamento aziendale sottoscritto per accettazione): quella in cui i comportamenti difformi dei singoli (ivi incluso lo sciopero) vengono qualificati come illeciti passibili di sanzioni disciplinari fino al licenziamento. Dovresti ben conoscere la sterminata letteratura giuslavoristica in materia di clausole di tregua, a partire dagli studi di Giorgio Ghezzi.Quelle clausole sono state considerate legittime, fin dalla “contrattazione articolata” del 1962-63, proprio in quanto tali da vincolare le parti collettive, e non i singoli. Ciò riguarda prima ancora che l’art.40 cost. (sul diritto di sciopero) l’art.39 cost. sulla libertà sindacale. C’è una precisa ragione per  cui in Italia lo sciopero è stato considerato un “diritto individuale ad esercizio collettivo”. Il motivo riguarda la sfera giuridica e la situazione di fatto. In regime di pluralismo sindacale lo sciopero non può essere monopolio di alcun singolo sindacato: questo fa la differenza storico-giuridica, per fare un esempio, tra l’Italia e la Repubblica Federale Tedesca. Dunque lo sciopero in Italia si può limitare nelle sue modalità di esercizio, non nella sua titolarità. La legge sui limiti dello sciopero nei servizi pubblici essenziali ne è la controprova: lì, con intervento di legge, si limitano appunto le modalità di esercizio dello sciopero, non la titolarità del diritto.La questione non è di “lana caprina”, come tu obietti alle fondate osservazioni di Stefano Liebman, ma riguarda una questione di fondo: attiene all’idea che abbiamo dello Stato di diritto e del rapporto tra diritti civili e diritti sociali. Non a caso Gino Giugni diceva che quello della titolarità individuale del diritto di sciopero era un “dogma fondato sulla ragione”.
Luigi Mariucci

     Questo intervento di Luigi Mariucci è molto interessante perché fonda la tesi della inopponibilità della clausola di tregua ai singoli lavoratori (non tanto sull’articolo 40 della Costituzione, quanto) sull’articolo 39, che sancisce il principio di libertà sindacale. A questo argomento, però, è agevole obiettare che l’articolo 39 non vieta affatto che un contratto collettivo si applichi anche a un lavoratore non iscritto al sindacato stipulante. Pur in assenza di una disposizione che preveda e regoli l’estensione erga omnes dell’efficacia del contratto collettivo, questo può applicarsi anche ai non iscritti che lo accettino, o facciano rinvio ad esso mediante il contratto individuale. Così, per esempio, il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici si applica anche ai lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti, perchè i rispettivi contratti individuali rinviano ad esso. E da tempo dottrina e giurisprudenza giuslavoristiche hanno pure riconosciuto come il rinvio “al c.c.n.l.” ben possa intendersi quale rinvio “alla contrattazione collettiva” gestita dalle stesse associazioni imprenditoriali e sindacali: onde anche il contratto aziendale stipulato da tutti i sindacati firmatari del contratto nazionale deve considerarsi applicabile a tutti i lavoratori cui quest’ultimo si applichi. Tutto questo non collide in alcun modo con  la libertà sindacale del lavoratore: il quale è e resta  libero di iscriversi al sindacato che preferisce e, al tempo stesso, di prestare il proprio consenso negoziale all’applicazione del contratto collettivo in ipotesi stipulato da altri sindacati.
     Questo essendo il quadro giuridico, che cosa impedisce di pensare che l’intera normativa prodotta dalla contrattaione collettiva, cui il lavoratore abbia prestato la propria adesione, ivi compresa l’eventuale clausola di tregua sindacale, si applichi anche nel rapporto individuale di lavoro? Questo è ciò che è stato sostenuto in passato da un giuslavorista autorevole – e universalmente considerato come un grande maestro di buon senso giuridico – come Giuseppe PERA. E non significa affatto ammettere un monopolio, né della contrattazione, né della proclamazione dello sciopero, a favore di alcuna coalizione sindacale.
     D’accordo: Giorgio GHEZZI, nella sua monografia sulla responsabilità contrattuale delle organizzazioni sindacali del 1963, ha invece sostenuto che la clausola di tregua non può vincolare i singoli lavoratori; e molti altri giuslavoristi meno autorevoli di lui hanno aderito a questa tesi. Ma lo stesso GHEZZI ha più recentemente riconosciuto che, nel campo di applicazione della legge n. 146/1990 (servizi pubblici) la violazione della clausola di tregua genera responsabilità anche in capo al singolo lavoratore nel suo rapporto con l’imprenditore (G. GHEZZI, U. ROMAGNOLI,
Diritto sindacale, 4a ed., 1997, p. 150): anch’egli, dunque, riconosce che non vi è alcun ostacolo, né concettuale, né costituzionale, a una costruzione della clausola di tregua come vincolante anche per il singolo lavoratore cui il contratto collettivo si applichi.
     D’altra parte, l’
ipse dixit non può bastare contro un mondo intero in cui le clausole di tregua contenute nel contratto collettivo si applicano pacificamente anche ai lavoratori rientranti nel suo campo di applicazione (possiamo forse sostenere che la libertà sindacale esiste soltanto in Italia e non nel resto d’Europa?); né può bastare di fronte alla constatazione delle conseguenze assurde cui l’impostazione difesa da Luigi Mariucci conduce, come quella della frequenza mensile dello sciopero in tutti i comparti dei trasporti, anche nel periodo immediatamente successivo al rinnovo del contratto (rinvio in proposito, anche per i riferimenti comparatistici e dottrinali, al quarto capitolo del mio libro A che cosa serve il sindacato?). Né l’ipse dixit può obbligare il sindacato confederale a continuare a difendere una tesi giuridica che è rovinosa per il sindacato stesso, privilegiando altre formazioni sindacali fautrici della conflittualità permanente.
     Per concludere, a me sembra che:
  1)  l’affermazione secondo cui la clausola di tregua può appartenere soltanto alla “parte obbligatoria” e non alla “parte normativa” del contratto collettivo non ha alcun sostegno di rango costituzionale, onde il legislatore ordinario ben può disporre con norma generale nel senso della vincolatività di quella clausola per i singoli rapporti di lavoro rientranti nel campo di applicazione del contratto collettivo, come ha già fatto nel settore dei servizi pubblici essenziali;
   2) l’affermazione secondo cui la clausola di tregua può appartenere soltanto alla “parte obbligatoria” e non alla “parte normativa” del contratto collettivo non ha alcun sostegno neppure nella legge ordinaria oggi vigente, onde la contrattazione collettiva ben può, nella propria funzione di regolazione dei rapporti individuali, validamente prevedere che la clausola stessa vincoli anche i singoli lavoratori cui si estende il campo di applicazione del contratto.

     Quest’ultima tesi è, certo, opinabilissima; ma altrettanto opinabile è la tesi contraria.    (p.i.)

 

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