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IGNAZIO MARINO E IL PERSEVERARE DIABOLICUM

L’ASSOLUZIONE GIUDIZIALE SIGNIFICA CHE L’ACCUSA NON È STATA IN GRADO DI DIMOSTRARE LA SUSSISTENZA DI UN REATO, MA RESTA TUTTA INTERA LA GRAVISSIMA INOPPORTUNITÀ POLITICA DI ALCUNI SUOI COMPORTAMENTI

Terzo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 409 – In argomento v. anche L’Ignazio Marino per cui votai al congresso del 2009 [1]  

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ignazio-marinoNutro per Ignazio Marino personale simpatia; e nel 2009, quando nel congresso PD si candidò per contendere la segreteria nazionale a Bersani e Franceschini, votai per lui perché era l’unico dei tre a condividere integralmente il mio progetto di riforma del diritto del lavoro (fu tra i primi a sottoscrivere il mio disegno di legge per il Codice semplificato del lavoro [2]). Mi sembra però fuori luogo l’esultanza dell’ex-sindaco di Roma – come quella dell’ex-Governatore del Piemonte Cota – per l’assoluzione dall’imputazione penale di peculato,  e ancor più la decisione, che egli ha annunciato come conseguente a quell’assoluzione, di tornare nell’agone politico per prendersi una rivincita. Il proscioglimento in sede penale significa che l’accusa non è stata in grado di dimostrare la sua responsabilità per peculato nella vicenda delle cene al ristorante pagate con la carta di credito comunale; ma resta tutta intera la grave inopportunità politica non solo di alcune di queste, bensì anche delle sue troppo frequenti trasferte e lunghe permanenze oltre Atlantico mentre a Roma accadeva di tutto.Bergoglio e Marino Per non parlare della situazione, che definire imbarazzante è dire poco, di un sindaco di Roma che, proprio in riferimento a una di quelle trasferte, la giustifica con un invito personale del Sommo Pontefice, per vedersi poi pubblicamente ed esplicitamente smentito, e non da un portavoce ma – cosa mai vista in precedenza – dal Vescovo di Roma in persona. Il ritorno in campo di Ignazio Marino motivato con il proscioglimento giudiziale è un’ennesima manifestazione di dipendenza della politica dall’amministrazione giudiziaria. Di una politica incapace di vedere i propri errori, come dovrebbe, molto prima che di essi arrivi a occuparsi un giudice.

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