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LA SERENITÀ, LA MISURA, L’OTTIMISMO E IL CORAGGIO

Il difficile itinerario della restituzione delle fortune, dei benefici, dei privilegi goduti, e il suo bilancio

 

L’8 giugno 2018, nel corso di un incontro svoltosi nel giardino davanti al Centro dell’Incisione (di cui sono l’anima Gigi e Gabriella Pedroli), mia figlia Giulia e io abbiamo parlato de La casa nella pineta [1]: di come è nato il libro, dei personaggi di cui esso parla e delle loro vicende lungo l’itinerario di una difficile “restituzione di ricevuto”, e pure del diverso vissuto suo e mio a questo proposito. Era presente anche il professor Antonio Padoa Schioppa, già Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano, dal quale il giorno dopo ho ricevuto il messaggio qui riprodotto, cui ne ha fatto seguito un secondo il 12 giugno. Sull’incontro dell’8 giugno v. anche la lettera di Cinzia Rigatti Don Milani e i licenziamenti [2].
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Caro Pietro,

l’incontro di ieri è stato davvero un momento bello e intenso.

Antonio Padoa Schioppa, in prima fila al centro (terzo da sinistra), nel corso della presentazione de “La casa nella pineta”

Desidero dirti che la tua valutazione delle indubbie vittorie (storiche vittorie) che le tue posizioni hanno ottenuto e stanno ottenendo nel tempo è certamente fondata. Ma bisogna pur aggiungere che  nel capitolo della “restituzione dei benefici ricevuti” vanno conteggiati anche  i rischi gravi che tu hai corso negli anni (rischi di vita); e forse ancor più l’ostracismo non privo di punte acute  di acredine da parte di tanti colleghi,  intellettuali, politici e sindacalisti. Per resistere a queste offensive ricorrenti  mantenendo la serenità e la misura che sono le tue cifre di sempre ci voleva molto coraggio. Né bastava  quello che tua figlia Giulia ha chiamato il tuo ottimismo innato.

Tu ieri, per modestia, di tutto ciò non hai fatto cenno. Ma di  questo tuo coraggio io sono ben consapevole (e certo non solo io). E  desidero esprimenti un grazie!

Antonio

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UNA SECONDA LETTERA DI ANTONIO PADOA SCHIOPPA

Il professor Antonio Padoa Schioppa

Caro Pietro,

permettimi di aggiungere alcune pennellate al  mio bozzetto, che hai gentilmente pubblicato ieri. E che a mio avviso hanno forse una valenza più generale, che non riguarda solo il tuo caso:

a) la tua opera  di  scavo scientifico e di proposta sulle riforme del diritto del lavoro si basa su due elementi che la cultura universitaria  per lo più sottovaluta o trascura: la conoscenza diretta della realtà che si vuole  scandagliare: e la conoscenza altrettanto diretta delle esperienze straniere;  per chi pratica queste due strade, i risultati dell’indagine scientifica sono molto più importanti e  innovativi;

b) quando si crede che qualcosa di consolidato (nelle leggi, nella prassi) vada cambiato, e per di più su un terreno scottante come il diritto del lavoro, ci si deve attendere una reazione tanto più forte quanto più le tesi di chi scrive sono solidamente  motivate; tu questo lo hai sperimentato sulla tua pelle; di qui la necessità del coraggio per andare avanti, che tu hai dimostrato;

c) all’opera di scavo scientifico e di proposta tu  hai affiancato l’impegno politico diretto in parlamento, che è stato in più momenti determinante; la traduzione in legge  di molte tue idee è stata compiuta da altri, non da te, anche se chi è informato sa bene quale ne sia la fonte vera (io da storico del diritto sono sensibile alla distinzione tra fonti di superficie e fonti reali..). Purtroppo altre tue iniziative non hanno per ora avuto la sorte positiva che avrebbero ben meritato;  penso in primo luogo alla drastica semplificazione normativa, che tu hai dimostrato possibile per la tua disciplina e che richiede doti eminenti e molto peculiari  di giurista, che pochi possiedono;

d) infine, la tua attività in Parlamento ha presentato caratteristiche di trasparenza e di capacità informativa e comunicativa eccezionali, attraverso ls tua Newsletter e con le interviste; questa è democrazia rappresentativa  autentica, in un contesto in cui la democrazia rappresentativa è in crisi ovunque, non certo solo in Italia.

Quest’ultima considerazione  mi  fa ritenere che nel necessario ripensamento, sempre più urgente, di riforme delle democrazie rappresentative non sia forse auspicabile  un modello esclusivamente fondato su collegi uninominali: perché rischierebbe di escludere chi, come nel tuo caso, si è conquistato una platea di estimatori trasversale sul territorio nazionale; i moderni mezzi di comunicazione hanno alterato il rapporto tradizionale  tra  rappresentanti e territorio. O no?

Un caro saluto,

Antonio

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