DON LORENZO MILANI E I LICENZIAMENTI

Il dibattito sul divieto morale di questa sanzione disciplinare, considerata come una pena di morte per il lavoratore, sessant’anni dopo l’invettiva del Priore di Barbiana originata da un episodio verificatosi nello stabilimento della Pirelli Bicocca

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Lettera pervenuta il 9 giugno 2018 – Sull’incontro di venerdì al Centro dell’Incisione di Milano v. anche la lettera di Antonio Padoa Schioppa – Gli altri commenti, recensioni, lettere e articoli riferiti a
La casa nella pineta sono raccolti nella pagina web dedicata al libro .
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Qui e sotto, due immagini dell’incontro dell’8 giugno al Centro dell’Incisione

Caro professor Ichino,
ero tra il pubblico ieri, alla presentazione del suo libro al Centro dell’Incisione. Per prima cosa vorrei ringraziarla per l’ora di intenso godimento spirituale che lei e Giulia ci avete regalato. Non so se fosse più la magia di quel luogo, con la luce del sole al tramonto che filtrava tra il verde della vite canadese, o la magia di quel dialogo tra padre e figlia sulle cose che veramente contano nella vita; è un fatto che quell’atmosfera mi è rimasta piacevolmente impigliata nei capelli e a un giorno di distanza me ne resta l’incanto.
Le scrivo però anche perché, come cultrice appassionata degli scritti di don Lorenzo Milani, mi ha particolarmente interessato il discorso sulla sua reazione al licenziamento verificatosi nello stabilimento Pirelli che eravate andati a visitare durante la “gita di classe” milanese della Scuola di Barbiana. Le risulta che la lettera di don Lorenzo a suo padre, riportata nel libro, abbia avuto qualche risposta, allora, da parte di Elena Pirelli, amica di entrambi? E ha notizia di qualche dibattito che quella lettera abbia suscitato? Ancora grazie e un cordiale saluto
Cinzia Rigatti

Nelle carte dei miei genitori, i quali raccoglievano con grande attenzione tutti i documenti riguardanti la predicazione del Priore di Barbiana e i loro rapporti con lui, non ho trovato alcuna traccia di una risposta, verbale o scritta, di Elena Brambilla Pirelli sul tema di quel licenziamento. Sullo stesso tema, che è al centro della lettera di don Milani a mio padre cui C.R. si riferisce, sono tornato nell’intervento al convegno svoltosi a Roma il 6 aprile 2017, La passione di don Lorenzo Milani, e nella risposta a una lettera che poneva la domanda Come si concilia don Milani con il liberalismo. Va ricordato, a proposito del discorso di allora sui licenziamenti, che negli anni ’50 don Milani poteva parlare della sanzione inflitta dalla Pirelli a quell’operaio come di una “pena di morte” anche perché l’Italia stava ancora trasformandosi da economia prevalentemente agricola in economia industriale: il mercato del lavoro aveva la tipica struttura del monopsonio strutturale; inoltre la legge non offriva alcuna protezione al lavoratore (neppure il diritto al contraddittorio) contro i provvedimenti disciplinari arbitrari o di rappresaglia; e a chi perdeva il posto il sistema offriva un trattamento miserevole: un’indennità giornaliera di poche decine di lire, che durava poche settimane. Va considerato anche il tessuto produttivo degli anni ’50, caratterizzato rispetto a quello attuale da un ritmo enormemente più lento di obsolescenza dei prodotti e delle tecniche applicate per produrli: era normale che un lavoratore entrasse in una fabbrica con l’idea che quello potesse essere il luogo del suo lavoro per tutta la vita. La rivendicazione da parte di don Milani di una protezione molto forte della stabilità del lavoro, sostanzialmente equiparabile a quello che oggi indicheremmo come un regime di job property, si collocava in questo contesto economico-istituzionale. A più di mezzo secolo di distanza, in un contesto economico molto più evoluto e caratterizzato da ritmi di obsolescenza del tessuto produttivo enormemente più rapidi, per un verso la mobilità del lavoro diventa un valore positivo per il benessere degli stessi lavoratori, per altro verso i vecchi strumenti di protezione del lavoro si trasformano facilmente in difese aggiuntive degli insiders contro la concorrenza degli outsiders: l’esatto contrario dell’antica “solidarietà di classe”. Oggi la protezione della sicurezza economica e professionale del lavoratore non può più essere perseguita con una sorta di ingessatura del suo posto di lavoro, ma deve basarsi su di una solida garanzia, per il caso di licenziamento, della continuità del reddito e di una assistenza efficace nella transizione dalla vecchia occupazione alla nuova. Questa è la nuova frontiera del diritto del lavoro.   (p.i.)

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