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CINQUE DOMANDE ALLA MINISTRA DEL LAVORO

Quanto e come il Governo intende investire sulle politiche attive del lavoro? Qual è il bilancio dell’attività dell’ANPAL nell’ultimo anno e mezzo? Come valuta il Governo l’esperimento di smart working apicale transatlantico del presidente dell’ANPAL? Quale contributo intende dare l’Amministrazione del Lavoro alla ripresa, dopo l’epidemia?

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Un deputato mi ha chiesto di dargli una mano per la preparazione del suo intervento nella discussione che si svolgerà domani, 16 aprile 2020, alla Camera con la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo sulle misure di politica del Lavoro che il Governo si appresta a varare in funzione della prossima fase di necessario rilancio della produzione; ne sono nati gli appunti che qui riporto integralmente
In argomento v. gli interventi richiamati nel testo con altrettanti link .
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La senatrice Nunzia Catalfo, oggi ministro del Lavoro

1. Quanto investiamo nelle politiche passive del lavoro e quanto nelle politiche attive? – Nelle prossime settimane dovremo fronteggiare la crisi occupazionale peggiore in cui l’Italia si sia trovata da un secolo a questa parte. Ma avremo il vantaggio di poterla fronteggiare con una disponibilità di risorse finanziarie di gran lunga maggiore rispetto al passato. La prima domanda che pongo alla ministra del Lavoro è questa: qual è il rapporto tra le risorse che lei intende destinare alle politiche del lavoro passive (sostegno del reddito ai disoccupati permanenti o temporanei, in forma di Naspi, Cig nelle sue varie forme, sussidi agli autonomi, Reddito di Cittadinanza) e le risorse che lei intende destinare alle politiche del lavoro attive (servizi di formazione mirata agli sbocchi occupazionali esistenti, dispositivi di controllo capillare dell’efficacia della formazione impartita, servizi di orientamento professionale per gli adolescenti e servizi distinti per gli adulti, servizi di assistenza alla mobilità geografica delle persone e delle famiglie quando richiesto per ragioni occupazionali, servizi di assistenza intensiva alle persone in difficoltà nella ricerca della nuova occupazione)?

Ricordo, a questo proposito, che nell’ultimo decennio questo rapporto è stato di 100 a 1: più precisamente, 20 miliardi di euro circa per le politiche passive (non computandosi in questo dato il sostegno del reddito sorretto da un rapporto assicurativo), 200 milioni circa per le politiche attive. Questo rapporto aveva incominciato a migliorare soltanto nel triennio 2015-2017 per effetto del Jobs Act, ma il miglioramento è stato subito azzerato fin dall’inizio di questa legislatura.

2. Il problema delle situazioni di skill shortage e del controllo dell’efficacia della formazione professionale finanziata con denaro pubblico – Ricordo alla ministra del Lavoro che ancora nel dicembre 2019 venivano censiti nel nostro Paese 1,2 milioni di posti di lavoro qualificato o specializzato che restavano permanentemente scoperti [2] per l’incapacità delle imprese di trovare persone con le attitudini necessarie per ricoprirli: le cosiddette situazioni di skill shortage (indagine Anpal-Unioncamere 2019). Per anni abbiamo sprecato in formazione professionale poco utile i molti miliardi erogati dal Fondo Sociale Europeo, spesi senza alcun controllo sull’efficacia della formazione impartita, cioè sul tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi. È presumibile che lo stesso problema costituito da numerosissime situazioni di skill shortage si ripresenterà alla ripresa, fortemente acuito dal turnover delle imprese causato dallo shock dell’epidemia. Come intende il Governo utilizzare gli ingentissimi fondi (resi disponibili per questo scopo ancora una volta dalla UE, in misura enormemente superiore rispetto al recente passato) di cui disporrà per attrezzare il nostro tessuto produttivo con un sistema di formazione professionale prevalentemente dedicato a risolvere il problema delle situazioni di skill shortage, con percorsi mirati specificamente a ciò di cui le imprese hanno bisogno, organizzati in cooperazione con le aziende stesse? Il decreto legislativo n. 150/2015 [3], attuativo della delega contenuta nel Jobs Act, prevedeva l’istituzione di un sistema di monitoraggio capillare dell’efficacia della formazione professionale finanziata con denaro pubblico, basato sull’incrocio tra i dati di una anagrafe della formazione professionale, che avrebbe dovuto essere istituita, e i dati delle Comunicazioni Obbligatorie al ministero del Lavoro. Più precisamente:

Art. 13Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro (nel quale cooperano ministero del Lavoro, ANPAL, ISFOL – ora INAPP – e INPS): tra i suoi compiti «monitorare gli esiti occupazionali dei giovani in uscita dai percorsi di istruzione e formazione»

Art. 14Fascicolo elettronico del lavoratore e coordinamento dei sistemi informativi, «al fine di garantire l’interconnessione  sistematica delle banche dati in possesso del ministero del Lavoro, dell’ANPAL, dell’INAIL e dell’ISFOL – ora INAPP – e dell’INPS»

Art. 15Sistema informativo della formazione professionale

Art. 16Monitoraggio e valutazione

Questo meccanismo, che costituiva una anticipazione – concordata tra Stato e Regioni – della riforma costituzionale che avrebbe dovuto entrare in vigore di lì a poco, è stato invece azzerato dalla bocciatura referendaria della riforma costituzionale, col risultato che il problema del controllo dell’efficacia della formazione professionale è rimasto irrisolto. In Italia ancora manca quasi dappertutto il dato del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi. Come intende la ministra del Lavoro ora affrontare questo problema cruciale per la lotta alla disoccupazione e per una politica del lavoro coerente con le esigenze di un rapido ritorno alla crescita? In altre parole, come intende agire per dotare il Paese del meccanismo di monitoraggio capillare della qualità della formazione professionale [4] oggi clamorosamente mancante?

3. Qual è il bilancio delle politiche del lavoro praticate in questa legislatura? – Anche alla luce delle considerazioni sopra esposte, quale bilancio trae la ministra del Lavoro, in particolare, del primo anno di operatività dei 6000 “navigator” assunti col compito di facilitare l’accesso al lavoro dei fruitori di reddito di cittadinanza?

Non pensa la ministra che forse sia il caso di studiare il funzionamento dei migliori servizi per l’impiego del Centro e del Nord-Europa, dove i Job Advisors cui è affidato questo compito sono persone che hanno fruito di due o tre anni di formazione specialistica per svolgerlo?

Come intende la ministra colmare il gap tra competenze richieste dal tessuto produttivo e competenze di cui il personale esistente in questo comparto effettivamente dispone?

4. Un bilancio dell’operato dell’ANPAL nell’ultimo anno e mezzo – Quale contributo progettuale e operativo sta dando, su questo terreno, l’ANPAL? E quale contributo, in particolare sta dando il suo presidente Parisi, che risulta attualmente tornato a risiedere negli U.S.A.? Dobbiamo considerarlo un caso particolare di smart working apicale transatlantico?

Come intende il ministro valorizzare le competenze che in questo campo dispongono le numerose agenzie private operanti nel campo della ricerca, selezione, formazione e/o somministrazione di personale?

5. Che cosa intende fare il Governo sul fronte della cooperazione tra servizio pubblico e rete dei servizi gestiti da operatori privati? – A proposito di cooperazione tra sistema pubblico e servizi privati per l’impiego, uno dei primi atti compiuti dalla ministra Nunzia Catalfo, appena assunta la carica nell’autunno 2018, fu di bloccare la sperimentazione dell’assegno di ricollocazione [5], istituito dal Jobs Act e regolato dal già citato d.lgs. n. 150/2015 proprio per realizzare una forma di cooperazione virtuosa tra la rete dei Centri per l’Impiego e gli operatori privati, con un sistema di retribuzione del servizio reso a mezzo di voucher pagabili a risultato occupazionale ottenuto. Più precisamente, la scelta fu quella di limitare l’utilizzabilità dell’assegno di ricollocazione ai soli beneficiari del reddito di cittadinanza [6], così limitando il campo di operatività di questo strumento a una platea di persone per le quali lo strumento stesso può essere scarsamente operativo ed è per lo più del tutto inefficace. Qual è il bilancio che la ministra trae di questa scelta compiuta a fine 2018? Quali indicazioni la ministra stessa trae da questo bilancio, per il prossimo futuro?

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