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ANCORA SU “I SOMMERSI E I PRIVILEGIATI”

Il privilegio indebito dei dipendenti pubblici sta nella non responsabilità per i risultati del loro lavoro, che non vengono rilevati, e nell’invariabilità dello stipendio qualsiasi cosa accada – Correggere questa stortura sarebbe possibile, ma manca la volontà politica di farlo

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Intervista a cura di Federico Novella, pubblicata su
La Verità il 23 novembre 2020 – In argomento v. anche la mia intervista pubblicata lo stesso giorno su Libero, Il lavoro che già oggi ci sarebbe e che sprechiamo [1]; inoltre quella a l’Unione Sarda del 18 novembre, Garantire il lavoro vero, tra pubblico e privato [2]
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[3]Professor Ichino, dicono che ce l’ha con i dipendenti pubblici.
Chi dice questo vuole solo impedire che si discuta delle questioni molto serie che pongo sul funzionamento delle amministrazioni, particolarmente durante la pandemia.

Lo smartworking è stato un fallimento?
Nella maggior parte dei casi quello che al ministero della Funzione pubblica chiamano smart working ha nascosto la pura e semplice sospensione dell’attività: la stessa ministra, a giugno, ha ammesso che metà delle posizioni non è “smartabile” (copyright della stessa) . Ma ho sempre detto che ci sono anche tanti dipendenti pubblici, e non soltanto medici e infermieri, che in questo periodo lavorano il doppio di prima. La difesa del prestigio della funzione pubblica passa dalla correzione delle disfunzioni.

Le obiettano: “se hai dati, esibiscili; se non li hai, di che cosa stai parlando?”
I dati che ho io sono quelli che hanno tutti i cittadini-utenti: uffici inaccessibili, tempi di evasione delle pratiche in costante aumento. Ma quello che sostengo è che i dati analitici sul funzionamento effettivo delle amministrazioni, in particolare in questi mesi di lockdown, dovrebbe essere il ministero della Funzione Pubblica a fornirli.

Allora perché se la prendono con lei?
Perché non ammettono che si distingua chi lavora da chi non lavora. Invece è proprio questo ciò di cui le nostre amministrazioni hanno più bisogno: della capacità di distinguere.

Il ministero della Funzione Pubblica non è riuscito a fare ordine?
Metà delle prestazioni non sono “smartabili”, ci ha detto il ministero; però appena è scattato di nuovo il lockdown si è tornati a dichiarare che i dipendenti sono tutti, o quasi, “in smart working”. Hanno chiuso gli occhi sul letargo delle amministrazioni, molte delle quali non rispondono neanche al telefono, sono inaccessibili da remoto, mentre i ritardi nell’evasione delle pratiche raddoppiano o triplicano.

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La ministra della Funzione pubblica Fabiana Dadone

Almeno sugli effetti di questo nuovo lockdown c’è un po’ più di trasparenza?
No. La cosa più inaccettabile è proprio questa: che ancora oggi il ministero non sia in grado di dire con precisione quali amministrazioni sono attrezzate per l’accessibilità dei propri dati da chi ne ha necessità per svolgere la propria funzione, quali e quante sono le funzioni che effettivamente già oggi possono essere svolte da remoto, quanti dipendenti pubblici possiedono l’attrezzatura e la connessione necessarie.

Sul piano dei contraccolpi economici della pandemia, lei ha distinto tra “sommersi” e “privilegiati”.
Il privilegio sta nella non responsabilità, e nell’invariabilità dello stipendio, qualsiasi cosa accada. Che cosa sappiamo di quanto e come hanno lavorato negli ultimi otto mesi l’Agenzia delle Entrate, gli Ispettorati, le Sovrintendenze, o la Motorizzazione civile? Ci hanno detto che i dipendenti “esonerati” dal lavoro sono pochissimi; ma chi si è curato di verificare quanti dei non esonerati stanno effettivamente lavorando da casa e quanti invece sono “esonerati di fatto”?

È pensabile che anche ai dipendenti pubblici venga esteso un trattamento sul genere della Cassa integrazione guadagni?
La riduzione della retribuzione quando la prestazione è sospesa è prevista dal Testo Unico del pubblico impiego, all’articolo 33. Ma occorrerebbe la volontà politica di applicare questa norma. Sarebbe una scelta di equità: non si capisce perché di fronte a una catastrofe come questa pandemia le sospensioni del lavoro nel pubblico e nel privato non debbano avere lo stesso trattamento. Ciò che lo Stato risparmierebbe potrebbe essere destinato a sostegno dei medici e degli infermieri in prima linea, o degli insegnanti che fanno davvero la didattica a distanza.Ma anche per questo occorrerebbe una capacità di distinguere, che manca.

Il letargo delle amministrazioni aggrava la crisi economica?
Certo: ostacola la ripresa. Gli imprenditori e i lavoratori che a maggio si sono arrabattati per riaprire tra mille difficoltà e costi aggiuntivi, quando vedono gli uffici pubblici che restano chiusi, percepiscono una sorta di differenza di casta: da una parte chi è esposto alla perdita del reddito, e rischia ogni giorno, dall’altra la casta di quelli il cui lavorare o no è una variabile indipendente, così come il loro stipendio.

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Il segretario del Pd Nicola Zingaretti

Lei è ancora iscritto al Pd. Cosa rimprovera alla dirigenza del suo partito?
Di non avere la capacità e la volontà di esercitare un controllo sul funzionamento della macchina pubblica.

Occorre salvare le vite, ma anche i voti?
Questo purtroppo vale per tutti i partiti, a destra e a sinistra. Ma mi brucia che il mio partito non sappia farsi garante di chi lavora, che implica anche saperlo distinguere da chi non lavora.

Qualcuno, tuttavia, ha osservato che le amministrazioni locali rispondono mediamente più di quelle statali.
È vero. Proprio nelle amministrazioni comunali, soprattutto nel centro-nord, si osservano alcuni esempi straordinari di efficienza, di inventiva, di capacità di mantenere aperti i canali di comunicazione con la cittadinanza. Ma anche di questo il ministero non si occupa.

Dunque bisognerebbe distinguere anche tra amministrazioni virtuose e non?
Perché non è disponibile un confronto tra le amministrazioni delle grandi città per quel che riguarda l’accessibilità da remoto dei servizi? E poi, possibile che nel comune di Roma a fruire dei permessi per parente disabile siano quasi 7mila dipendenti su 23mila, cioè il 29 per cento, mentre nei comuni di Milano o di Bergamo la percentuale è poco più della metà?

[6]Che ne pensa dello sciopero generale del pubblico impiego fissato per il 9 dicembre?
C’è chi ha denunciato in questo sciopero una manifestazione di insensibilità verso le sofferenze di tanta parte della società civile. Io ci vedo anche un errore clamoroso proprio dal punto di vista degli interessi sindacali dei dipendenti pubblici: lo sciopero rischia, paradossalmente, di sottolineare la non rilevanza del loro essere in servizio o no.

All’Inps per effetto di questa crisi il rosso è cresciuto di due miliardi. La tenuta del sistema pensionistico è a rischio?
Questo deficit verrà coperto dallo Stato  con le risorse che ci offre la UE. Ma già prima di questa catastrofe il nostro sistema pensionistico era minato da uno squilibrio strutturale, nonostante che la legge Fornero avesse eliminato le cause di squilibrio precedenti. L’Istat ci dice che, quanto a popolazione attiva, stiamo perdendo circa 300 mila italiani ogni anno, che in 20 anni fanno circa uno su dieci. Basta molto meno per mandare a gambe all’aria anche un sistema pensionistico più solido del nostro.

L’Inps dispone di 18 mila immobili inutilizzati. Perché non si vendono?
Quello degli immobili pubblici che andrebbero dismessi è un problema generale. Ma sono operazioni che richiedono anni: la nostra politica ha orizzonti molto più ridotti.

Intanto la prossima legge di bilancio prevede un rafforzamento del reddito di cittadinanza.
Sarebbe anche una misura giusta, se non restasse apertissimo il problema dell’incentivo al non lavoro, o al lavoro in nero, che non viene neanche affrontato.

Insomma, il reddito di cittadinanza, se resta così, è assistenzialismo deteriore?
Ora siamo nel pieno del festival del sussidio, quindi dell’assistenzialismo ci preoccupiamo poco. D’altra parte, va anche detto che nella crisi spaventosa che stiamo vivendo questo strumento di assistenza tutto sommato ha evitato lacerazioni sociali più gravi.

[7]Come si concilia la lotta alla pandemia con la sopravvivenza economica?
La scelta più sostenibile economicamente, appena avremo superato questa seconda ondata, è quella di separare dove possibile i giovani dagli anziani.

Ci spieghi come.
Per esempio facendo tornare a scuola i ragazzi con i docenti  under50 e facendo fare la didattica a distanza ai professori più anziani, lasciando i più giovani a sorvegliare la classe.

E fuori dalla scuola?
Potremmo decidere che fino ai 50 anni tutti tornano al lavoro, mentre agli over50 si riserva la cassa integrazione Questa separazione aiuterebbe la ripresa, proteggendo chi rischia di più. La si potrebbe sostenere anche mettendo gli alberghi, che oggi sono vuoti, a disposizione degli anziani o dei giovani le cui abitazioni non consentano il distanziamento.

Separare i giovani dagli anziani in molte famiglie è impossibile.
È chiaro che una separazione assoluta non è possibile. Però quanto più la si attua tanto minori sono i costi e migliori i risultati della lotta contro la pandemia.

Le obiettano che sarebbe una discriminazione contro gli anziani.
Questa è davvero una sciocchezza. È il virus a distinguere per fasce d’età: diverse, dunque, devono essere le misure di protezione. D’altra parte, la separazione è un sacrificio che grava nella stessa misura sugli uni e sugli altri.

Come si  spiega che questa idea non venga presa in considerazione?
Forse col peso elettorale dei nonni. Ma i nonni devono mettersi una mano sulla coscienza: a pagare questo enorme aumento del debito pubblico non saranno loro, bensì i figli e i nipoti.

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