GARANTIRE IL LAVORO VERO, TRA PUBBLICO E PRIVATO

Quanto mi piacerebbe vedere il segretario del mio partito annunciare l’impegno per un controllo rigoroso sui casi diffusi di letargo ingiustificato delle amministrazioni, che pregiudicano il lavoro e la ripresa economica dell’intero Paese!
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Intervista a cura di Claudia Marin, pubblicata il 18 novembre 2020 sul Quotidiano Nazionale – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 16 novembre, I sommersi e i privilegiati .
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Professor Pietro Ichino, i sindacati del pubblico impiego hanno proclamato lo sciopero del settore lamentando che in manovra ci sono scarse risorse per loro. Il premier Conte ha fatto notare che gli altri lavoratori hanno dovuto fare sacrifici ben più consistenti. Cosa ne pensa?
Il peccato originale delle amministrazioni pubbliche sta nel non saper distinguere tra situazioni molto diverse tra loro. Peggio ancora: nell’aver deliberatamente scelto di non distinguere. Occorrerebbe distinguere tra i dipendenti che hanno continuato a lavorare anche più di prima, spesso in condizioni difficilissime, quelli che hanno rallentato molto, quelli la cui prestazione è di fatto sospesa. Non per colpa loro, certo. E occorrerebbe distinguere anche tra amministrazioni di settori diversi e di diverso livello.

In che senso?
Nel senso che, per esempio, le amministrazioni comunali hanno mostrato una capacità di continuare a operare anche durante la pandemia mediamente superiore rispetto a quelle statali. Ma proprio per questo occorrerebbe un ministero FP in grado di rilevare, se non la soddisfazione degli utenti (non esageriamo!), almeno il grado di operatività mantenuto da ciascuna struttura, il suo grado di accessibilità da remoto, la capacità del suo management di responsabilizzare i dipendenti che lavorano da casa in relazione a determinati compiti od obiettivi. Invece questi dati analitici non erano disponibili nella primavera scorsa e non lo sono neanche adesso.

In realtà, è opinione diffusa che lo smart working nel pubblico sia stato largamente un modo per continuare a pagare stipendi anche senza lavorare.
Questa opinione è condivisa da tutti gli utenti che hanno visto le amministrazioni chiuse per mesi, i ritardi nell’evasione delle pratiche raddoppiati o triplicati. Oppure si sono sentiti dire che “la persona tale non è raggiungibile perché è in smart working”: che è una contraddizione in termini, perché la caratteristica essenziale del “lavoro agile” dovrebbe consistere proprio nella possibilità di comunicare anche a distanza con chi è preposto a una funzione. Di quanti lavoratori addetti al front-office di una struttura pubblica l’utente può trovare non dico il numero di cellulare, ma almeno l’indirizzo email sul sito dell’amministrazione?

Non sarebbe stato più giusto il ricorso alla cassa integrazione anche nel pubblico impiego?
La norma che prevede la possibilità di sospensione della prestazione, con riduzione dello stipendio all’80 per cento, nel TU dell’impiego pubblico c’è; ma perché funzionasse occorrerebbe quella capacità di distinguere tra situazioni diverse, e prima ancora la volontà di farlo, che invece manca del tutto.

Sono i sindacati a difendere privilegi che non possiamo permetterci?
La responsabilità principale è della dirigenza pubblica, che per lo più ha abdicato da tempo alle proprie prerogative manageriali, lasciando che prendesse piede un regime di sostanziale cogestione con il sindacato: salvo eccezioni – guarda caso, soprattutto nel settore sanitario – non si muove foglia senza il consenso di quest’ultimo.

Il Pd è apparso e appare comunque il partito del lavoro dipendente pubblico: non rischia di alienarsi il consenso nel vasto mondo di chi soffre di più per questa crisi drammatica?
Certo che corre questo rischio. Quanto mi piacerebbe vedere il segretario del mio partito annunciare l’impegno per un controllo rigoroso sui casi diffusi di letargo ingiustificato delle amministrazioni, che pregiudicano la ripresa economica del Paese!

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