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CHE COSA FA GRANDE UN REBUS

La poesia, la salvezza, il riscatto di questo comparto dell’enigmistica – altrimenti arido, puramente meccanico – sono affidati all’estro, al genio, alla poesia di disegnatori capaci di dare un’anima, una consapevolezza all’arido e incompleto lavoro dell’autore testuale

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Lettera di Luca Fiocchi Nicolai, tra i più noti rebussisti italiani, pervenuta il 31 maggio 2021, in occasione dell’uscita in libreria del libro
L’ora desiata vola [1]

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Luca Fiocchi Nicolai

Gentile Professor Ichino, per il solo fatto di fare (discretamente, non di più) rebus mi sento autorizzato a scriverLe queste considerazioni, prima che il suo libro sia uscito, sulla scorta comunque delle sue interviste sul tema, una delle quali rileggerò a luglio su Leonardo.

Non sa quanto sia d’accordo con Lei quando mostra con esempi illuminanti l’importanza fondamentale, in un lavoro collettivo come il rebus, del disegnatore, io dico dello sceneggiatore, nel valorizzare, in ogni caso nello scegliere una volta per tutte il senso drammaturgico da dare al testo proposto dal rebussista. Umberto Eco accostava questo momento alla traduzione con i suoi aspetti di negoziazione.

Del resto neanche dell’autore della parte verbale del gioco compare, nelle riviste cosiddette popolari, nome e cognome per esteso, in genere del nome solo l’iniziale. Sarà perché giuridicamente parlando l’autore dei giochi che compaiono in un qualsiasi numero di una rivista è di fatto la rivista stessa ? non mi addentro da dilettante in un terreno come questo.

Il motivo della mail è di rivelarLe cosa pensa un autore, sia pure modesto, di questa pratica ludica. Io ritengo che il rebus sia essenzialmente ars combinatoria, priva in origine di qualsiasi contenuto, nonché morale, artistico; ars come poteva essere quella del lanaiolo, nei procedimenti della quale prevalgono gli elementi meccanici che combinati e ricombinati a forza di tentativi producono a volte incastri felici che stupiscono l’autore stesso.

C’è frustrazione in questa sopravvalutazione e popolarità di cui gode l’autore del testo di un rebus. Anzi direi quasi che io viva a volte come una schiavitù questo piccolo talento di vedere in una frase un’altra frase senza alcun nesso semantico con la prima. Anche un’attività come questa, possibile solo a condizione di padroneggiare sufficientemente la lingua italiana, presenta risvolti da catena di montaggio: lo testimonia se non altro la produzione a quattro cifre degli autori più affermati.

Ecco, io ho scorto subito, in questo deserto poetico che il nudo testo di un rebus pare presentare, ove poteva risiedere la sua poesia, la sua salvezza, il suo riscatto. Essi sono affidati all’estro, al genio, alla poesia di un disegnatore capace di dare un’anima, una consapevolezza all’arido e incompleto lavoro del rebussista. L’elemento onirico della scena è secondario e involontario, dovuto alla necessità in cui il rebussista sovente si trova di “chiudere” una frase con chiavi eterogenee. Le quali, tradotte nella narrazione verbobisiva, creano un effetto di affastellamento di situazioni al limite della verosimiglianza. Altro che Freud e Lacan. A meno di non voler “analizzare” i percorsi mentali seguiti nella fase creativa, interpretandoli nella forma di significanti.

Ciò che veramente crea il capolavoro è la capacità rara di far sprigionare dalla meccanica inumana del testo un’emozione sentimentale più che umana, emozione che nel testo è in potenza, indipendente dalle intenzioni dell’autore e che una poetessa come la Brighella fu tante volte in grado di “vedere” e tradurre in atto.

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Maria Ghezzi, ritratto del marito, Giancarlo Brighenti, “Briga” – Olio su tela

Lei, caro professore, fuori della ristretta, cerchia di praticanti, sempre a rischio di autoreferenzialità, è in grado di comprendere assai meglio il senso da dare all’intuizione brighiana del triangolo (1). Sono lieto di questa sua passione, una vera fortuna per l’enigmistica. Leggerò il suo libro con attenzione.

Perdoni l’irritualità di quella che sembra più una confessione che una lettera. Cordiali saluti.

Luca Fiocchi Nicolai (Roma)

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(1) Sul significato di questa espressione e le figure dei due grandi “genitori” della rebussistica italiana, Giancarlo Brighenti e Maria Ghezzi – rispettivamente il Briga e La Brighella – v. ultimamente il mio articolo Il lato lungo della Brighella [4].