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UNA LETTERA APERTA DAL SEGRETARIO DELLA FALCRI-SILCEA CONTRO IL PROGETTO FLEXSECURITY

IL RAPPRESENTANTE DI UN SINDACATO AUTONOMO DEI BANCARI CONTESTA DURAMENTE LA MIA PROPOSTA PER LA RIFORMA DEL DIRITTO DEL LAVORO, MANIFESTANDO APPRENSIONE E PERSINO ORRORE PER LE SUE POSSIBILI CONSEGUENZE – MA CONTRO L’ATTUALE APARTHEID NEL MERCATO DEL LAVORO NON PROPONE NIENTE

Lettera aperta di Joseph Fremder, segretario nazionale della Falcri-Silcea, 20 maggio 2011, a seguito della pubblicazione della mia intervista al [1] Mondo [1] della settimana precedente – Seguono la mia risposta, una controreplica dello stesso J.F., del 23 maggio, e una sua terza lettera, del 24 maggio, con alcune mie chiose – Nel dibattito il 25 maggio è intervenuto anche il segretario generale della UilCa-Uil, Massimo Masi  [2]

LETTERA APERTA DEL SEGRETARIO DELLA FALCRI-SILCEA A PIETRO ICHINO
Un brivido mi corre lungo la schiena mentre leggo la sua intervista del 20 maggio 2011 pubblicata su “IL MONDO” e il brivido si mescola e confonde col sudore quando leggo e penso che lei è anche senatore del PD ed è portatore sano di un disegno di legge (ddl 1873 [3]) di riforma del diritto del lavoro. Io che sono un semplice sindacalista le voglio fare alcune domande alle quali ho la presunzione di immaginare che lei non risponderà mai.
   1. Chi le scrive non è sindacalista della CGIL, ma non posso fare a meno di indignarmi quando leggo che secondo lei, a proposito di precariato, la CGIL non volendo  ridisegnare il diritto del lavoro diventa il responsabile della creazione di ciò che lei definisce  “l’apartheid fra protetti e non protetti”. La domanda che ne consegue è la seguente: dr. Ichino non crede che oggi  non esistano più i lavoratori protetti? Non vede quante famiglie che lei colloca tra i “protetti” si sono ritrovate in mezzo a una strada nello spazio di un battere di ciglia? E non vede che tra i “protetti” c’è una folta schiera di gente che deve sopravvivere con 800/1000 euro al mese? E non pensa, dr. Ichino, che quei metalmeccanici ricattati dal “Marchionne furioso” sono lavoratori che lei colloca tra i “protetti”? Protetti e non protetti sono la faccia della stessa medaglia, sono il bubbone neoliberista, sono la precarietà di oggi, caro senatore, perché la vita è precaria quando il lavoro scade, ma è precaria anche la vita a 800 euro pur se a tempo indeterminato. L’apartheid così come il dualismo generazionale non esistono, sono solo invenzioni mediatiche volute da chi come lei vuole cambiare il diritto del lavoro in peggio per chi “lavora.”
   2. Come spiega che nell’intervista afferma, in perfetto accordo con la Camusso, che  il precariato è “il male insopportabile del nostro secolo” per poi ribadire che conserverebbe i contratti a termine, il lavoro temporaneo tramite agenzia, il contratto d’apprendistato, il part time, il job-sharing e anche le stesse collaborazioni autonome coordinate e continuative?
   3. Perché insiste nel volere praticamente cancellare l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori dando la possibilità al Giudice di monetizzare anche un licenziamento ingiusto ed ingiustificato? Non pensa il giuslavorista Ichino che in tempi di precarietà dilagante vada almeno salvaguardato il diritto a non essere licenziati ingiustamente, mantenendo la certezza del proprio posto di lavoro?
   4. All’interno della sua intervista c’è un’attenzione forte e continua nella tutela degli interessi economici delle imprese pur se questi comportano “lacrime e sangue” per i lavoratori. Non crede che per un senatore che afferma che “il precariato è il male insopportabile del nostro secolo”  sia giunto il momento di mettere al centro gli interessi e le necessità della persona e quindi anche del lavoratore?
    Concludo con le sue parole, dr. Ichino: “Il problema è che  in Italia siamo ormai assuefatti a confondere la sicurezza del lavoratore con il regime di inamovibilità, di job property. In realtà la sicurezza che viene offerta ad un lavoratore in regime di flexsecurity è molto maggiore e migliore rispetto a quella offerta da un regime di ingessatura del rapporto di lavoro: perché quando viene l’acquazzone anche il gesso si scioglie, ed il lavoratore si trova con un pugno di mosche in mano.” Questo, aggiungo io, solo se il lavoratore è stato ingessato con un pugno di mosche in mano.
Joseph Fremder
Segretario Nazionale “Unità Sindacale Falcri Silcea”

LA MIA RISPOSTA
Il brivido di paura e il sudore freddo denunciati dal segretario nazionale di una importante organizzazione sindacale, per il solo fatto di avere egli letto un’intervista in tema di riforma del nostro diritto del lavoro, non vanno sottovalutati: ci danno la misura di quanto sia difficile il dibattito su questa materia in Italia. Ben venga, dunque, questa lettera aperta se essa può contribuire a svelenire il dibattito stesso e a far conoscere più diffusamente i veri termini del problema. Rispondo alle quattro domande che mi vengono poste da Joseph Fremder, una per una.
  
1. “Non vedi che non esistono più i lavori protetti?”  –  È sostanzialmente la stessa contestazione che mi viene mossa da Stefano Fassina [4]: “in realtà – obietta il responsabile per l’economia del Pd – è la condizione complessiva di tutto il lavoro dipendente che è peggiorata nell’ultimo ventennio”. D’accordo; anche di questo dobbiamo occuparci prioritariamente, adoperandoci per l’aumento della domanda di lavoro, oltre che per la drastica riduzione della tassazione dei redditi di lavoro più bassi [5]. Però – chiedo a mia volta a Fremder – è vero o no che gli 850.000  posti di lavoro persi in Italia nel corso della grande crisi degli ultimi due anni sono quasi tutti di lavoratori di serie B o C, quelli che hanno pochissima o nessuna protezione della loro stabilità di lavoro e di reddito? Allora, una forte differenza di protezione tra i lavoratori dipendenti esiste o no? È vero o no che i dipendenti pubblici e i lavoratori regolari delle aziende medio-grandi hanno sofferto della crisi stessa molto meno e molto più indirettamente di quanto ne hanno sofferto i lavoratori a termine, quelli “a progetto”, le false partite Iva, i soci-lavoratori di piccole cooperative appaltatrici di servizi, e gli altri in posizione analoga? Fremder considera accettabile, o comunque irrilevante, questa enorme disparità di trattamento? Davvero considera equiparabile la condizione di un operaio della Fiat con quella di un qualsiasi giovane che oggi fa il suo ingresso nel mercato del lavoro? Non sa che ci sono interi settori produttivi, come quello editoriale, quello delle case di cura, o quello edile, dove oggi è del tutto normale che solo un nuovo assunto su dieci sia un dipendente regolare a tempo indeterminato, mentre degli altri nove solo un terzo ha qualche prospettiva di essere in qualche modo stabilizzato, comunque non prima di qualche anno? Se vogliamo voltar pagina rispetto a questo regime di apartheid, le pur sacrosante misure che il Pd propone (pareggiare i costi contributivi tra collaborazioni autonome e lavoro subordinato) non bastano: occorre un nuovo diritto del lavoro che possa applicarsi davvero a tutti i nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti; e un meccanismo che garantisca l’effettività di questo diritto del lavoro, senza bisogno di avvocati, giudici e ispettori. Perché nel nostro sistema attuale avvocati giudici e ispettori non hanno cavato un ragno dal buco da quando, nei primi anni ’80, il fenomeno dell’apartheid fra protetti e non protetti ha incominciato a manifestarsi in modo sempre più massiccio.
  
2. “Perché dici che vuoi eliminare il precariato, se poi, nel tuo progetto, lasci sopravvivere contratti a termine, apprendistato, part-time e job sharing, collaborazioni autonome continuative?  –   Se il segretario della Falcri-Silcea avesse avuto la pazienza di leggere il d.d.l. n. 1873/2009, o anche soltanto un suo riassunto [6], avrebbe potuto constatare che: quanto ai contratti a termine, esso li ammette soltanto nei ben delimitati casi in cui essi sono ammessi da sempre e ineliminabili (per es. sostituzioni in caso di malattia, lavori stagionali); quanto alle collaborazioni autonome continuative, le ammette in tutti i casi in cui in esse non si manifesti una situazione effettiva di lavoro dipendente, che è resa immediatamente individuabile senza bisogno di ispettori, avvocati e giudici (torno fra breve su questo punto); quanto all’apprendistato, il d.d.l. (art. 2130) lo prevede come prima fase di un contratto a tempo indeterminato, durante la quale si applica la stessa disciplina della facoltà di recesso dell’imprenditore che si applica in tutta la fase successiva. Quanto a part-time e job sharing, la specialità di questi tipi di rapporto di lavoro attiene soltanto all’estensione temporale della prestazione nel corso della giornata, della settimana o dell’anno: non ha dunque alcun senso considerarli come rapporti di lavoro precari (il job sharing, in particolare, è una forma di flessibilità funzionale all’interesse di una coppia di lavoratori formatasi spontaneamente e volontariamente; qui la flessibilità nell’interesse dell’impresa non c’entra proprio).
 
3. “Perché insisti nel voler praticamente cancellare l’articolo 18 dello Statuto?”  –   Di nuovo, se il segretario della Falcri-Silcea avesse avuto la pazienza di leggere il disegno di legge, egli avrebbe potuto constatare che il mio progetto raddoppia l’area di applicazione dell’articolo 18, eliminando la distinzione tra lavoratori di serie A che ne godono e lavoratori di serie B o C che non ne godono,  nell’unica materia nella quale esso è considerato come presidio essenziale della dignità e libertà del lavoratore, cioè in quella del licenziamento discriminatorio, oltre che in quella del licenziamento disciplinare. La dignità e la libertà del lavoratore, invece, non sono in alcun modo coinvolte in un licenziamento di natura economica od organizzativa, dove è invece essenziale proteggere la sicurezza economica e professionale del lavoratore. D’altra parte, questa dell’economia e della gestione aziendale è una materia nella quale il giudice non ha e non può avere la necessaria competenza. Su questo terreno, in ogni caso, sostituire la tecnica protettiva dell’articolo 18 con una tecnica completamente diversa è indispensabile, se vogliamo davvero estendere la stessa protezione a tutti i lavoratori in posizione di sostanziale dipendenza. Il mio progetto si può riassumere così: da qui in avanti, tutti i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, per tutti le protezioni essenziali, nessuno inamovibile, ma a tutti una forte garanzia di continuità del reddito e di assistenza nel mercato in caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi. Per un giovane che esce oggi dal sistema scolastico o dall’università è meglio quel che gli offre il nostro mercato del lavoro attuale, o quello che gli offre il progetto flexsecurity? Se la Falcri-Silcea ha una terza soluzione migliore da proporre, che cosa aspetta il suo segretario nazionale a spiegarcela?
   4. – “Non crede che sia giunto il momento di mettere al centro gli interessi e le necessità della persona e quindi anche del lavoratore?”  –  Il mio disegno di riforma del diritto del lavoro si propone proprio questo, ma per tutti i lavoratori italiani e non soltanto per metà di essi. Non mi sembra che i miei contraddittori propongano qualche cosa di analogo: essi non avanzano alcuna proposta che miri a estendere ai lavoratori di serie B o C né la protezione forte (articolo 18) contro il licenziamento discriminatorio, né alcuna proposta che miri a proteggere in alcun modo la loro sicurezza economica e professionale nel caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi. Si limitano a un generico richiamo all’applicazione severa della legge oggi vigente; ma questo equivale a lasciare le cose come stanno: si stima che ogni anno siano solo tre o quattro su diecimila i casi in cui una falsa collaborazione autonoma viene contestata da un ispettore in sede amministrativa o dal lavoratore interessato in sede giudiziale.  L’efficacia del mio progetto di riforma sta invece in questo: i requisiti della “dipendenza economica” (collaborazione continuativa dalla quale il prestatore tragga più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo, e comunque un reddito non superiore a 40.000 euro annui), dai quali dipende immediatamente l’applicazione del diritto del lavoro nella sua interezza, risultano direttamente dal tabulato dell’Inps o dell’Erario. Essi emergono dunque senza bisogno di alcuna ispezione in loco, né di alcun ricorso del lavoratore in sede giudiziale. Se il segretario della Falcri-Silcea ha da proporre un meccanismo migliore per garantire l’effettività di un “diritto unico del lavoro” davvero applicabile a tutti, ce lo faccia sapere; ma finora né dalla Falcri-Silcea, né dalla Cgil, né da alcun altro sindacato è venuto su questo terreno qualcosa di più che enunciazioni astratte, appelli, auspici e buone intenzioni. La realtà è che, insieme al disegno di legge n. 2000/2010 presentato da Paolo Nerozzi, ispirato al progetto di “contratto unico” Boeri-Garibaldi,  il progetto flexsecurity è l’unico oggi disponibile che estenda davvero la protezione a tutti i lavoratori in posizione di dipendenza economica in modo immediato, semplice ed efficace. In particolare, esso estende a tutti la protezione forte contro le discriminazioni e, in caso di licenziamento per motivi economici od organizzativi, una forte garanzia di continuità del reddito e di investimento sulla loro professionalità, interamente a carico dell’impresa licenziante. Lo ha riconosciuto recentemente il segretario della Fillea-Cgil di Modena [7], che ha indicato nel mio progetto il modo più incisivo per garantire protezione efficace e parità di diritti ai lavoratori, in un settore dove non si assume più un lavoratore se non con la partita Iva fasulla, o attraverso cooperative di lavoro altrettanto fasulle.
A
ttendo, naturalmente, da Joseph Fremder una controreplica (con ammissione almeno dell’infondatezza della presunzione da lui enunciata all’inizio della sua lettera aperta). Se arriverà, mi impegno a metterla immediatamente on line. Se invece non arriverà, ne dedurrò almeno che gli sono passati i brividi e i sudori freddi: meglio così.      (p.i.)


LA CONTROREPLICA DEL SEGRETARIO DELLA FALCRI-SILCEA

Riporto qui di seguito la lettera di Joseph Fremder, del 23 maggio 2011, con alcune mie chiose (che per comodità dei lettori inserisco nel testo evidenziandole con capoversi rientrati in carattere corsivo azzurro)
Credo sia doverosa una controreplica da parte mia alla sua risposta non senza prima registrare con piacere che se è vero (ed è vero) che mi sono sbagliato nel pensare che lei non avrebbe risposto è altrettanto vero che purtroppo ai brividi ed ai sudori freddi si è aggiunta qualche linea di febbre dopo avere letto le sue risposte.
Da ciò che  risponde mi rendo conto, scusi la presunzione, che lei che è sicuramente considerato  uno dei più importanti studiosi del mondo del lavoro paradossalmente non riesce ad immedesimarsi nella quotidianità  che ogni lavoratore vive sul proprio posto di lavoro anche se a tempo indeterminato e figuriamoci se precario.
Mi solleva il fatto che all’interno del PD le venga mossa qualche critica anche dal responsabile per l’economia Stefano Fassina, reputo questa una buona notizia e mi auguro ed auguro ai lavoratori che Fassina non sia l’unica voce dissenziente.
Professor Ichino non pensa sia una colossale banalità o meglio una pensata alla “Catalano” affermare che in Italia  perdere un posto di lavoro è più facile che accada ad un precario che a quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato? Certo professore! E’ vero! Ed è proprio per questo che la precarietà va cancellata, combattuta! E non si combatte la precarietà togliendo diritti a chi non è precario ma riconsegnandoli a chi non li ha, ai precari, agli sfruttati.

Se il segretario della Falcri-Silcea avesse avuto la pazienza di leggere il d.d.l. n. 1873/2009, o anche soltanto un suo riassunto [6], avrebbe potuto constatare che il mio progetto non toglie alcun diritto a “chi non è precario”: la nuova disciplina del licenziamento si applica infatti soltanto ai rapporti di lavoro (tutti quelli caratterizzati da dipendenza economica) destinati a costituirsi d’ora in avanti. Dunque gli chiedo: se fosse lui un giovane new entrant nel mercato del lavoro italiano, preferirebbe il regime attuale o quello delineato nel mio progetto? Sarebbe importante che, prima di proseguire in questa discussione, Joseph Fremder rispondesse a questa domanda.   (p.i.)

Mi creda Senatore, mi occupo da molto tempo di precari ed il Sindacato che rappresento è in lotta da sempre contro la precarietà e se avrà la bontà di “curiosare” tra le carte che giacciono silenziose e dimenticate in qualche armadio del Palazzo troverà 8000 firme contro la legge 30 consegnate” qualche anno fa” alla Commissione Lavoro della Camera (Augusto Rocchi e Daniele Farina i due parlamentari a cui le consegnammo) anche e proprio da chi le sta scrivendo.

Anche il Falcri-Silcea sbagliava dunque clamorosamente il bersaglio: la legge Biagi non ha infatti alcuna responsabilità nell’aumento del precariato. Ripeto a questo proposito quanto obiettai a un altro nemico giurato di questa legge, Renato Fioretti, in uno scambio intercorso con lui su questo sito [8] dello scorso anno:  “se Fioretti riesce a indicarmi un solo rapporto di lavoro precario disciplinato da questa legge che non esistesse già prima, sia pure con altro nome, e che prima non fosse regolato in misura meno restrittiva, gli pago una cena. Finché a sinistra non smetteremo di dire sciocchezze sul contenuto di questa legge, continueremo a mancare clamorosamente il bersaglio nella nostra ‘lotta al precariato’“.  A questa mia replica lo stesso Fioretti ha tentato di rispondere [9], ma col risultato di confermare analiticamente l’esattezza della mia affermazione: la legge Biagi non ha alcuna responsabilità nell’aumento del precariato nel nostro Paese.    (p.i.) 

Ho quindi letto ed approfondito assieme al nostro Centro Studi  il ddl 1873/2009 [6] e come vede non mi è sfuggita nemmeno la sua intervista a Il Mondo, ma il nocciolo del problema è che lei continua a sostenere i contratti “portatori di precarietà” apportandone modifiche che in alcuni casi non modificano ed in altri casi peggiorano lo stato delle cose. Ora la invito io professor Ichino a leggere le richieste contro la precarietà esistente in banca contenute nella nostra piattaforma contrattuale per il rinnovo del CCNL per rendersi conto che (non attraverso il Parlamento) Unità Sindacale Falcri Silcea si appresta all’ennesima battaglia di civiltà contro quella precarietà della vita che passa dai posti di lavoro e spegne la speranza ed il futuro ai giovani.

Conosco bene l’accordo che le organizzazioni sindacali maggiori del settore bancario hanno stipulato con l’ABI il 16 dicembre 2009 [10], per l’ampliamento delle funzioni proprie del Fondo di Solidarietà istituito proprio per quel settore dal d.m. n. 158/2000: le modifiche apportate sono state presentate e considerate da tutti gli osservatori come un interessante modello di flexsecurity di fonte contrattuale.    (p.i.)

Infine le chiedo con grande convinzione di non occuparsi più dell’art. 18 e dello Statuto dei Lavoratori (ultimo baluardo del terremoto giuridico che si è abbattuto sui lavoratori). Le assicuro che le motivazioni che adduce nella sua risposta non sarebbero gradite né dai lavoratori a tempo indeterminato né dai precari ma solo dai “padroni” (oggi possiamo riprendere a chiamarli così). Non crede che se diventerà possibile licenziare per qualsiasi motivo anche al di fuori della giusta causa e del giustificato motivo, dietro pagamento di una manciata di euro i primi a soccombere saranno i malati ed i sindacalisti e quindi la civiltà e la democrazia?

Il ddl 1873/2009 [6] non consente affatto il licenziamento dei malati e dei sindacalisti: come in tutti i Paesi civili esso continuerebbe a essere qualificato come discriminatorio, con conseguente reintegrazione dei lavoratori nel posto di lavoro, in aggiunta al risarcimento del danno. La vera differenza portata da questo disegno di legge è che questa protezione sarebbe estesa a tutti i lavoratori in posizione di dipendenza economica. Qualcuno obietta che i giudici avrebbero difficoltà ad accertare le discriminazioni; ma l’esperienza quarantennale dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori mostra, invece, come anche i giudici del lavoro italiani, al pari di quelli di tutti i Paesi civili, siano prefettamente attrezzati per individuare le discriminazioni e sanzionarle efficacemente.     (p.i.)

L’articolo 18 non è un totem a cui ci si aggrappa per questioni o interessi politici ma un punto di partenza per ricostruire fiducia proprio nei più giovani. Concentrerò i miei sforzi affinchè l’art. 18 divenga un diritto per tutti i lavoratori: tutti!

Questo è il punto decisivo dell’intero dibattito. Il segretario del Falcri-Silcea enuncia l’obiettivo del raddoppio del campo di applicazione della disciplina dei licenziementi (non solo di quelli discriminatori e disciplinari, ma anche di quelli dettati da motivi economici od organizzativi): dai nove milioni e mezzo attuali a oltre diciotto milioni di lavoratori italiani in posizione di sostanziale dipendenza dall’azienda. Senonché questo obiettivo è del tutto irrealistico. Lo è innanzitutto sul piano politico-sindacale (nemmeno la Cgil se lo propone). Ma lo è soprattutto sul piano della struttura del nostro tessuto produttivo: oggi i nove milioni di lavoratori dipendenti cui l’articolo 18 non si applica sono quelli che portano sulle loro spalle il peso di tutta la flessibilità di cui il sistema ha bisogno. Sono quelli, appunto, che hanno pagato tutto il costo della grande crisi del 2008-2010. Non è col proporre obiettivi irrealistici che faremo fare un solo passo avanti alla battaglia contro l’apartheid di cui oggi essi sono vittime.   (p.i.)


LA TERZA LETTERA DEL SEGRETARIO DELLA FALCRI-SILCEA
Pervenuta il 24 maggio 2011
Pensavo in tutta onestà che il cerchio del nostro dibattito si sarebbe chiuso con la sua ultima chiosa alla mia replica ma venendo sollecitato a risposte  ovviamente non mi tiro indietro e quindi le rispondo non senza prima comunicarle che ho sinceramente molto  apprezzato la sua disponibilità e trasparenza mentre parecchio meno le argomentazioni da lei sostenute.
Lei  
mi chiede lo sforzo di provare a mettermi nei panni di un giovane new entrant nel mercato del lavoro italiano e di domandarmi se preferirei il regime  di lavoro attuale o quello delineato nel suo progetto. La risposta è semplice e scontata: vorrei avere un lavoro vero che mi permetta una vita dignitosa e di progettarmi un futuro fatto anche di sacrifici ma che mi conceda prospettiva. Questo, Senatore,  non me lo offre certamente né il regime attuale né la sua proposta.

Ma perché mai un regime di stabilità del lavoro e del reddito ispirato ai migliori modelli nord e centro-europei dovrebbe essere inidoneo a garantire “una vita dignitosa” e la possibilità di “progettare un futuro”? Non pensa il Segretario della Falcri-Silcea che i giovani italiani farebbero molto volentieri il cambio tra la loro situazione attuale nel nostro mercato del lavoro e la situazione che si offrirebbe loro se fossero in Svezia, Danimarca o Gran Bretagna? Una risposta politicamente seria, invece, non può essere “articolo 18 per tutti”, per i due motivi che ho esposto nell’ultima mia chiosa alla lettera precedente.      (p.i.)

In quanto alla legge Biagi lei la difende adducendo che non ha “responsabilità nell’aumento del precariato”; io credo che non solo non sia così ma che la legge 30 (preferisco chiamarla così)  abbia svolto un ruolo fondamentale nel mantenere quanto di precario già esisteva ed abbia svolto un ruolo fondamentale anche nel fare crescere  le mostruosità contrattuali attualmente esistenti.

Quali “mostruosità” avrebbe fatto crescere la legge Biagi? Secondo Joseph Fremder sarebbe più “mostruoso” l’attuale apprendistato rispetto al vecchio contratto di formazione e lavoro ad alto contenuto formativo? O l’attuale contratto di inserimento rispetto al vecchio contratto di formazione e lavoro a basso contenuto formativo? O l’attuale lavoro a progetto rispetto alle vecchie collaborazioni autonome continuative prive di qualsiasi regola? O l’attuale lavoro intermittente dei camerieri ingaggiati per i banchetti o delle hostessper i congressi, rispetto ai vecchi contratti a termine inferiori ai 13 giorni di durata con cui queste figure potevano in precedenza essere ingaggiate liberamente, senza neppure un contratto scritto? In che modo, secondo Fremder, la legge Biagi avrebbe reso “mostruoso” il lavoro temporaneo tramite agenzia, o il job sharing (quando invece qui essa non ha cambiato pressoché nulla della disciplina precedente)? Perché se una norma (come appunto quelleporta la firma di Tiziano Treu  O il segretario della Falcri-Silcea è in grado di rispondere a queste domande, oppure è bene che egli eviti di ripetere per pura inerzia l’errore in cui è caduta la sinistra politica e sindacale in questi otto anni: quello  di demonizzare una legge che non ha alcuna responsabilità nell’aumento del precariato nel nostro Paese. Anche perché sulla base di quell’errore si è sparso il sangue di una persona.    (p.i.)

Le pago una cena volentieri io, professore, se riesce a dimostrarmi un buon motivo (che non sia quello dell’enorme risparmio economico scaricato sui giovani e sulla collettività )per cui le  banche debbano utilizzare 4 anni di apprendistato   (pensi che lo stesso lavoro chiesto ad un apprendista viene imparato ed eseguito da un qualsiasi lavoratore preso “in affitto” nel giro di una settimana!). Così come le pago una cena se mi spiega perché sempre le banche utilizzano massicce dosi di “contratto a tempo determinato” durante tutto l’anno (anche qui escludendo il puro risparmio economico).

Non mi è chiaro perché dovrei rispondere io delle scelte compiute dalle banche. Non vede, comunque, il segretario della Falcri-Silcea che una riforma del tipo di quella delineata nei d.d.l. n. 1481 e n. 1873/2009 [6] avrebbe l’effetto di garantire a tutti i nuovi assunti (anche se apprendisti, e non soltanto nel settore bancario) un posto di lavoro a tempo indeterminato, con un grado di stabilità e di protezione contro gli eventuali arbitri del datore di lavoro molto superiore rispetto a quanto si offre loro oggi?      (p.i.)

Non mi pare che la legge 30 abbia migliorato alcunchè e se non ha peggiorato la situazione, come lei afferma, come mai è stata scritta ed approvata come legge?

Non ho mai taciuto quelli che a me appaiono gli aspetti positivi della legge Biagi (soprattutto in materia di servizi per l’impiego), così come non ne ho mai taciuto quelli che mi paiono i difetti, anche gravi  (che non attengono, però, all’aumento del precariato). Ma da questo a qualificarla come legge “mostruosa”, come “liberalizzazione selvaggia”, o come “smantellamento del diritto del lavoro”, c’è una grande differenza. E chiunque lo faccia senza aver fatto altrettanto per le leggi Treu del 1997 pecca di faziosità, perché quelle leggi avevano un contenuto di liberalizzazione nettamente maggiore rispetto alla legge Biagi, pur essendo state varate da una maggioranza di centrosinistra, di cui faceva parte anche Rifondazione comunista.     (p.i.)

Senatore, io ovviamente non la conosco e devo pensare che lei creda fermamente in quello che fa; ma quando afferma di portare avanti la “lotta al precariato”  io personalmente non posso che restarne basito e quando dice che la lotta alla precarietà non passa anche attraverso la cancellazione della legge 30, io non posso che “guardarla come si guarda un fantino”, frase di jannacciana memoria!

Anche il ministro del Lavoro del Governo Prodi, Cesare Damiano, ha utilizzato la legge Biagi, quando ha voluto dare un giro di vite contro l’abuso delle collaborazioni autonome continuative nei call centre. Anche lui “un fantino”? E quando lo stesso Governo Prodi ha cercato qualche cosa da abrogare in quella legge, non ha trovato di meglio che la norma sullo staff leasing, che con il lavoro precario non ha nulla a che fare (si tratta di una forma di organizzazione del lavoro che prevede rapporti a tempo indeterminato protetti dall’articolo 18!).     (p.i.)

Già che ho avuto il piacere di potere interloquire con lei, professor Ichino, vorrei provare a “buttarle lì” una manciata di parole come riflessione finale.
Immagini quanti danni qualsiasi forma di contratto di lavoro precario comporta nella psiche e nello sviluppo della personalità di un qualsiasi giovane, essere costretti a 20/25 anni a dire solo e sempre sì, a vivere il rapporto ed il luogo di lavoro con paura, il non esprimersi mai, il non prendere posizione, il non firmare nulla che non sia proposto dall’azienda/fabbrica, il non partecipare alle assemblee, il non iscriversi al sindacato, il non esprimere pensiero politico e l’accettare di lavorare fuori dalle regole contrattuali (ore di lavoro prestate e non pagate, ferie non fatte, tangenti sulla propria busta paga versate al datore di lavoro etc. etc.).
Questi giovani che non potranno e non stanno vivendo la loro stagione liberamente, questi giovani repressi e già vecchi, questi giovani che a 20 anni non possono sbagliare un passo sono il frutto della precarietà e non è propriamente una buon notizia per una società che si vorrebbe civile e con un futuro.
Joseph Fremder

Vogliamo entrambi voltar pagina rispetto a questo stato di cose. La differenza sta soltanto nella strategia: il segretario della Falcri-Silcea è convinto che sia sufficiente rivendicare l’applicazione generalizzata dell’articolo 18; la mia proposta, invece, è di trarre insegnamento da quanto avviene nei Paesi europei dove gli ultimi della fila stanno meglio che in qualsiasi altra parte del mondo. La sola cosa che proprio non mi spiego è che la proposta di assumere a modello questi  Paesi possa far venire i brividi e i sudori freddi a un alto dirigente sindacale italiano: come se in Italia le cose andassero così bene da consentirci di guardare i nostri migliori partner europei dall’alto in basso.    (p.i.)