DETASSARE I REDDITI DI LAVORO PIU’ BASSI: UNA PRIMA MISURA CONTRO L’AUMENTO DELLE DISUGUAGLIANZE

QUANTO COSTA RIDURRE DRASTICAMENTE L’IRPEF SUI PRIMI MILLE EURO DI RETRIBUZIONE MENSILE: UN PRIMO PASSO PER CONTRASTARE AL TEMPO STESSO IL LAVORO NERO E LA POLARIZZAZIONE DELLE FORZE DI LAVORO

Lettera pervenuta il 2 dicembre 2008

Caro senatore,
nei suoi ultimi due saggi [Scenari di riforma del mercato del lavoro e  La questione dell’ineffettività del nostro diritto del lavoron.d.r.] e nella conferenza che ha tenuto a Novara il 24 novembre scorso lei ha parlato del fenomeno della polarizzazione delle forze di lavoro e della necessità di “ricostruire l’uguaglianza”: oggi con la detassazione dei redditi di lavoro più bassi, domani con l’introduzione di un sistema di tassazione negativa ovvero di un “reddito di cittadinanza”. Lasciamo pure indeterminato il costo di quest’ultima misura, che non sembra certo proponibile con questi chiari di luna; ma la detassazione dei primi 1000 euro di salario, che lei propone come misura da adottare subito, quanto costerebbe allo Stato? Quando mai potremo permettercelo?
             F.V.

Non è (soltanto) una mia proposta: oggi è uno dei cardini della proposta di politica economica del PD. E la si può considerare come una delle discriminanti più nette tra  una politica economica di sinistra e una di destra, oltre che come una delle misure strutturali più efficaci per contrastare la recessione: la riduzione dell’Irpef sui redditi di lavoro più bassi si traduce, persumibilmente, quasi per intero in aumento dei consumi. Ed è una misura molto più rispettosa delle buone regole del mercato e della concorrenza di quanto non siano gli aiuti alle grandi imprese.Vediamo quanto può costare.

Secondo la normativa fiscale attualmente in vigore, la “no tax area” è costituita dai redditi di lavoro fino a 8000 euro annui. Al di sopra di questa soglia, si applica l’aliquota Irpef minima del 23%. Se l’obiettivo è di esentare dall’Irpef i redditi fino al limite dei 1000 euro al mese (per 13 mensilità), quindi di 13000 euro annui, occorre che l’Erario rinunci al 23% sui 5000 euro annui di differenza, cioè a 1.150 euro per ciascun lavoratore. Se ipotizziamo che i lavoratori dipendenti beneficiari di questa misura siano 15 milioni (gli altri 3 milioni e mezzo oggi sono lavoratori irregolari), il sacrificio per l’Erario sarebbe di (1150 x 15 milioni =) 17,25 miliardi.
La perdita per l’Erario si riduce a 10 miliardi se si lascia un’Imposta annua sui redditi di lavoro di 3.000 euro pari a 150 euro annui (poco più di11 euro su ciascuna busta paga).
Se poi ipotizziamo di bilanciare in parte la riduzione del gettito con un aumento delle aliquote sugli scaglioni più alti, in modo che l’operazione lasci inalterata l’Irpef complessiva per chi raggiunge un reddito di lavoro annuo di entità media (per esempio: 48000 euro) e la aumenti per chi ha un reddito superiore, la perdita per l’Erario può ridursi agevolmente a 6-8 miliardi.

Sono sempre cifre molto rilevanti; ma sempre cifre modeste, se raffrontate agli 80 miliardi che il ministro dell’Economia Tremonti ha detto di voler mobilitare a breve termine in funzione anticiclica. (p.i.)

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