PERCHÉ (QUASI) TUTTI I SENATORI PD HANNO VOTATO CONTRO L’EMENDAMENTO SULLE PENSIONI DEGLI ALTI DIRIGENTI PUBBLICI

LA NORMA BOCCIATA DA PDL E LEGA MERCOLEDÌ SCORSO NON INCIDE SULLA RIDUZIONE DELLE PENSIONI CHE MATURANO DA QUI IN AVANTI: MIRA SOLO AD APPLICARE, AGLI ALTI DIRIGENTI COME A TUTTI GLI ALTRI LAVORATORI, UN ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE COSTANTE CIRCA I DIRITTI PENSIONISTICI GIÀ MATURATI E ACQUISITI

Lettera pervenuta il 5 maggio 2012 – Segue la mia risposta

Gentile Senatore,
ero rimasto molto sconcertato nell’apprendere dai giornali che il Pd è stato il solo partito a votare in Senato – con l’eccezione di pochi suoi parlamentari – contro l’emendamento dell’opposizione, che mirava a rendere più incisivo il taglio del trattamento pensionistico dei dirigenti pubblici con stipendi superiori ai 300.000 euro annui: anche i senatori del PdL hanno votato in larga maggioranza quell’emendamento. Mi è poi dispiaciuto apprendere dal sito Violapost.it che lei non era tra i pochi senatori Pd che hanno invece votato quell’emendamento. Poiché ho una grandissima stima nei suoi confronti e ho sempre molto apprezzato il rigore con cui ha sempre preso posizione per le scelte più radicali di riequilibrio fra protetti e non protetti e intergenerazionale, mi ha stupito apprendere del suo voto contrario a quell’emendamento. Le sarò molto grato se vorrà spiegarmene la ragione. Con immutata stima
    Suo Alberto Ferrari – Brescia

Per spiegare l’accaduto occorre chiarire che:
   1. nel dicembre scorso il decreto-legge “Salva-Italia” (n. 201/2011) ha stabilito un rilevantissimo taglio alle retribuzioni degli alti dirigenti pubblici superiori ai 300.000 euro;
   2. quella disposizione ha determinato una situazione nella quale numerosi alti dirigenti pubblici che hanno già maturato i requisiti per il pensionamento sono fortemente incentivati a scegliere di andare in pensione subito, invece che continuare a lavorare, per evitare che il nuovo stipendio decurtato determini una riduzione corrispondente del trattamento pensionistico già da loro maturato, a cui altrimenti avrebbero già diritto; per evitare questo effetto (che solo loro subirebbero, e lo subirebbero in misura molto più che proporzionale alla decurtazione delle retribuzioni perché si ripercuoterebbe sull’intera pensione maturata fino a fine 2011), il Governo si è impegnato a fare in modo che, rimanendo in servizio, essi non subiscano quel pregiudizio;
   3. in un decreto-legge adottato ultimamente (n. 29/2012), il Governo ha quindi inserito una disposizione che stabilisce che il taglio operato con il decreto “Salva-Italia” non possa incidere sul trattamento pensionistico già maturato da quei dirigenti alla fine del 2011 nel vecchio regime, bensì – come per tutti gli altri lavoratori passati dal regime pensionistico retributivo a quello contributivo – incida soltanto sul trattamento che maturerà a loro favore dal 1° gennaio 2012 in poi, decidendo essi di restare in servizio;
   4. quest’ultima disposizione corrisponde a un orientamento giurisprudenziale costante della Cassazione e della Corte costituzionale (sent. n. 264/1994), secondo il quale il trattamento pensionistico per il quale una persona ha già maturato i requisiti, ma che non viene attivato poiché essa decide di continuare a lavorare, costituisce un diritto acquisito che non può essere inciso da nuove disposizioni e non può subire decurtazioni per effetto di eventuali successive riduzioni della retribuzione: regola, questa, che vale per le pensioni di tutti i lavoratori;
   5. la disposizione inserita dal Governo nel nuovo decreto-legge mira(va) dunque anche a evitare una pioggia di ricorsi dei dirigenti interessati, che avrebbero avuto, oltre a costi certi per l’Erario, soprattutto  una probabilità di successo molto elevata.
Mercoledì 2 maggio in Senato il sottosegretario Claudio De Vincenti, a nome del Governo, ha sintetizzato in questi termini le ragioni per le quali il Governo esprimeva parere contrario all’emendamento soppressivo presentato dalla Lega:
“Questo articolo fa sì che i dirigenti della Pubblica amministrazione che hanno già maturato i requisiti di pensionamento, ma che volontariamente prolungano la loro attività, al momento dell’andata in pensione avranno l’assegno calcolato sulla situazione maturata al 22 dicembre 2012».
Così stando le cose, mi era parso ragionevole l’accordo tra i partiti della maggioranza nel senso di respingere l’emendamento soppressivo presentato dalla Lega. E quando in Senato mercoledì scorso si è delineata la defezione quasi in blocco del Gruppo del PdL (con la significativa eccezione dei suoi esponenti di vertice), ho compreso la scelta del PD di mantenere invece l’impegno preso, nonostante che questo rischiasse di esporlo alla disapprovazione dell’opinione pubblica meno informata.
Aggiungo soltanto che, se anche non avessi approvato questa scelta del PD, non avrei esitato a dirlo chiaro e tondo in questa sede e in ogni altra, ma nel voto in Senato mi sarei comunque attenuto alle indicazioni del mio Gruppo per disciplina di partito. Questo – piaccia o no ai portabandiera dell’antipolitica – impone la lealtà e correttezza nei rapporti politici. E questo è il patto in base al quale ho accettato l’elezione nelle liste del PD, che si legge nella
home page del sito fin dalla sua nascita: “ho accettato il mandato parlamentare assumendo due impegni: verso il partito che ho contribuito a fondare, la massima lealtà nel voto; verso i miei lettori ed elettori, continuare a dire, scrivere e proporre in modo chiaro e diretto tutto quello che penso”.    (p.i.)
Postscriptum del 7 maggio – Su queste mie note sto ricevendo un numero straordinario di messaggi, in parte di approvazione, in parte (prevalente) di disapprovazione. Me ne farò interprete nei confronti della Presidenza del Gruppo. Questo può significare che il 2 maggio scorso abbiamo compiuto una scelta tecnicamente corretta, ma politicamente sbagliata o quanto meno inopportuna.

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