L’INTERVENTO (MANCATO) DI NOISEFROMAMERICA ALL’ASSEMBLEA DEL 20 LUGLIO

LE RAGIONI DI UNA NUOVA INIZIATIVA POLITICA PROMOSSA DA UN GRUPPO DI ECONOMISTI, OVVIAMENTE ALTERNATIVA RISPETTO ALLA NOSTRA, MA CON ALCUNI NOTEVOLI PUNTI DI CONVERGENZA

Testo dell’intervento che avrebbe dovuto essere svolto (se i limiti di tempo e il gran numero degli altri interventi non lo avessero impedito) da Giulio Zanella, a nome del gruppo di economisti riunito intorno al sito NoiseFromAmerica, all’assemblea del 20 luglio sul documento L’Agenda Monti al centro della prossima legislatura

Riportiamo il testo che avevamo preparato per l’ ”assemblea dei 15” parlamentari del PD. Il delegato a esporre il testo era Giulio Zanella, che in separato articolo spiega come è andata. Per l’occasione, annunciamo il rientro in redazione di Michele Boldrin.
Grazie per l’invito e per l’opportunità di prendere la parola, anche a nome degli altri redattori di nFA. Sono venuto innanzitutto per ascoltare, perché trovo la vostra iniziativa coraggiosa e di estremo interesse – un tentativo di svolta, finalmente, nel centrosinistra. Ma sono venuto anche per parlarvi di un’iniziativa politica di cui, assieme ad altri, ci siamo fatti promotori e che nella sostanza ha molti punti di contatto con la vostra: ci sono forse sinergie da sfruttare.
L’iniziativa che stiamo promuovendo cerca di aggregare le forze genuinamente riformatrici (che a nostro avviso sono presenti, in misura differente ma molto spesso minoritaria, in ogni parte dello schieramento politico) su dieci concrete proposte di riforma capaci di attaccare alla radice i problemi di finanza pubblica e della mancata crescita italiana. Queste proposte vanno ben oltre “l’agenda Monti” e rappresentano la base programmatica per un governo politico nella nuova legislatura che ponga lo sviluppo economico e la mobilità sociale al centro dell’agenda. Giusto per essere chiari, quando parliamo di sviluppo economico non pensiamo affatto a un (ulteriore!) aumento della spesa pubblica ma ad una radicale trasformazione degli incentivi degli attori economici, in primo luogo lavoratori e imprese, cui deve essere data l’opportunità di mantenere una fetta più ampia di quanto producono oltre che la libertà di competere per produrlo. Questo implica aggredire il debito pubblico con una politica di dismissione degli attivi patrimoniali dello stato, ridurre la spesa pubblica e ridurre la pressione fiscale, in primo luogo su impresa e lavoro. Questi sono i primi tre dei dieci punti, e il governo Monti sembra essersi ora messo nella direzione giusta. Molti degli interventi che ho sentito questo pomeriggio, però, hanno identificato “agenda Monti” e “consolidamento fiscale”. Questo è sbagliato e rischia di portare su una strada sbagliata.
Quella che chiamate “agenda Monti” va ben oltre la finanza pubblica e la razionalizzazione della spesa pubblica. Solo che la parte “oltre” non riesce a essere attuata. Il motivo è che pur rappresentando un netto miglioramento rispetto al precedente, il governo Monti sconta da un lato la necessità di essere costretto a gestire una fase emergenziale e dall’altro il fatto che esso è comunque espressione degli equilibri esistenti. Sia il personale politico sia i partiti dalla cui fiducia il governo dipende rappresentano oggettivamente un freno all’avvio di una stagione di riforme di cui l’Italia ha secondo noi disperato bisogno. Comprendiamo e appoggiamo la necessità di difendere (come state facendo voi), in questo momento il governo Monti dalle parti più conservatrici della coalizione che lo sostiene (inclusi molti vostri colleghi di partito), ma riteniamo anche che i tempi siano maturi per iniziare a costruire, a partire dalla prossima legislatura, una reale alternativa alle politiche di oppressione fiscale e mantenimento o espansione della spesa pubblica che per lungo tempo hanno prodotto danni alle prospettive di crescita del paese, e di andare oltre la pur necessaria austerità iniziata un anno fa.
Occorre iniziare a dire in modo forte e chiaro che è ora di smetterla di cercare le cause del declino del paese all’esterno. Prima era la Cina, poi l’euro, poi la Germania e chissà chi sarà il prossimo. Spiace sentire oggi qualche voce anche in mezzo a voi attribuire responsabilità al Governo tedesco e alla Corte costituzionale tedesca. Le cause del declino sono tutte interne per la semplice ragione che il declino è iniziato almeno vent’anni fa. La crisi di oggi altro non è che quella del 1992, aggravata. Il paese è paralizzato economicamente e socialmente da privilegi e interessi particolari che, in un gioco di veti incrociati, non si riesce ad eliminare. Gli incentivi sono tali che il metodo principale di ascesa socio-economica, sia per gli imprenditori che per i lavoratori, è l’acquisizione e il mantenimento di uno di questi privilegi. Questo vale a tutti i livelli: il lavoratore poco qualificato vuole il posto fisso alle poste, il professionista fa la gavetta per entrare nell’albo, l’imprenditore (piccolo o grande) cerca il sussidio e invece di innovare si concentra in attività che lo garantiscano, il sussidio non la produttività.
Tipicamente, i privilegi nascono da (e si alimentano di) un’eccessiva presenza dello stato nell’economia e vengono elargiti dalla classe politica che beneficia del loro mantenimento e allargamento. Non abbiamo per caso sia la classe politica che quella burocratica più ricche d’Europa, sia in assoluto che, soprattutto, in relazione al reddito medio del paese: le rendite di posizione, alla fine, rendono soprattutto a chi le concede e amministra. Per questo, il cambiamento non può venire dai partiti “tradizionali”, che prosperano in simbiosi con i privilegiati grandi e piccoli. È per questa ragione che riteniamo che la società civile debba generare una nuova forza politica. Ma non una qualunque: le nuove forme di aggregazione esistenti che si pongono in posizione critica verso la cosiddetta “casta”, pur avendo ottenuto discreti successi elettorali in sede locale, non sembrano essere in grado di aggregare idee necessarie a rompere veramente lo status quo con un programma coerente e credibile.
Il da farsi è la conseguenza naturale dell’analisi precedente: occorre allo stesso tempo eliminare i privilegi e diminuire il potere della classe politica riducendo la presenza dello stato (ossia, di quella medesima casta politico-burocratica) nell’economia. Questo va fatto assieme perché i privilegi e la presenza dello stato sono in gran parte facce della stessa medaglia. Questo significa: abbattere il debito (come già detto sopra) vendendo immobili e aziende pubbliche, RAI in primis, riformare la pubblica amministrazione premiando il merito fra i dipendenti, eliminare TUTTI i conflitti di interesse, liberalizzare le professioni, eliminare sussidi alle imprese, dare una chance agli esclusi liberalizzando il mercato del lavoro, ridurre sostanzialmente le imposte che gravano sul lavoratore e sull’impresa e tante altre cose (come già detto sopra). Questi sono i successivi punti dei dieci, e il governo Monti qui ha ottime intenzioni ma non riesce ad agire fino in fondo per le due ragioni già dette.
Crediamo che tutto questo possa servire a creare un circolo virtuoso in grado di generare crescita e benessere, soprattutto per gli strati non protetti della società, quelli che non beneficiano dei privilegi, dei sussidi, del posto fisso. La crescita non può venire che dall’innovazione dell’imprenditore e dal capitale umano del lavoratore. L’imprenditore è incentivato a innovare in un ambiente concorrenziale in cui lo stato non altera le regole del gioco a suo piacimento. Il lavoratore è incentivato a migliorare le sue abilità quando esse sono premiate nel mercato del lavoro.
Come possiamo rendere politicamente possibili le proposte di cui sopra? Siamo costretti a prendere atto del fatto che non ci sono, tra quelle esistenti, forze politiche capaci e desiderose di realizzare queste cose. Se ce ne fossero, probabilmente molte di queste cose sarebbero già state fatte. Siamo invece stretti tra un Berlusconi che si prepara a raccontare di nuovo la frottola della rivoluzione liberale che solo lui può fare e una dirigenza del PD che prova a masticare ma alla fine non riesce realmente a comprendere concetti come meritocrazia, liberalizzazione, concorrenza, abbattimento delle rendite (talvolta chiamate più pudicamente “diritti acquisiti”), riduzione della spesa pubblica. Nel PD, è inutile fare finta del contrario, voi siete l’eccezione piuttosto che la regola. Lo rivela il documento dal quale nasce questa assemblea, lo leggiamo in pubblicazioni come qdR magazine, lo vediamo nelle iniziative purtroppo minoritarie di molti di voi. Per questo siete per noi interlocutori privilegiati. Non gli unici, ma fra i pochi.
Realizzare quello che proponiamo (avviare una politica di superamento delle rendite e dei privilegi e di stimolo reale della crescita) richiede la realizzazione di tre condizioni:
1.che cambi radicalmente la composizione politica del parlamento rispetto all’attuale;
2.che in esso sia presente e riconoscibile una forza politica che si identifichi con questa agenda riformatrice e abbia come proprio obiettivo dichiarato fare uscire l’Italia dal declino puntando sui produttori a discapito dei parassiti;
3.che attorno a questo programma si aggreghi una maggioranza politica disposta a sopportare l’onda d’urto della controreazione alle riforme necessarie.
A questo stiamo lavorando, e speriamo che da oggi, anche da questa prima assemblea, altri lavoreranno con noi. Speriamo di incontrarci, su un terreno ancora vergine della politica italiana: quello dove non ci sono pregiudiziali ideologiche e dove persone capaci, motivate e pragmatiche lavorano insieme per riformare il paese e consegnarlo migliore alla generazione successiva.
Fatemi aggiungere che alcuni “leaks” hanno riportato che questo di cui vi parlo sarà il “partito ultraliberista” e il “partito di Confindustria.” Se ci chiamano ultraliberisti non ce ne abbiamo poi particolarmemte a male. Per quello che “ultraliberista” vuol dire in Italia, siete ultraliberisti anche voi! Noi continuiamo a insistere che siamo semplicemente economisti che cercano di usare quello che hanno imparato studiando, e che sono coscienti sia dei possibili difetti del mercato sia di quelli dell’intervento pubblico.
Che sia il partito di Confindustria, qualunque cosa questo voglia dire, lo escludiamo e ci fa pure sorridere. Primo, non dipendiamo proprio per nessuno: siamo troppo costosi, quindi possiamo solo lavorare in proprio. Secondo, l’organicità tra le forze politiche esistenti e i gruppi di interesse (inclusi i sindacati, compresi quelli degli industriali di cui Confindustria è solo il più grande) è una delle radici dei mali che storicamente affligono il paese. Il nostro approccio è ortogonale a questo, come centinaia di interventi nell’arco di sei anni sono lì a provare.
Vi ringrazio per l’attenzione e spero che percorreremo insieme almeno un pezzo di strada nell’interesse del paese.

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