PER RIDURRE IL CUNEO SULLE BUSTE-PAGA NON POSSIAMO PUNTARE SU NUOVE TASSE

PERCHÉ È SBAGLIATO PUNTARE SULL’AUMENTO DELL’IMPOSTA SULLE RENDITE DI AZIONI  E OBBLIGAZIONI: IL RISCHIO È DI RIPETERE IL FLOP DELLA TOBIN TAX, CON DANNI COLLATERALI COMPLESSIVAMENTE MAGGIORI – LA STRADA OBBLIGATA PASSA PER LA SPENDING REVIEW

Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 285, 24 febbraio 2014.

Vediamo se l’idea – che in questi giorni circola insistentemente – di finanziare la riduzione del cuneo fiscale sulle buste-paga con l’aumento del 5% della tassazione delle rendite da azioni e obbligazioni è realistica.
Escludiamo dal discorso i titoli di Stato, il cui rendimento è tassato solo al 12.5 percento: tutti concordano sul punto che aumentare questa aliquota sarebbe, nel caso migliore, una mera partita di giro; ma potrebbe anche causare problemi gravi per il finanziamento del debito pubblico. Consideriamo dunque gli effetti di un giro di vite sui soli rendimenti di azioni e obbligazioni:  immaginare – come si sente dire – che esso produca un gettito di 2 miliardi di euro significa pensare che oggi in Italia il risparmio non investito in immobili, partecipazioni qualificate e titoli di stato ammonti complessivamente a circa 1500 miliardi di euro. Infatti 2 miliardi di gettito da un incremento del 5% delle rendite significa ipotizzare rendite lorde da azioni e obbligazioni di 40 miliardi di euro; questo, con rendimenti lordi medi di mercato intorno al 3%, significa ipotizzare uno stock di ricchezza privata non investita in titoli di Stato, partecipazioni qualificate e immobili, pari appunto a circa 1500 miliardi di euro. Il primo interrogativo è questo: su quali fonti possiamo basare la supposizione che questo sia effettivamente lo stock dei titoli azionari e obbligazionari italiani cui l’aumento dell’imposta si riferirebbe? Il dato di cui dispongo – da non addetto ai lavori quale sono -, fermo al 2008, è di 1.238 miliardi (755 in obbligazioni + 483 in azioni): mi sembra improbabile che da allora l’ammontare complessivo sia aumentato.
Ma l’interrogativo più preoccupante è quest’altro: alzare le rendite del 5% in un mercato così sensibile come quello finanziario rischia di produrre lo stesso flop che ha prodotto la Tobin Tax del 2012, con la quale si pensava di incassare 1.2 miliardi di euro, mentre se ne sono effettivamente incassati solo circa 200 milioni. In altre parole: l’effetto principale dell’aumento potrebbe essere quello di allontanare i risparmiatori dalla borsa e spaventare i mercati, con un conseguente aumento dello spread sui titoli di Stato che si mangerebbe tutto il gettito prodotto. Se vogliamo davvero “cambiare verso” – come dice Matteo Renzi – e far tornare a famiglie e imprese la voglia di spendere e investire, le risorse per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sulle buste paga non possiamo cercarle nell’ennesimo aumento delle tasse. Vanno trovate principalmente con la spending review: basterebbe incominciare con le controllate degli enti locali.

 

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