I FRUTTI VELENOSI DELL’AVVERSIONE DEI PROFESSORI PER I TEST INVALSI

ESPUNGERE DALL’ATTESTAZIONE DELL’ESITO DEGLI ESAMI DI FINE CICLO IL RISULTATO DELLE PROVE OGGETTIVE DELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO (CHE NON MISURANO TUTTO, MA INDIVIDUANO ALCUNE CRITICITÀ) È COME  MISURARE LA FEBBRE E POI BUTTAR VIA IL TERMOMETRO SENZA ANNOTARE IL DATO CHE NE RISULTA

Articolo di Andrea Ichino pubblicato sul Corriere della Sera l’11 marzo 2017 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 18 maggio 2015: La scuola che vogliono i contestatori della riforma.
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Andrea Ichino

Andrea Ichino

Immaginate di essere visitati da un medico che vi misura la febbre con un termometro, poi senza guardarlo lo butta via e, dopo avervi toccato la fronte con una mano, vi comunica la sua diagnosi. Rimarreste perplessi e chiedereste al medico perché non abbia nemmeno guardato il termometro, soprattutto dopo averlo utilizzato.

Analoga perplessità suscita il parere espresso dalla Commissione Cultura del Senato sulla bozza di Decreto in tema di riforma degli esami di terza media e maturità. Il Governo proponeva, opportunamente, di tenere separati i risultati delle prove Invalsi (il termometro) e i voti delle commissioni di esame (la mano sulla fronte), in modo che chiunque avesse interesse a conoscere quegli esiti (primo fra tutti lo studente) potesse disporre di un insieme esauriente di informazioni oggettive e soggettive in base alle quali prendere decisioni. La Commissione invece, sorprendentemente, ha chiesto di eliminare l’esito delle prove Invalsi dall’attestazione finale sia per la terza media sia per la quinta superiore, esito che quindi non sarebbe comunicato nemmeno allo studente. Viene addirittura chiesto di non consentire alle università di avvalersi dei risultati Invalsi, oltre che dei voti scolastici, per decidere chi ammettere ai loro corsi.

Si fa davvero fatica a trovare una logica in questo parere. Le università sono, purtroppo, piene di studenti che dopo il primo anno si accorgono di aver fatto scelte sbagliate. Per esempio, studenti che con voti di maturità stratosferici si iscrivono a corsi di ingegneria, fisica e matematica dove non riescono a superare neppure gli esami iniziali. Per altro verso, è lecito ipotizzare che esistano studenti con elevate competenze logico matematiche, osservabili in un test Invalsi, i quali a causa di un basso voto di maturità ottenuto in licei stretti di manica, rinunciano alla carriera universitaria che sarebbe ideale per loro. Il giudizio complessivo, ma soggettivo, dei professori è importante. Altrettanto importante, però, è poter disporre di un giudizio oggettivo, ancorché parziale, per comprendere in modo comparativo il livello di competenze acquisite. Come nella valutazione diagnostica di un medico: servono misure strumentali (termometro, pressione, esami del sangue), almeno quanto il fiuto del bravo clinico.

Per quale motivo, poi, impedire alle università di osservare i risultati delle prove Invalsi, costringendole a utilizzare una parte rilevante delle loro (scarse) risorse per organizzare test di ingresso alternativi? Ha senso lamentarsi dei tagli ai fondi degli atenei, per poi sprecarli in questo modo? Nel resto del mondo è normale che prove nazionali multiple, analoghe a quelle Invalsi, vengano usate dagli atenei per decidere quali studenti ammettere. Questo perché l’università non è la scuola di don Lorenzo Milani. È il luogo in cui i giovani più competenti di una nuova generazione prendono il testimone dalla generazione precedente per far progredire la ricerca scientifica nell’interesse dell’intera collettività. Aprire a tutti le porte dei corsi di medicina vuol dire avere medici peggiori. Se chi non è portato per la matematica va a fare l’ingegnere, saranno a rischio i ponti, le case e gli aerei che quell’ingegnere costruirà. Per altro verso, il timore che i meno abbienti siano svantaggiati da test uguali per tutti, come quelli Invalsi, è ingiustificato. Se mai vale il contrario: in questi test si compete ad armi pari, perché non contano le circostanze e neanche gli opportunismi che possono condizionare il giudizio dei professori.

I giovani italiani lo hanno capito bene: i migliori tra loro se ne stanno andando verso Paesi nei quali le competenze sono misurate con tutta la precisione possibile, e per questo sono riconosciute e premiate. Qui rimarranno solo quelli che hanno da guadagnare da un sistema in cui tutti i gatti devono apparire ugualmente grigi.

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