COME MIGLIORARE LA “SOCIAL CARD” SENZA AUMENTARE IL DEFICIT

LE ACLI LANCIANO UN NUOVO PIANO CONTRO LA POVERTA’, EQUO, EFFICACE, E SOPRATTUTTO SOSTENIBILE

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 22 febbraio 2011. V . il documento proposto dalle Acli

In aprile tutti i Paesi membri dovranno presentare alla Ue un Piano nazionale di riforma, volto a realizzare gli obiettivi di sviluppo economico e sociale previsti dalla strategia Europa 2020. Fra questi obiettivi figura anche la lotta alla povertà: entro i prossimi dieci anni l’Unione si prefigge di avere 20 milioni di poveri in meno rispetto a oggi. Il governo Italiano ha già preparato una bozza del Piano, ma il capitolo sulla povertà è molto vago. Un’ottima occasione per individuare risposte concrete viene ora fornita dalle Acli, che hanno elaborato un «Piano nazionale contro la povertà» di cui si discute a Roma oggi, alla presenza del ministro Sacconi. Il progetto Acli parte dall’esistente, ossia dalla carta acquisti (la cosiddetta social card) introdotta dal governo Berlusconi nel 2008. Pur trattandosi di una misura modesta sotto il profilo economico (4o euro al mese) e limitata ad alcune categorie di poveri (ultrasessantacinquenni e minori sotto i tre anni), la social card è forse l’unico strumento nazionale che conferisce diritti «esigibili» a cbi è privo di risorse. Acli formula quattro proposte migliorative dello strumento. Gli importi, innanzitutto. Adesso tutti i beneficiari ricevono la stessa cifra. L’idea è invece quella di calibrarla a seconda delle risorse già a disposizione. Fino a 3000 euro annui (indigenza estrema), una famiglia riceverebbe, ad esempio, circa 230 euro al mese. Il sussidio si ridurrebbe progressivamente fino a cessare sopra i 12.000 euro annui. Tale scaglione di reddito resterebbe al di sotto di quella che 1’Istat chiama povertà «assoluta», però sarebbe comunque un bel passo avanti. Il secondo miglioramento riguarda i beneficiari. La social card verrebbe estesa a tutti i poveri, senza distinzioni anagrafiche. Dagli attuali 63o mila beneficiari circa, si passerebbe a più di un milione e duecentomila: la povertà assoluta riguarda infatti numerosissimi nuclei che non rientrano negli attuali requisiti, soprattutto in presenza di figli sopra i tre anni. Una così ampia estensione dei beneficiari avrebbe naturalmente un forte impatto economico e sociale. Contrariamente ai luoghi comuni, i poveri italiani non stanno poi tutti al Sud, soprattutto se teniamo conto del costo della vita. Per questo Acli propone (terzo miglioramento) che il sussidio sia più alto nelle grandi città del Nord, più basso nei piccoli comuni del Sud. Infine, la quarta proposta: affiancare al trasferimento monetario un pacchetto di servizi sociali di base. Assistenza domiciliare, formazione professionale, riabilitazione: questi alcuni esempi di prestazioni in natura che dovrebbero essere erogate dal Terzo Settore, sotto la regia dei comuni e con contributi anche privati. Il Piano Acli ha un costo, ma non esorbitante: circa due miliardi e 3oo milioni in più rispetto ad oggi (si pensi che per le sole prestazioni di invalidità lo Stato spende ora più di 16 miliardi annui). Con grande pragmatismo, il Piano suggerisce un percorso graduale in tre anni, con incrementi di 730 milioni all’anno. Per questi importi i margini di manovra si possono trovare all’interno del bilancio pubblico esistente. Le finanziarie per il 2009 e il 2010 hanno fatto girare più di 23 miliardi, peraltro riducendo il Fondo nazionale per le politiche sociali di circa 600 milioni. La proposta Acli mi sembra quanto di più equo ed efficace si possa fare in questo momento nel nostro Paese per aiutare i ceti più bisognosi, quelli meno rappresentati e più trascurati, pur essendo stati i più colpiti dalla crisi. La proposta è finanziariamente sostenibile e sono certo che verrebbe accolta con molto favore dalle autorità Ue. Per dirla con Cristiano Gori (principale architetto del Piano), se qualcuno sostiene che la riforma è irrealizzabile perché costa troppo, ciò equivarrebbe a dire «non vogliamo approvarla per scelta politica». Considerando i temi attualmente dibattuti da chi ci governa, una simile affermazione sarebbe —diciamolo — difficilmente comprensibile di fronte al disagio economico crescente di tanti italiani.

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