SERVE UN RIFORMISMO SPERIMENTALE

“PRIMA DI SCOMODARE LA COSTITUZIONE O DI DENUNCIARE LO SMANTELLAMENTO DI DIRITTI FONDAMENTALI, RIMBOCCHIAMOCI LE MANICHE E FACCIAMO UN ESPERIMENTO”

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 25 marzo 2011, in occasione del Convegno di Lucca sul tema The Role of Experiments for the Advancement of Effective Labor Legislation

Le riforme economiche e sociali sono un po’ come le scommesse. Si punta su nuovi principi e nuove regole per affrontare un problema, ma l’ esito resta incerto. Solo col passare del tempo (a volte molto) si scopre se la scommessa è riuscita, se la realtà è cambiata nella direzione auspicata. Vi sono naturalmente dei modi per aumentare la probabilità di successo. Nei Paesi più avanzati (come Francia o Inghilterra) le riforme sono precedute da accurati studi ed esercizi di previsione; le loro conseguenze sono monitorate quasi in tempo reale. Anche in questi contesti resta però difficile evitare effetti perversi. Il cosiddetto workfare inglese (sussidi condizionati al lavoro) ha ad esempio prodotto impreviste dinamiche di dipendenza assistenziale e una vera e propria proliferazione di lavoratori poveri (i cosiddetti working poor). In Francia l’ introduzione del quoziente familiare ha generato disincentivi all’ occupazione femminile, i quali hanno dovuto essere contrastati con misure specifiche a sostegno delle madri lavoratrici. Per affrontare la sfida degli effetti mancati o perversi, si sta ora diffondendo un nuovo approccio, che potremmo chiamare «riformismo per esperimenti». L’ idea è semplice: prima di varare un provvedimento di legge si avviano iniziative pilota in cui si osservano gli effetti delle nuove regole, possibilmente confrontando un gruppo sperimentale (poniamo un insieme di imprese o lavoratori) con un gruppo di controllo (imprese o lavoratori con le stesse caratteristiche, ai quali continuano però ad applicarsi le regole esistenti). Negli Stati Uniti questo approccio è utilizzato da tempo in settori come la sanità, l’ istruzione e il mercato del lavoro. Spesso gli esperimenti coinvolgono interi Stati, in modo più o meno deliberato. E a volte queste iniziative smentiscono le previsioni degli osservatori, spianando la strada a riforme di raggio federale. Per esempio, l’ introduzione dei permessi di allattamento per le lavoratrici madri in tredici Stati fra il 2008 e il 2010 non ha prodotto, come temuto, conseguenze negative sulla produttività delle imprese. Sulla base di questi risultati il governo di Washington ha deciso di intervenire con una norma valida per tutto il territorio nazionale. Del nuovo approccio (con particolare riferimento al mercato del lavoro) si parlerà venerdì e sabato in un convegno internazionale organizzato a Lucca dalla Fondazione Giuseppe Pera, dalla Banca d’ Italia e dal Cepr di Londra. L’ occasione è importante non solo dal punto di vista scientifico, ma anche perché può stimolare la riflessione sul riformismo per esperimenti in un Paese, il nostro, tradizionalmente incline al dogmatismo dei principi piuttosto che al pragmatismo basato sui fatti. Nell’ ultimo decennio, è vero, qualche passo in direzione sperimentalista è stato effettuato anche in Italia. Pensiamo, per tutte, all’ iniziativa pilota sul reddito minimo di inserimento, accompagnata da un apposito esercizio di valutazione. Ma finora si è trattato di tentativi sporadici, organizzati in modo piuttosto approssimativo. Il ministro Gelmini ha recentemente lanciato una sperimentazione nel campo dell’ istruzione, in particolare sui meccanismi premiali per le scuole e gli insegnanti più bravi. È un passo importante, dal quale possono emergere indicazioni preziose sia di metodo sia di sostanza. Il mercato del lavoro dovrebbe essere però oggi il fronte prioritario in cui adottare il nuovo approccio: per le condizioni di grave arretratezza della nostra legislazione, per le enormi distorsioni esistenti a sfavore di giovani e donne, per i divari territoriali, per la crescente perdita di competitività delle imprese. Perché non avviare una seria sperimentazione sulle riduzioni di aliquota fiscale per le donne che lavorano? Oppure sull’ utilizzo di percorsi alternativi alla reintegra in caso di licenziamento, come propone da tempo Pietro Ichino? Certo, si tratta di temi caldi e delicati, che vanno a toccare alcuni fondamenti del nostro ordinamento. Ma proprio per questo sarebbe bene affrontarli con un’ ottica e un metodo nuovi. Prima di scomodare la Costituzione (nel caso delle aliquote differenziate) o di denunciare lo smantellamento di diritti irrinunciabili (nel caso dei licenziamenti), rimbocchiamoci le maniche e facciamo un esperimento. Se funziona, ci chiederemo se e come generalizzare le nuove regole. Con spirito pragmatico, senza drammatizzare il nuovo, ma anche senza alibi per conservare a tutti i costi lo status quo.

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